Tribunale Napoli sez. III, 14/01/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 14/01/2022), n.152
La mera qualità di socio di una società fallita o cessionaria di un ramo d’azienda, senza elementi concreti che dimostