Tribunale Napoli sez. III, 28/01/2022, (ud. 18/01/2022, dep. 28/01/2022), n.407
Le condotte distrattive e irregolari nella gestione patrimoniale e contabile che cagionano il depauperamento del patrimonio sociale, aggravando il dissesto dell’impresa, integrano gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità si configura in presenza di una grave lesione degli interessi dei creditori.
Svolgimento del processo
Con decreto emesso in data 20.3.2015, il Gup del Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio di Nu. Al. per i reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, e bancarotta semplice impropria, analiticamente indicati in epigrafe.
All'udienza dell'11.2.2016, erroneamente fissata dinanzi al giudice monocratico, questi, ritenendo trattarsi di reati di competenza del giudice in composizione collegiale, disponeva la trasmissione degli atti al presidente coordinatore e, alla successiva udienza del 25.2.2016, dava lettura del provvedimento di assegnazione a questo collegio.
All'udienza del 18.10.2016, dopo due rinvii disposti in via preliminare, in assenza dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, il Presidente dichiarava aperto il dibattimento e, letto il capo di imputazione, dava la parola alle parti, le quali articolavano le richieste di mezzi di prova, nei termini di cui al verbale di udienza; ammesse le prove richieste dalle parti, veniva escusso il teste Fa. Le., il quale era risentito alla successiva udienza del 29.11.2016, nel corso della quale venivano acquisite le relazioni redatte ex art. 33 L. Fall, nonché, su istanza della difesa, la sentenza emessa in data 7.7.2014 dalla Corte di Cassazione, 1ª sezione civile, avente ad oggetto l'annullamento del loro arbitrale intervenuto tra la IT. spa e le proprietarie dell'immobile sito in (omissis), alla via (omissis), e una missiva a firma di Nu. Fr. del 12.1.2004.
All'udienza del 28.2.2017, su accordo delle parti per l'inversione dell'ordine di assunzione delle prove, venivano escussi i testi della difesa Ri. Gi. e Gi. An.
Alla successiva udienza del 30.5.2017 venivano sentiti gli altri testi della difesa, Pr. Ge. e Sc. Um., al termine della cui deposizione il Tribunale disponeva acquisirsi la relazione di consulenza dallo stesso redatta.
Quindi, a seguito di alcuni rinvii disposti per anomala composizione del collegio e per astensione degli avvocati, all'udienza del 5.3.2019 era escusso il teste della difesa Ge. Al..
L'udienza del 28.4.2020 subiva un ulteriore rinvio a causa della situazione di emergenza epidemiologica in atto (COVID 19).
Alla successiva udienza del 27.10.2020, il Pm rendeva edotto il Collegio della attuale pendenza di un altro processo a carico del medesimo imputato per lo stesso titolo di reato e chiedeva l'acquisizione, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., delle dichiarazioni rese in quel processo dai testi escussi; la difesa si opponeva ed il Tribunale, acquisita la richiesta di rinvio a giudizio, ammetteva l'escussione dei testi Di Fa. Ca., Di Ma. Cl. e Fa. Le., i quali venivano sentiti all'udienza del 2.2.2021.
Alla successiva udienza del 6.4.2021 veniva acquisito, su accordo delle parti, il verbale di sommarie informazioni rese dal curatore fallimentare, Fa. Le., in data 5.12.2019.
Quindi, all'udienza 8.6.2021, la difesa depositava alcune sentenze emesse dal Tribunale di Napoli, sezione lavoro.
All'odierna udienza, mutato il collegio giudicante e rinnovato il dibattimento, con declaratoria di utilizzabilità di tutte le prove ritualmente acquisite, il Presidente dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e, sulle conclusioni rese dalle parti, il Tribunale decideva la causa come da dispositivo letto in udienza, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di giorni trenta.
Motivi della decisione
Il Tribunale ritiene che, all'esito dell'espletata istruttoria dibattimentale, possa dirsi inequivocabilmente provata la penale responsabilità dell'imputato Nu. Al. in ordine ai reati di bancarotta, a lui ascritti al capo A) dell'imputazione.
Ed, invero, come risulta dalla deposizione del dottor Le. Fa. e dalle relazioni redatte ex art. 33 L. Fall., acquisite agli atti di causa, la società IT. spa, costituita in data (omissis) con un capitale sociale di Euro 100.000,00, con sede legale in (omissis), presso lo studio dei dottori commercialisti Ge. Al. e Ge. Ge., aveva ad oggetto l'attività di bar e pasticceria di produzione propria. Al momento del fallimento, soci erano Ga. Al. e Pa. Ma., mentre alla data di costituzione la società era gestita da un consiglio di amministrazione composto da Ab. Re., con la qualifica di presidente, Nu. Fr., consigliere ed amministratore delegato, e Lu. Si., dapprima consigliere e poi, a far data dal 31.10.2002, amministratore unico, cui subentrava, in data 12.12.2002, Nu. Fr.. A seguito del decesso di quest'ultimo, veniva nominato amministratore unico, in data 27.9.2004, il figlio Nu. Al., ancora in carica alla data del fallimento.
Le sedi operative erano in (omissis), alla via (omissis) n. (omissis), alla via (omissis) n. (omissis) ed alla via Sc..
In particolare, in via (omissis) n. (omissis), vi era il laboratorio di pasticceria. Questa attività era svolta in forza di un contratto di fitto di azienda, della durata trimestrale e rinnovabile tacitamente, stipulato in data 14.1.2002 con la società Ri. srl in liquidazione. In sede di interrogatorio, il Nu. Al. riferiva che il laboratorio era stato operativo sino al novembre del 2008, fornendo il Gr. Ba. Ri. ed alcuni clienti minori, tra cui la bo. esistente presso FN. e quella situata all'interno del negozio di abbigliamento ZA., e che i locali, unitamente alle attrezzature e ai macchinari, erano stati riconsegnati alla proprietà nel gennaio del 2009.
A tale riguardo, tuttavia, il curatore rilevava alcune anomalie.
In primo luogo, appariva estremamente sospetto che la disdetta del contratto e la riconsegna dei locali fosse avvenuta in epoca prossima al fallimento della IT. spa, datato 14.1.2009.
Inoltre, socio unico della società Ri. srl in liquidazione era la società Gr. Ri. srl, proprietaria dell'azienda "Gr. Ba. Ri.", le cui quote appartenevano al 50% alla famiglia Nu. (in particolare, il legale rappresentante della fallita, Nu. Al., deteneva il 10% del capitale sociale della Gr. Ri. srl e deteneva altresì, in comunione con la madre Pa. Ma. e le sorelle Nu. Si. e Nu. Ma., una ulteriore quota di partecipazione del 20%), e per l'altro 50% alla società IN. IN. e PA. srl, società dotata di organo di controllo coincidente con quello della fallita. La Gr. Ri. srl era amministrata, sin dal 1994, prima come presidente del consiglio di amministrazione e poi come amministratore unico, da Ge. Al., presidente del collegio sindacale della IT. spa e titolare dello studio ove la società aveva la sede legale.
Tali circostanze inducevano la curatela ad effettuare un accesso presso la sede del laboratorio. L'accesso, eseguito in data 11.2.2009 alla presenza del Nu. Al., consentiva di appurare che il laboratorio non era operativo, ma era ancora attiva l'utenza (...) intestata al Nu.; in loco, inoltre, vi erano un forno e un frigorifero, di proprietà della fallita, mentre gli altri beni erano di proprietà della Ri.
Peraltro, l'esistenza di fatture relative ad approvvigionamenti di materie prime avvenuti nel mese di dicembre del 2008 induceva il curatore a dubitare della data di cessazione del laboratorio di pasticceria, collocata dal Nu. nel novembre del 2008.
Nella sede di via (omissis), poi, vi era il Gr. Ba. Ri., gestito dalla famiglia Nu., dal 31.1.2002, in virtù di un contratto di fitto di azienda stipulato con la società proprietaria, la Gr. Ri. srl; l'azienda sarebbe stata poi restituita alla società proprietaria, a seguito di disdetta, comunicata il 14.6.2007, fissando la data di scadenza al 13.7.2007, con la proroga della consegna al 31.8.2007. La gestione sarebbe dunque passata ad una nuova società, la So. srl.
Anche questa vicenda presentava alcune anomalie.
Ed, invero, l'amministratore della fallita, nel confermare che la disdetta del contratto sarebbe stata fissata al 31.8.2007, precisava che la IT. spa vantava un credito nei confronti della Gr. Ri. di Euro 21.722,03, poi saldato con quattro rimesse in contanti (Euro 5.400 il 15.1.2008, Euro 5.400 il 15.2.2008, Euro 5.400 il 29.2.2008 ed Euro 5.522,03 il 14.3.2008, come da documentazione acquisita); al contrario, il presidente del collegio sindacale della fallita, dott. Ge. Al., all'epoca dei fatti anche amministratore della Gr. Ri. srl, riferiva di una risoluzione consensuale del contratto, avvenuta nell'estate del 2007 a causa di una morosità accumulata.
Con riferimento alla riconsegna dell'azienda, poi, non vi era alcun verbale di passaggio di consegne, né di inventario delle attrezzature e delle merci in giacenza. La IT. spa, peraltro, non risultava aver mai comunicato all'Agenzia delle Entrate la chiusura della relativa unità locale.
In sede di accesso, il curatore rinveniva la presenza di Nu. Si., amministratore unico della So. srl, la quale esibiva la seguente documentazione: - preliminare di contratto di fitto di azienda registrato tra Gr. Ri. e So. dell'(omissis); - contratto di fitto di azienda del 25.1.2008 con decorrenza dall'1.1.2008; - autorizzazione amministrativa di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande rilasciata il 19.3.2008 su istanza di avvio del relativo procedimento amministrativo presentata il 13.2.2008 da un delegato della So. srl, Di Ma. Cl., già dipendente della fallita. Inoltre, l'utenza (...) relativa ai locali di via (omissis), così come quella del laboratorio di (omissis), risultava intestata alla IT. spa; in particolare, la curatela entrava in possesso di una fattura di Euro 38.876,69, da pagare entro il 23.2.2009, mentre altre fatture, per migliaia di Euro, risultavano contabilizzate e pagate dalla fallita nel corso dell'anno 2008 e nel secondo semestre del 2007. Ad avviso del curatore, la circostanza che dette fatture fossero annotate in contabilità evidenziava una commistione tra le due società non solo di tipo formale, riconducibile ad una mancanza di voltura dell'utenza, ma sostanziale. Oltretutto, la IT. spa aveva registrato nella sua contabilità anche le fatture (...) relative al laboratorio di pasticceria sito in (omissis) alla via (omissis), ove vi era una unità locale facente capo alla Gr. Ri. srl.
Inoltre, la fallita risultava aver contabilizzato e pagato per tutto il 2008 forniture di latte consegnato al Gr. Ba. Ri. e quindi destinate alla So. srl; la sola fornitura di latte Gr. ammontava a circa 70.000,00 Euro, cui andava detratta quella destinata al Ca. Sc.. A tale riguardo, la curatela aveva ricevuto, tra la posta, un estratto conto della Gr. spa, intestato a "IT. spa - (omissis)", per consegne effettuate dal 19.1.2009 al 24.1.2009, quindi in epoca successiva alla formale dismissione del laboratorio di pasticceria e, soprattutto, alla dichiarazione di fallimento.
Ancora, la fallita aveva commissionato, nel 2008, la derattizzazione del locale bar e relativo deposito di via (omissis); a tal proposito, vi era la fattura quietanzata dell'11.12.2008, naturalmente annotata nella contabilità della fallita.
Oltre a quelle evidenziate, vi erano numerose movimentazioni di denaro tra le due società, la IT. spa e la So. srl, estremamente sospette. In particolare, nell'anno 2008, quasi quotidianamente la So. srl effettuava anticipazioni di disponibilità liquide alla IT. spa, salvo poi a chiudere il credito maturato con fatture che la IT. spa a fine mese emetteva per forniture di pasticceria.
Dalla disamina della scheda contabile dell'anno 2008, emergevano altre anomalie gestionali, sintomatiche di strane commistioni tra le due società: in data 30.4.2008, il debito per anticipazioni nei confronti della So. srl si riduceva di Euro 45.174,75 perché quest'ultima società incassava dalla E. Gr. srl il credito vantato da IT. spa per varie fatture di fornitura emesse negli anni 2007 e 2008; analoghe riduzioni del debito per anticipazioni si registravano nelle date del 11.9.2008 e 22.12.2008, rispettivamente per Euro 30.531,70 ed Euro 23.202,95, per incassi di crediti per forniture IT. spa nei confronti della società MA. srl, nelle date del 12.11.2008 e del 30.11.2008, rispettivamente per Euro 9.561,49 ed Euro 5.504,42, per incassi di crediti per forniture IT. spa nei confronti della IC. srl. In varie date, poi, risultava stornato un credito di Euro 52.000,00 vantato nei confronti della società SI. CO..
In molti casi, si rilevava la restituzione in contante delle anticipazioni effettuate dalla So. srl, il che lasciava supporre che tutte queste movimentazioni di denaro fossero svincolate da effettive forniture di merci, facendo intravedere nella So. srl una sorta di "cassa esterna della fallita", anche perché la IT. spa non aveva più rapporti di conto corrente bancari attivi.
Inoltre, come puntualmente evidenziato nella relazione del 20.3.2009, la IT. spa aveva emesso nei confronti della So. srl la fattura n. 1 del 2.1.2009, per Euro 27.992,56 (allegata alla relazione), non relativa a fornitura di pasticceria, ma relativa alla rifatturazione delle materie prime acquisite nel corso del mese di dicembre 2008. Ad avviso del curatore, era evidente la fittizietà dell'operazione di cessione sottostante alla emissione della fattura, sia perché non documentata da documenti di trasporto, sia perché aveva ad oggetto beni deperibili e sia perché, soprattutto, non si comprende l'interesse della So. srl, che svolgeva attività di bar, all'acquisto di materie prime (nel dettaglio, 20 Kg di lievito, 86 chili di fiori di latte, 15.480 uova, quasi 5.000 chili di farina, 1.800 chili di ricotta...). Tale fattura era, dunque, un mero espediente volto non solo ad occultare la produzione di pasticceria nel mese di dicembre del 2008, ma soprattutto a giustificare le costanti e cospicue fuoriuscite di denaro dalle casse della fallita.
Ancora, nella medesima relazione, il curatore rilevava che, da una disamina delle domande di ammissione al passivo, era emerso che alcuni dipendenti della IT. spa erano passati a lavorare per la So. srl, cosa che faceva supporre una gestione unitaria, senza soluzione di continuità, del bar in questione. Ciò si era verificato anche alcuni anni prima, tra la società "Do. e do. srl", che aveva avuto in gestione il Gr. Ba. Ri. prima della IT. spa e che era fallita nell'anno 2002, e la IT. stessa. A tale riguardo, nella causa di lavoro intentata da No. Pa. per spettanze retributive, il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, con sentenza resa in data 24.4.2008, sul ricorso della dipendente, la quale riferiva di aver lavorato nel bar-tavola calda Gr. Ba. Ri., dapprima alle dipendenze della società Do. e Do. srl e poi alle dipendenze della IT. spa, svolgendo sempre le medesime mansioni, nell'accogliere parzialmente il ricorso, rilevava che "la It. è subentrata nella gestione del Gr. Ba. Ri. senza soluzione di continuità alla Do. e Do. srl, senza che mutasse l'insieme delle risorse umane e materiali rappresentative del compendio aziendale, senza che il bar restasse chiuso per un solo giorno, e, soprattutto, senza che mutasse la titolarità del potere direttivo e gestionale inverato, sia prima che dopo, nei componenti della famiglia Nu." (vedi sentenza n. 13464/08 allegata alla relazione).
Quanto, infine, alla sede di via Sc., tale attività era stata avviata a seguito dell'acquisto, avvenuto in data 18.3.2002, di un esercizio commerciale di proprietà della società "Pa., zu. e ca. sas di Nu. Fr. e C" ubicato in (omissis), alla via (omissis), poi trasferito nei locali di via (omissis). In sede prefallimentare, il legale della fallita aveva individuato le cause del fallimento sia nello sfratto per morosità subito sia nel pignoramento degli arredi e delle attrezzature ivi presenti.
Proseguendo la disamina delle vicende della fallita, il dottor Fa. riferiva che il passivo accertato ammontava ad Euro 2.402.194,01 ed era costituito, come da stato passivo allegato alle relazioni redatte ex art. 33 L. fall., da crediti di Equitalia (per Euro 967.762, 38 in privilegio ed Euro 601.939,63 in chirografo), crediti di professionisti, per poche migliaia di Euro, da crediti di dipendenti, per differenze retributive e TFR non pagati e da crediti di fornitori, tra cui Il. Ca. per circa 140.000,00 Euro. Il passivo denunciato nel bilancio fallimentare ammontava ad Euro 2.465.387,00.
Quanto all'attivo, nel bilancio fallimentare erano esposte immobilizzazioni immateriali (presunto avviamento) per Euro 1.672.615,00, il cui valore di realizzo era, ad avviso del curatore, del tutto nullo; vi erano poi indicate attrezzature, per Euro 201.301,00, il cui valore di realizzo era notevolmente inferiore, crediti per Euro 183.401,00, per lo più inesigibili, e disponibilità liquide per Euro 2.824,00, incamerate dalla curatela.
L'attivo concretamente realizzato ammontava ad Euro 82.227,61 ed era relativo al saldo di cassa acquisito (per Euro 2.824,17), alla vendita di attrezzature rinvenute pressò il laboratorio, per Euro 4.200,00, alle somme recuperate dalla vendita del compendio mobiliare della fallita, per Euro 44.542,26, al recupero del credito nei confronti della So. in forza di decreto ingiuntivo, per Euro 29.813,72 e dalle competenze attive di conto corrente, per Euro 847,46.
La curatela aveva promosso azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, per un danno stimato di Euro 3.033.182,79, chiedendo contestualmente l'estensione del fallimento nei confronti della So. srl.
I profili di responsabilità erano ravvisati, in primo luogo, nella condotta dell'amministratore, il quale, a fronte di una situazione di grave crisi aziendale, aveva deciso di proseguire l'attività, così determinando un vero e proprio tracollo finanziario che avrebbe, poi, inesorabilmente, condotto al fallimento.
Ed, invero, nell'anno 2003 si era registrata una certa tensione finanziaria, in quanto non erano state pagate le ritenute fiscali sul lavoro dipendente. La situazione era precipitata nell'anno successivo; in particolare, sin dall'inizio del 2004, si era resa necessaria l'adozione di provvedimenti di ricapitalizzazione, in quanto la società aveva un patrimonio netto inferiore alla soglia di capitale minima per le società per azioni. Inoltre, in quello stesso esercizio, la società aveva un indebitamento a breve superiore al fatturato. La situazione di crisi finanziaria era proseguita negli anni successivi, registrandosi, al bilancio chiuso al 31.12.2007, un deficit patrimoniale di Euro 212.843,00. Nonostante ciò, come rilevato, l'amministratore, anziché procedere alla messa in liquidazione della società, aveva deciso di proseguire nelle attività di bar, nei locali di via (omissis), sino all'esecuzione dello sfratto per morosità, ed in quelle di produzione, così determinando un aumento enorme della debitoria e, in alcuni casi, sostenendo costi che, atteso il fatturato, non erano sopportabili.
Ancora, negli anni 2002 e 2003 risultavano annotati vari importi (Euro 900.000,00 nel 2002 ed Euro 480,000,00 nel 2003) nel conto "immobilizzazioni finanziarie", come anticipazioni per acquisto di partecipazione in altre società, benché non ci fosse nessun atto di acquisto di società; successivamente, a partire dall'anno 2004, tale voce veniva riclassificata in bilancio come "avviamento" ed iscritta tra le immobilizzazioni immateriali. Allo stesso modo, vi era un altro conto, denominato "crediti diversi", alimentato, a fronte di uscite di cassa di Euro 12.500,00 con cadenza generalmente mensile, sino all'importo di Euro 460,000,00 e poi girocontato, al 31.12.2004, tra le immobilizzazioni immateriali sempre come "avviamento". In totale, dunque, tale voce contabile aveva assunto il valore complessivo di Euro 1.840.000,00, tuttora presente nei conti aziendali della fallita (per Euro 1.650.000,00 circa), senza alcuna reale giustificazione, in assenza - giova ripeterlo - di atti di acquisto di altre imprese. Ad avviso del curatore, dunque, tale voce aveva costituito un mero espediente contabile per far uscire dalla società flussi finanziari derivanti dalla gestione del due bar, il Gr. Ba. Ri. e il Ca. Sc..
A suo parere, non vi era altra plausibile spiegazione, nonostante fosse venuto a conoscenza dell'esistenza di una scrittura privata, non recante data certa, tra il Nu. Fr. e la signora Da. Ti., relativa al compenso che il primo si era impegnato a versare alla signora Da. per subentrare nella gestione del bar di via Sc.. Sul punto, la difesa produceva una missiva del Nu. Fr., indirizzata alla Da. . Ti., datata 12.1.2004, in cui si chiedeva di ridurre la cifra originariamente pattuita quale corrispettivo per l'avviamento; il curatore riferiva, tuttavia, di non averla mai vista prima.
Altre condotte censurabili erano quelle esaminate in relazione al passaggio della gestione del Gr. Ba. Ri. alla So. srl; si è visto, infatti, che la IT. spa, anche dopo l'avvenuto passaggio, aveva continuato a sostenere costi inerenti la gestione di questo bar (in particolare utenze e forniture).
Inoltre, come già detto prima, in epoca prossima al fallimento, il Nu., amministratore della IT. spa, senza alcun atto formale, provvedeva a riconsegnare il laboratorio di pasticceria di via (omissis) alla proprietaria Ri. srl in liquidazione, la quale lo concedeva in fitto alla So. srl.
Quanto, poi, alle scritture contabili, il curatore osservava che la fallita aveva tenuto una contabilità finanziaria tale da non consentire una attendibile ricostruzione delle vicende societarie; a titolo esemplificativo, nel 2008, vi era un unico conto acceso a "disponibilità finanziaria" dove venivano registrate compensazioni di partite, anticipi e rimborsi quasi giornalieri nei confronti della So. srl, il cui saldo annuale si aggirava intorno ai 50.000,00 Euro.
In relazione, infine, alle cause del fallimento, il curatore dichiarava che, secondo quanto riferito dall'amministratore, le stesse erano da attribuire allo sfratto per morosità dei locali di via Sc. ed al pignoramento delle attrezzature ivi presenti, eseguito sempre dalle proprietarie, le signore Co.; per quanto a sua conoscenza, la IT. spa aveva anche proposto un'offerta reale per il pagamento dei canoni insoluti, ma l'offerta non era stata seguita dalla materiale dazione del denaro e, dunque, non aveva avuto alcun esito.
In ogni caso, l'intervenuto sfratto aveva costretto la IT. a cessare l'attività.
Nel corso delle sommarie informazioni rese in data 5.12.2019, acquisite agli atti di causa all'udienza del 6.4.2021, il dottor Fa. ribadiva che, nella contabilità della fallita, vi erano annotati prelievi costanti e mensili per Euro 12.500,00, come pagamento per un "avviamento commerciale", apparentemente riferibile all'acquisto dell'ex bar Da., oggi Ca. Sc.. A suo avviso, tuttavia, era anomalo che un avviamento commerciale potesse essere pagato con somme contanti di quella entità; inoltre, non vi era alcun atto di acquisto a titolo oneroso dell'avviamento commerciale in questione, avendo la difesa prodotto solo una richiesta di riduzione del compenso. Il totale dei prelievi mensili dal 2002 alla fine del 2004 ammontava ad Euro 335.000,00.
Ancora, la IT. spa aveva sistematicamente evaso il pagamento delle somme dovute all'Erario per imposte, tasse e contributi INPS, oltre a non aver pagato i canoni di locazione dei fitti di azienda nei confronti della Ri. srl e della Gr. Ri. srl. L'azione di responsabilità proposta dalla curatela nei confronti del Nu. Al. quale amministratore e di Ge. Al. quale presidente del collegio sindacale era stata vinta sia in primo che in secondo grado. Precisava, infine, riportandosi a quanto precedentemente relazionato, che vi era una vera e propria commistione tra la fallita e la So. srl.
Ebbene, così esposte le risultanze delle indagini condotte dalla curatela fallimentare e le conclusioni cui, sulla scorta di dette risultanze, si era addivenuti, occorre rilevare come la difesa del Nu. abbia proposto, attraverso il consulente di parte, dott. Um. Sc., una diversa ricostruzione dei fatti di causa, del tutto antitetica rispetto a quella operata dalla pubblica accusa.
In particolare, nell'esaminare le condotte oggetto delle odierne contestazioni, il consulente rilevava, quanto ai prelievi costanti di Euro 12.500,00, sino ad un ammontare di Euro 335.000,00, che tali somme erano fuoriuscite dalle casse sociali per consentire il pagamento alla signora Da. dell'importo pattuito a titolo di avviamento, in relazione all'acquisto del bar Da., sito in via (omissis). In base ai principi generali, per avviamento deve intendersi l'insieme di tutte quelle qualità immateriali non direttamente connesse al bene trasferito, strettamente collegate alla posizione geografica, alla clientela e che costituiscono una componente immateriale essenziale nell'azienda, a prescindere dal valore oggettivo delle strutture cedute (il ed. know how); non esiste una tecnica di valutazione dell'avviamento, che è possibile definire scientificamente come la differenza tra il prezzo che è disposto a pagare un imprenditore e il valore oggettivo del bene. L'avviamento si può iscrivere nei libri contabili della società, se pagato, atteso che, essendo una componente che viene ammortizzata, genera un costo. È evidente che più alto è il valore dell'avviamento maggiore sarà il costo da scaricare nel conto economico e, quindi, minore sarà l'utile di esercizio. È altrettanto chiaro che, se viene contabilizzato un avviamento di fatto non pagato, si creano dei costi inesistenti. Ebbene, fatte queste premesse di carattere generale, il consulente osservava come, nel caso in esame, il valore dell'avviamento fosse stato quantificato in Euro 2.100.000,00, da corrispondersi in tre anni; dunque, quei prelievi di 12.500,00 Euro mensili non rappresentavano una sottrazione di attivo ma una modalità di creazione di un fondo per pagare l'avviamento. Peraltro, ad ulteriore conferma dell'assenza di volontà distrattive, egli sottolineava come fosse stato contabilizzato non tutto l'avviamento ma solo quello effettivamente pagato, determinando, in tal modo, un minore costo di esercizio.
Proprio in relazione a tale aspetto, nel rispondere alle domande poste dal Pm, lo Sc. riferiva che il bar Da. aveva un valore molto elevato e che, pur non rispondendo alle regole della buona prassi amministrativa quella di prelevare somme contanti tutti i mesi, ciò poteva essere giustificato da ragioni di natura tributaria, oltre che dalla normativa antiriciclaggio vigente all'epoca. Alla domanda del motivo per il quale un imprenditore, per acquistare un'azienda, dovesse effettuare una sorta di fondo nero per la raccolta del denaro, egli rispondeva che non ne conosceva i motivi, non avendo partecipato alle riunioni del consiglio di amministrazione, ma in ogni caso, a suo avviso, il fatto che quelle voci fossero appostate in contabilità dimostrava la trasparenza dell'operazione.
In ordine, poi, alla condotta di cessione di azienda in favore della So. srl, il consulente osservava che il Gr. Ba. Ri. era gestito dalla IT. spa in forza di un contratto di fitto d'azienda stipulato con la Gr. Ri.; ad un certo punto, non potendo più la IT. pagare il canone di locazione, la Gr. Ri. aveva deciso di recedere dal contratto, sottoscrivendone un altro con la società So. srl, che, da quel momento, aveva assunto la gestione del bar. Restava in piedi, tuttavia, il rapporto di fornitura della IT. spa con la Gr. Ri., continuando la prima a produrre e fornire dolci, anche alla nuova società. Nel frattempo, la fallita aveva iniziato le trattative per rilevare il bar Da.. Non vi era stato, dunque, alcun trasferimento di azienda tra la fallita e la So. srl, atteso che la IT. spa aveva restituito il ramo di azienda alla società proprietaria, la quale, del tutto autonomamente, lo aveva fittato alla So. srl, permanendo, tra la fallita e la nuova società, solo un rapporto di fornitura.
Quanto, infine, alla terza condotta contestata, quella dell'esborso di circa 217 mila Euro in favore della So., il consulente osservava che effettivamente la fallita aveva pagato le bollette (...) della So. srl, ma solo in attesa che la società subentrante effettuasse la voltura del contratto; a conferma di tale assunto, egli rilevava come la IT. spa avesse emesso fattura nei confronti della So. per il pagamento delle somme già pagate. In sostanza, dunque, la fallita aveva solo anticipato gli importi di cui alle forniture (...), ricevendo successivamente in restituzione le somme versare (la fattura di riaddebito cui si riferiva il consulente era allegata alla sua relazione).
In ordine alla fornitura con la Gr., che pure era stata pagata dalla fallita, lo Sc. rilevava che quel latte era destinato al laboratorio di pasticceria, ubicato nel vicoletto adiacente al bar, e che solo per comodità, non potendo il camion accedere alla sede del laboratorio, veniva scaricato sulla strada principale, proprio dove si trovava il Gr. Ba. Ri..
Proseguendo nella ricostruzione delle vicende della fallita, il dottor Sc. si soffermava, poi, sulla condotta, contestata al Nu. al capo B) dell'imputazione, consistente nell'aver egli continuato l'attività, aggravando il dissesto della società, pur in presenza di una sottocapitalizzazione. Ebbene, a tale riguardo, il consulente rilevava che le conclusioni cui era addivenuto il curatore fallimentare non erano coerenti rispetto alle premesse, non potendosi sostenere l'esistenza di una perdita di bilancio sul presupposto di una voce contabile, quella relativa all'ammortamento dell'avviamento, ritenuta falsa.
Del resto, probabilmente, il Nu. non aveva chiesto il fallimento, decidendo di proseguire l'attività, nella speranza di risollevare le sorti dell'impresa con il bar Da..
In conclusione, dunque, non vi sarebbe stata, da parte del Nu. Al., alcuna condotta meritevole di censura.
Ad avviso del Tribunale, tuttavia, la ricostruzione delle vicende societarie, come operata dal consulente di parte, oltre ad essere per molti aspetti del tutto sfornita di prova, si risolve in una prospettazione che, per quanto suggestiva possa sembrare, è assolutamente parziale, non tenendo conto del complesso delle risultanze probatorie, come acquisite all'odierno dibattimento.
In particolare, quanto alla condotta di sottrazione della somma di Euro 335.000,00 mediante prelievi costanti di Euro 12.500,00, annotati in contabilità, non può adeguatamente sostenersi che quelle somme siano state prelevate per far fronte agli impegni assunti con la signora Da. per l'acquisizione dell'omonimo bar, e ciò per una serie di ragioni.
In primo luogo, appare anomalo, oltre che contrario alle regole della buona prassi contabile, che un avviamento commerciale, di importo così elevato, potesse essere pagato in contanti.
Ma, soprattutto, non vi era alcun atto di acquisto a titolo oneroso dell'avviamento commerciale in questione, avendo la difesa prodotto solo una missiva a firma di Nu. Fr., con la quale chiedeva una riduzione degli importi già pattuiti.
Per quale motivo, poi, per pagare un avviamento commerciale si dovesse ricorrere ad una sorta di "fondo nero", davvero non è dato comprendere. La verità è che non vi è alcuna prova che quei denari, annotati in contabilità sotto la voce "immobilizzazioni finanziarie", fossero destinati al pagamento dell'avviamento per il bar Ca. Sc., ex bar Da..
In mancanza di giustificazione, non può non ritenersi che quelle somme fossero prelevate in maniera indebita dagli amministratori succedutisi nel tempo e, da ultimo, da Nu. Al..
Né elementi di segno contrario possono ricavarsi dalle dichiarazioni rese dal teste della difesa Gi. An., dipendente della IT. spa e stretto collaboratore di Nu. Fr., il quale, escusso all'odierno dibattimento, riferiva che tra i progetti imprenditoriali della fallita vi era quello di rilevare il bar Da. al (omissis) e, per questo motivo, erano stati presi accordi con la titolare, Da. Ti., pattuendo, con scrittura privata, l'acquisto del bar per circa due milioni di Euro, somma da corrispondersi in contanti con cadenza mensile; nell'anno 2003, tuttavia, non essendo partita l'attività di ristorazione, il Nu. aveva chiesto alla Da. una riduzione di tale importo. Il teste riferiva ancora che l'attività del bar Da. aveva iniziato ad andare male già nel 2005, anche a causa delle pressioni esercitate dalla proprietaria dell'immobile, le signore Co., le quali avevano chiesto aumenti nel canone di locazione e che, a fronte della perdurante morosità, avevano eseguito uno sfratto, con conseguente pignoramento mobiliare.
Pur nella sua chiarezza, la deposizione del Gi. appare estremamente generica e, soprattutto, non riscontrata da alcun dato fattuale, non essendo stato rinvenuto - giova ripeterlo - alcun accordo scritto, sia pure in forma privata, tra Nu. Fr. e Da. Ti..
Oltretutto, se pure si volesse accedere a tale ricostruzione, mancherebbe comunque la prova che quei prelievi mensili di 12.500,00 Euro in contanti fossero destinati al pagamento dell'avviamento.
Lo stesso Ge. Al., presidente del collegio sindacale della IT. spa, pur operando una ricostruzione della vicenda sostanzialmente analoga a quella fornita dal teste Gi. quanto all'acquisto del bar Da. e agli accordi con la proprietaria, non sapeva spiegare il motivo per cui la somma da corrispondere alla Da. dovesse essere consegnata in contanti.
In realtà, una spiegazione veritiera e plausibile di questi prelievi costanti di denaro da parte del Nu. veniva fornita dalle testi Di Fa. Ca. e Di Fa. Da., escusse ai sensi dell'art. 507 c.p.p. all'udienza del 2.2.2021.
L'importanza che dette dichiarazioni rivestono nel presente giudizio, al fine di comprendere le modalità gestionali di Nu. Al., richiede che ne venga riportato il contenuto, con la precisazione che si tratta di propalazioni particolarmente attendibili, provenendo da soggetti che avevano collaborato a lungo con i Nu., occupandosi proprio del settore della contabilità delle diverse società a loro facenti capo e dunque a diretta conoscenza dei fatti di causa.
Non si ritiene che tale giudizio di attendibilità possa essere minato da un presunto interesse di natura personale delle testimoni (la Di Fa. Ca. era stata ammessa al passivo fallimentare per crediti retributivi e TFR non pagati), o da possibili sentimenti di astio o di rancore verso l'odierno imputato, giacché soccombenti nelle cause di lavoro loro intentate a seguito dei licenziamenti subiti.
Da una lettura delle sentenze prodotte dalla difesa, infatti, emerge chiaramente che i provvedimenti di rigetto dei ricorsi presentati si fondavano sulla accertata carenza dei presupposti normativi per la tutela
richiesta e non già su questioni concernenti il merito della controversia, mai posto in discussione.
Di Fa. Ca. e Di Fa. Da. sono, dunque, testimoni credibili.
Ebbene, Di Fa. Ca. riferiva di aver lavorato, con mansioni di segretaria, per le società della famiglia Nu., occupandosi della contabilità per le società IC. e Ma. srl, che gestiva il bar Az. di via (omissis). Era stata assunta da Nu. Fr. e, alla sua morte, era passata alle dipendenze dei figli Si. e Al., con il quale interagiva anche quando il padre era ancora in vita. Per quanto a sua diretta conoscenza, occupandosi della contabilità, il Nu. Al. riceveva una retribuzione di circa 5.000,00 Euro, laddove le sorelle ne percepivano circa 3.000,00, che egli prelevava ogni settimana direttamente dalle casse della società, mentre alle sorelle la retribuzione veniva accreditata con bonifico bancario; oltre a questa somma, Nu. Al. utilizzava i soldi della società per coprire le spese delle sue carte di credito. La teste affermava che tutte queste uscite erano registrate, su precisa disposizione del Nu., su delle chiavette USB, per non lasciare traccia nei computer fissi dell'ufficio, e ciò perché vi era una doppia contabilità, una ufficiale ed una ufficiosa. Nell'ambito della contabilità ufficiale, tenuta dal commercialista, queste uscite di denaro in favore dei titolari effettivi, i fratelli Nu., venivano giustificate contabilmente come pagamenti verso fornitori, i quali, complici di questo progetto criminoso, emettevano fattura; tra le società coinvolte in questo giro di false fatturazioni vi era la SE. Im.. Ebbene, il descritto sistema era stato utilizzato dapprima per le società IC. e Ma. srl e, successivamente, anche per la So. srl, sui cui conti correnti bancari ella aveva la delega ad operare. Nel corso della deposizione, la De Fa. riferiva di aver prestato la sua attività lavorativa negli uffici del vomero, tranne nell'ultimo periodo in cui era stata trasferita presso gli uffici del (omissis), ove già lavorava sua sorella; qui, aveva ricevuto l'incarico da parte di Nu. Al. e Nu. Si. di distruggere, con macchinette tritacarte appositamente acquistate, tutte le copie della documentazione contabile della IT. spa, mentre gli originali venivano inviati ai commercialisti dello studio Ge..
Aggiungeva, inoltre, di aver lasciato sulla sua scrivania le pen drive su cui registrava abitualmente la contabilità "ufficiosa" allorquando, a seguito di un litigio tra sua sorella e Nu. Si., Nu. Al. le aveva detto che non avrebbe più lavorato per lui.
Sostanzialmente coincidenti, quanto all'esistenza di una "doppia" contabilità e delle condotte di prelievo di contanti poste in essere dall'amministratore della fallita, erano le dichiarazioni rese dalla sorella Di Fa. Da., la quale, sentita alla medesima udienza, dopo aver riferito di essere stata dipendente, a nero, della IT. spa, per poi essere inquadrata come dipendente della So. srl, ove aveva lavorato sino al marzo del 2015, precisava che aveva sempre interagito con Nu. Al. e con le sorelle Si. e Ma., anche se erano Al. e Si. a gestire l'azienda, in quanto Ma. si occupava del bar ma non aveva alcun potere decisionale. Al. e Si. gestivano sia il Ba. Ri. che l'Az. Ca. al (omissis), oltre a la Pa. Na.. Riferiva che era sempre stata retribuita regolarmente, tranne nell'ultimo periodo in cui veniva pagata saltuariamente e spesso in ritardo, a causa delle difficoltà economiche dell'azienda, dovute ai continui prelievi di denaro da parte dei Nu. per scopi personali, sicché gli incassi, che pure vi erano, non riuscivano a coprire le spese, così accumulando debiti verso i fornitori e verso lo Stato per tasse e imposte non pagate: "gli incassi erano belli sostanziosi, cioè il bar lavorava, ha sempre lavorato, soltanto che forse venivano mal gestiti, venivano utilizzati per spese personali...".; Oltre al compenso mensile, infatti, i fratelli Nu. erano soliti prelevare denaro dalla cassa della società per spese personali. Oltretutto, pur avendo le due società, quella del vomero e quella di rione (omissis), gestioni contabili separate, all'occorrenza si prelevava denaro dove ve ne era. Nel rispondere alle domande poste dal Pm, la Di Fa. affermava ancora che vi era una doppia contabilità, una ufficiale ed una ufficiosa; in quella ufficiale vi erano le fatture di IT. spa e di So. srl, che ella provvedeva ad inviare allo studio Ge.. Accanto a questa, la Di Fa., come gli altri dipendenti, annotava a mano su un quadernone gli incassi e le spese personali dei Nu.; si trattava di una sorta di libro spesa giornaliero, istituto per dimostrare come venivano utilizzati i soldi ed evitare possibili contestazioni future. Questa contabilità "parallela" ed ufficiosa veniva registrata, su disposizione dei Nu., su delle pen drive che ogni sera, al termine della giornata di lavoro, il dipendente doveva portare con sé, per evitare di lasciare traccia sui computer dell'ufficio se vi fosse stato un controllo.
Nu. Al., dunque, era solito prelevare denaro contante dalle casse delle società e lo faceva per soddisfare le sue esigenze personali, preoccupandosi di escogitare espedienti per mascherare i prelevamenti. Stando così le cose, appare del tutto evidente che anche quei prelievi mensili di 12.500,00 Euro, in assenza di elementi di segno contrario, non potendosi considerare tali le generiche asserzioni difensive sul punto, rispondessero alla medesima finalità.
Che poi quei prelievi fossero annotati in contabilità sotto la voce di "immobilizzazioni immateriali" è assolutamente coerente con il modus operandi dell'imprenditore, il quale, come si è visto, cercava in tutti i modi di nascondere le reali movimentazioni finanziarie, ricorrendo ad una doppia contabilità per fornire ima parvenza di liecità alle operazioni poste in essere, coinvolgendo anche compiacenti fornitori in un giro di false fatturazioni.
Non sorprende, dunque, che i prelievi di denaro fossero registrati contabilmente.
E non solo.
Oltre a prelevare sistematicamente denaro contante dalle casse sociali, il Nu., nella qualità di amministratore della IT. spa, si era reso autore di altre, e ben più gravi, condotte distrattive del patrimonio societario, cedendo l'azienda corrente in (omissis), alla via (omissis), ove era svolta l'attività di bar pasticceria con la denominazione "Gr. Ba. Ri.", ad altra società, la So. srl, formalmente amministrata dalla sorella, Nu. Si., ma di fatto a lui riconducibile.
La vicenda, puntualmente ricostruita dal curatore fallimentare, può essere sintetizzata nei termini che seguono:
L'attività Gr. Ba. Ri. era gestita dalla IT. spa in virtù di un contratto di fitto di azienda stipulato con la società proprietaria dell'azienda, la Gr. Ri. srl; a seguito di disdetta, il contratto veniva risolto in data 13.7.2007, con consegna dei locali al 31.8.2007.
In data 1.8.2007, la Gr. Ri. srl stipulava un preliminare di fitto di azienda con altra società, la So. srl, amministrata da Nu. Si.. Il definitivo veniva stipulato il 25.1.2008, con decorrenza dall'1.1.2008.
Nonostante la nuova gestione, la IT. non solo non provvedeva a formalizzare all'Agenzia delle Entrate la chiusura della relativa unità locale, ma continuava ad accollarsi le spese della società subentrante e per tutto l'anno 2008, registrandole nella propria contabilità.
Di ciò si è soffusamente parlato.
Quel che qui occorre rilevare è che tali chiarissime ed univoche emergenze non siano affatto superate dalle giustificazioni addotte dal consulente della difesa, dottor Sc., frutto di un'analisi parziale delle vicende in esame ed avulsa dal più ampio contesto in cui queste vicende erano maturate.
In particolare, quanto al pagamento delle forniture (...) per tutto l'anno 2008, non può francamente sostenersi che la fallita avesse solo anticipato tali somme in attesa che la nuova società provvedesse alla formale voltura del contratto, in quanto si era trattato di pagamenti continui e per decine di migliaia di Euro. Sicché, quell'unica fattura di riaddebito, allegata alla relazione di consulenza di parte, emessa dalla IT. spa nei confronti della So. srl non assume alcun significato, essendo gli importi complessivamente pagati ben più elevati.
Oltretutto, la IT. aveva registrato in contabilità anche le fatture (...) relative al laboratorio di pasticceria sito in (omissis) alla via (omissis) ove vi era una unità locale facente capo alla Gr. Ri. srl, proprietaria dell'azienda Gr. Ba. Ri..
Lo stesso dicasi per la fornitura del latte Gr., dell'importo di Euro 70.000,00, pagato dalla fallita, ma destinato, per la parte che non era destinata al ca. Sc., alla So. srl. Anche in relazione a tale evenienza, pare eccessivamente semplicistico riferire che la fornitura era destinata al laboratorio di via (omissis) e che, solo per comodità, era consegnato sulla strada ove si trovava il Gr. Ba. Ri..
Intanto, quel laboratorio, per espressa ammissione del Nu., era stato chiuso nel novembre del 2008, laddove le forniture si riferivano anche ad un periodo successivo. Inoltre, la Gr. spa aveva inviato alla fallita un estratto conto, intestato a "IT. spa - (omissis)", per consegne effettuate dal 19.1.2009 al 24.1.2009, quindi in epoca successiva alla formale dismissione del laboratorio di pasticceria e, soprattutto, alla dichiarazione di fallimento.
Ancora, la fallita aveva commissionato e pagato, nel 2008, la derattizzazione del locale bar e relativo deposito di via (omissis).
In realtà, a rendere sospetta l'intera operazione di cessione, non erano solo i riferiti pagamenti di forniture e utenze, ma le continue movimentazioni di denaro tra le due società, la IT. e la So., come rilevate dal curatore fallimentare e sulle quali il consulente della difesa nulla diceva.
Si è visto, in particolare, che, nell'anno 2008, quasi quotidianamente, la So. srl effettuava anticipazioni di disponibilità liquide alla IT. spa, salvo poi a chiudere il credito maturato con fatture che la IT. a fine mese emetteva per forniture di pasticceria. Vi erano, poi, molte altre anomalie gestionali (anticipazioni di crediti, riduzione di debiti...), tutte sopra analiticamente riportate, certamente sintomatiche di strane commistioni tra le due società, tanto da indurre il curatore fallimentare a sostenere che tutte queste movimentazioni di denaro fossero svincolate da effettive forniture di merci, facendo intravedere nella So. una sorta di "cassa esterna della fallita", anche perché la IT. non aveva più rapporti di conto corrente bancari attivi.
Conclusione, questa, avvalorata dalla disamina di alcune operazioni registrate anche nell'anno 2009, dunque molto tempo dopo che la IT. spa aveva dismesso l'unità locale di via (omissis). Significativa, al riguardo, è una fattura emessa dalla fallita nei confronti della So. nel gennaio del 2009, non relativa a fornitura di pasticceria, ma relativa alla rifatturazione delle materie prime acquisite nel corso del mese di dicembre 2008. Ora, considerando che la So. svolgeva attività di bar e pasticceria, non si comprende per quale motivo avesse acquistato materie prime alimentari, in assenza, peraltro, di documenti di trasporto.
Anche in questo caso era evidente che quel documento contabile servisse solo per fornire una parvenza di liceità a movimentazioni di denaro da una società all'altra, del tutto ingiustificate.
La verità è che la IT. spa continuava a sostenere le spese della nuova società perché erano la stessa cosa.
E proprio per questo, alcuni dipendenti della fallita erano passati a lavorare per la So., così come era accaduto, alcuni anni prima tra la società "Do. e Do. srl", che aveva avuto in gestione il Gr. Ba. Ri. prima della IT. e che era fallita nel 2002, e la IT. stessa. Emblematico è il caso del dipendente Di Ma. Cl., il quale aveva lavorato al Gr. Ba. Ri. per quasi trent'anni, essendo stato assunto nell'anno 1992 e 1993 da Nu. Fr. e che aveva lavorato anche per la IT. spa. Ammesso al passivo fallimentare per alcune spettanze retributive, egli era passato alle dipendenze della So. srl, e, come delegato, aveva presentato, in data 13.2.2008, istanza di avvio del procedimento amministrativo per l'autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
Lo stesso dicasi per le sorelle Di Fa., Ca. e Da., le quali, come sopra rilevato, nel soffermarsi su quella che definivano una vera e propria "doppia contabilità", ufficiale ed ufficiosa, delle società facenti capo alla famiglia Nu. e del giro di false fatturazioni ideato e creato ad hoc per camuffare i continui prelievi di denaro, ne parlavano anche a proposito della So. srl, sui cui conti correnti, peraltro, la Di Fa. Ca. aveva delega ad operare. Nella contabilità "ufficiale", poi, vi erano le fatture sia della IT. che della So., che le donne provvedevano ad inviare allo studio Ge..
Se poi si considera che la società proprietaria dell'azienda Gr. Ba. Ri. era riconducibile sempre al Nu., allora il cerchio si chiude.
Ed, infatti, le quote della Gr. Ri. srl, proprietaria dell'azienda "Gr. Ba. Ri.", appartenevano al 50% alla famiglia Nu. (in particolare il legale rappresentante della fallita, Nu. Al. deteneva il 10% del capitale sociale della Gr. Ri. e deteneva altresì, in comunione con la madre Pa. Ma. e le sorelle Nu. Si. e Nu. Ma., una ulteriore quota di partecipazione del 20%) e, per il restante 50%, alla società IN. IN. e PA. srl, società dotata di organo di controllo coincidente con quello della fallita.
La Gr. Ri. srl, inoltre, era amministrata, sin dal 1994, prima come presidente del consiglio di amministrazione e poi come amministratore unico, da Ge. Al., presidente del collegio sindacale della IT. spa e titolare dello studio ove la società fallita aveva la sede legale.
La Gr. Ri. srl era, poi, socio unico della società Ri. srl in liquidazione, proprietaria dell'azienda corrente in (omissis) alla via (omissis), ove voi era il laboratorio di pasticceria, condotto anche questo, in virtù di contratto di fitto d'azienda, dalla IT. spa.
In sostanza, dunque, erano tutte società facenti capo alla famiglia Nu..
Ed, allora, tornando ai rapporti tra la IT. spa e la So. srl, non si vede come possa sostenersi che la seconda fosse subentrata alla prima nella gestione del Ba. Ri. in virtù di un contratto del tutto autonomo, che sarebbe stato stipulato dal Nu. stesso, nella qualità di socio della Gr. Ri., e dal Ge. Al., quale amministratore di tale società.
La verità è che non si era trattato affatto di un nuovo contratto, ma di una prosecuzione della medesima attività con altra veste societaria, riconducibile sempre al Nu. Al., così come era a lui riconducibile la società proprietaria dell'azienda, la Gr. Ri. srl.
Ciò era stato il frutto di un'attenta pianificazione ed organizzazione, ove si consideri che la So. srl era subentrata alla IT. spa in un momento in cui quest'ultima società aveva già accumulato una consistente debitoria, di più di due milioni di Euro, con perdite di esercizio di centinaia migliaia di Euro, registrate sin dall'anno 2003.
Ed, allora, appare evidente che il piano delittuoso, programmato nel momento in cui si erano accumulati tantissimi debiti, molti dei quali per imposte, tasse e contributi INPS non pagati, era proprio quello di cedere l'azienda, proseguendo l'attività con altra veste societaria, destinando le risorse disponibili alla nuova società e lasciando i creditori completamente privi della benché minima garanzia.
A tale riguardo, non può adeguatamente sostenersi che tale operazione fosse il frutto di un'iniziativa imprenditoriale nell'ambito di un cd. "gruppo di imprese", posto che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sussiste anche in presenza di un'iniziativa economica in sé legittima che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori (cfr. Cass. penale, sez. 5, 1.4.2015, n. 24024).
Ciò perché, se è vero che il trasferimento di un ramo di azienda o la cessione di azienda non rappresenta, in astratto, una operazione illecita, rientrando nella sfera di autonomia dell'imprenditore che mantiene, sino allo spossessamento attuato con la dichiarazione di fallimento, la disponibilità dei beni di cui si compone l'azienda, è pur vero che tale facoltà deve essere esercitata nel rispetto delle norme e dei principi che la regolano.
Va a tale proposito richiamata la sentenza n. 10778 del 10.1.2012, a mente della quale integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione, anche fattuale, di un ramo di azienda che renda non più possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società.
Ne consegue che anche iniziative imprenditoriali, potenzialmente ed astrattamente legittime, possono assumere, per il modo in cui sono attuate, il carattere della illiceità, per i riflessi che hanno sugli interessi del ceto creditorio.
Nel caso in esame è di tutta evidenza la dannosità dell'operazione per i creditori, lasciati completamente senza garanzia.
Va, a tale riguardo, ricordato che, secondo il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, quando sia provato che l'imprenditore abbia avuto a disposizione determinati beni, ove non abbia saputo rendere conto del loro mancato reperimento o non abbia saputo giustificare la destinazione per le effettive necessità dell'impresa, si deve dedurre che li abbia dolosamente distratti, posto che il fallito ha l'obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni acquisiti al suo patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della distrazione o dell'occultamento (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7048 del 27/11/2008).
Non si richiede, peraltro, alcun nesso (causale o psichico) tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (tra le più recenti: Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Si., Rv 261683). La condotta, in altre parole, si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo (in caso, appunto, di bancarotta distrattiva prefallimentare) e comunque esterno alla condotta stessa (cfr. Cass. penale, SU, 31.3.2016, n. 22474).
Quanto all'elemento psicologico della bancarotta distrattiva esso consiste nel dolo generico per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (tra le tante: Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Le., Rv 261348).
Alla stregua delle considerazioni espresse, si ritiene ampiamente provata la consapevole e volontaria realizzazione da parte dell'imputato Nu. Al., nella riferita qualità, di una condotta di distrazione del patrimonio della società fallita, integrante gli estremi della bancarotta fraudolenta patrimoniale prevista dall'art. 216 comma 1 n. 1 della legge fallimentare.
Venendo, poi, alla condotta di irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, il dottor Fa. il curatore rilevava che le stesse erano state regolarmente tenute e ritualmente depositate, osservando, tuttavia, che la fallita aveva tenuto una contabilità finanziaria tale da non consentire una attendibile ricostruzione delle vicende societarie; a titolo esemplificativo, nel 2008, vi era un unico conto acceso a "disponibilità finanziaria" dove venivano registrate compensazioni di partite, anticipi e rimborsi quasi giornalieri nei confronti della So. srl, il cui saldo annuale si aggirava intorno ai 50.000,00 Euro.
Inoltre, negli anni 2002 e 2003 risultavano annotati vari importi (Euro 900.000,00 nel 2002 ed Euro 480,000,00 nel 2003) nel conto "immobilizzazioni finanziarie", come anticipazioni per acquisto di partecipazione in altre società, benché non ci fosse nessun atto di acquisto di società; successivamente, a partire dall'anno 2004, tale voce veniva riclassificata in bilancio come "avviamento" ed iscritta tra le immobilizzazioni immateriali. Allo stesso modo, vi era un altro conto, denominato "crediti diversi", alimentato, a fronte di uscite di cassa di Euro 12.500,00 con cadenza generalmente mensile, sino all'importo di Euro 460,000,00 e poi girocontato, al 31.12.2004, tra le immobilizzazioni immateriali sempre come "avviamento". In totale, dunque, tale voce contabile aveva assunto il valore complessivo di Euro 1.840.000,00, tuttora presente nei conti aziendali della fallita (per Euro 1.650.000,00 circa), senza alcuna reale giustificazione, in assenza - giova ripeterlo - di atti di acquisto di altre imprese.
Si è visto come tale modalità di redazione della contabilità rispondesse alla sola esigenza di non far trapelare le cospicue fuoriuscite di denaro dalle casse della società.
Per questi motivi, la documentazione contabile era del tutto inaffidabile. È allora evidente che il Nu. debba essere dichiarato responsabile anche di tale condotta, realizzata allo scopo di non consentire agli organi fallimentari di verificare il movimento degli affari e l'effettiva consistenza patrimoniale della società fallita e dunque con la finalità di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, in quanto ciò avrebbe potuto far emergere la distrazione dei beni, nei termini sopra esposti.
Ne consegue che risulta comprovata anche la realizzazione di una condotta integrativa di tutti gli elementi costitutivi dell'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216 comma 1 n. 2 della legge fallimentare.
Ciò posto in ordine alla sussistenza dei reati in contestazione e alla riferibilità degli stessi alla condotta dell'odierno imputato, va ora evidenziato come possa ritenersi integrata, a carico del predetto, la circostanza aggravante dell'aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 219, comma 1, L. Fall.), in considerazione dell'elevato valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale e del relativo, gravissimo, danno per creditori insoddisfatti.
Sussiste, inoltre, l'ulteriore aggravante contestata, quella consistente nella realizzazione di più fatti di bancarotta previsti dall'art. 216 legge fallimentare (art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall.).
In ordine, poi, al reato di bancarotta impropria, contestato al capo B)
dell'imputazione, di bancarotta impropria, il Tribunale ritiene che lo stesso debba essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Deve, tuttavia, preliminarmente osservarsi come non siano emersi, dall'espletata istruttoria dibattimentale, elementi per poter addivenire ad una pronuncia assolutoria, essendosi acclarata, anche in relazione a tale fattispecie delittuosa, la penale responsabilità del Nu..
Ed, invero, come puntualmente riferito dal curatore fallimentare, a fronte di una situazione di gravissima crisi aziendale, manifestatasi già nell'anno 2003 ma aumentata in maniera esponenziale nell'anno successivo, rendendosi necessaria l'adozione di provvedimenti di ricapitalizzazione, avendo la società registrato un patrimonio netto inferiore alla soglia di capitale minima per le società per azioni, oltre ad avere un forte indebitamento, superiore al fatturato, l'amministratore Nu. Al., anziché procedere alla messa in liquidazione della società, decideva di continuare l'attività di impresa, così aggravando il dissesto e conducendo la società all'inevitabile fallimento.
Anche in relazione a tale aspetto, peraltro, le osservazioni del consulente della difesa appaiono prive di fondamento.
Lo Sc., in particolare, rilevava come le conclusioni cui era addivenuto il dottor Fa. non fossero coerenti con la premessa, posto che, ritenendo che la voce contabile relativa all'ammortamento , dell'avviamento era falsa, allora quel costo sarebbe inesistente e, dunque, non vi sarebbe alcuna perdita di esercizio.
In realtà, così non è, atteso che la situazione di dissesto aziendale discendeva non tanto, e non solo, da quella voce contabile, ma dalla rilevante debitoria di natura fiscale; sicché, considerata anche la sottocapitalizzazione, l'amministratore non avrebbe potuto, e dovuto, far altro che procedere con la messa in liquidazione della società. Non
averlo fatto ed, anzi, aver deciso di proseguire l'attività aveva certamente aggravato lo stato di decozione, conducendo inesorabilmente al fallimento.
Per le ragioni esposte, dunque, la condotta del Nu. può certamente essere sussunta nell'ambito del delitto previsto dall'art. 217, comma 1 n. 4, L. fall. che, tuttavia, deve ritenersi estinto per intervenuta prescrizione. Ed, invero, considerato che il reato è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, individuato il tempus commissi delicti alla data del 14.1.2009, tenuto conto dell'aumento di un quarto conseguente agli atti interruttivi del corso della prescrizione ai sensi dell'art. 161, comma, 2, c.p., e considerati altresì i periodi di sospensione del corso della prescrizione (dall'udienza del 20.11.2018 a quella del 5.2.2019 per astensione degli avvocati, oltre a 64 giorni, come previsti dall'art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, stante la situazione di emergenza epidemiologica in atto, per complessivi mesi quattro, giorni 19), i termini di prescrizione risultano decorsi alla data del 3.12.2016.
Passando, ora, al trattamento sanzionatorio per i reati di cui al capo A), si ritiene che non possa essere accolta la richiesta, avanzata dalla difesa in sede di presentazione delle conclusioni, volta al riconoscimento della continuazione con i fatti di cui alla sentenza emessa, ai sensi degli artt. 444 ss c.p.p., dal Gup del Tribunale di Napoli in data 4.11.2020, per i reati di bancarotta fraudolenta in relazione ai fallimenti delle società Ri. srl (dichiarata fallita in data 15.9.2016), So. srl (dichiarata fallita in data 20.10.2017) e IC. srl (dichiarata fallita in data 2.4.2019).
Ad avviso del Tribunale, infatti, non vi è alcuna prova in ordine alla ricorrenza, nel caso di specie, dell'identità del disegno criminoso, ravvisabile tutte le volte in cui sia provato che le singole condotte poste in essere costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali e nel quale tutte le azioni siano state prefigurate dall'agente come elementi costitutivi di un piano unitario criminoso, concepito nelle sue componenti caratteristiche ed individuanti.
L'unicità del disegno criminoso, in particolare, può dirsi sussistente là dove, al momento della commissione del primo reato, fosse già riscontrabile la volontà, anche soltanto in termini generici ed eventuali, di commetterne altri, di tal che le singole violazioni possano essere ricondotte ad un progetto unitario, pur non essendo state ideate in maniera precisa e dettagliata fin ab initio (cfr. Cass. pen., sez. III, 22/11/1995, rv. 204716; sez. II, 18/1/1993, rv. 193576).
Tra gli indici rivelatori dell'identità del disegno criminoso le pronunce della Suprema Corte di Cassazione annoverano la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia di reati, l'omogeneità delle violazioni, la causale delle stesse, le condizioni di tempo e di luogo, da valorizzare in vista dell'accertamento di una preordinazione di fondo che consenta di cementare i singoli episodi criminosi (Cass. pen., sez. I, 1/3/2000, rv. 215937).
Ebbene, nel caso che ci occupa, va evidenziata, a fronte di una sostanziale omogeneità delle condotte poste in essere, in violazione delle medesime disposizioni di legge, una notevole distanza temporale intercorsa nella commissione dei vari reati, di tal che si dovrebbe sostenere che, allorquando era fallita la società IT. spa, nel gennaio del 2009, il Nu. avesse già in programma di far fallire anche le altre società del gruppo, società che, al momento del fallimento della IT., non presentavano alcun segno di sofferenza o di crisi finanziaria, tanto da essere dichiarate fallite dopo dieci anni.
In mancanza di prova che vi sia stata una programmazione iniziale delle future, e lontane, condotte di bancarotta, l'istanza deve essere rigettata, e ciò perché il notevole lasso di tempo tra i diversi episodi delittuosi induce a ritenere, conformemente ad un costante indirizzo giurisprudenziale, che il successivo episodio sia frutto di impulsi contingenti, così escludendo la necessaria contiguità delittuosa e risultandone infranta l'identità del disegno criminoso in precedenza descritto.
Sotto diverso profilo, si osserva come i fatti siano estremamente gravi nella loro oggettività, per le macroscopiche dimensioni dell'intera vicenda delittuosa, relativa al fallimento di una importante società, con un passivo di quasi due milioni di Euro, per imposte e tasse non pagate.
Per questa ragione, il Nu., protagonista indiscusso della bancarotta milionaria, non appare meritevole di alcun beneficio.
Su queste basi, stimasi equa la condanna di Nu. Al. alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione (pena base, anni tre di reclusione, aumentata a quella indicata per la contestata aggravante del danno di rilevante gravità), oltre al pagamento delle spese processuali.
Segue, come per legge, l'applicazione, ai sensi dell'art. 216 comma 4 L. fall, delle pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Nu. Al. colpevole dei reati di cui al capo A) dell'imputazione e lo condanna alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 216 ultimo comma, L. Fall., dichiara l'inabilitazione dell'imputato all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.
Letto l'art. 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Nu. Al. in ordine al reato di cui al capo B) in quanto estinto per intervenuta prescrizione.
Letto l'art. 544 c.p.p. fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Napoli, il 18 gennaio 2022
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2022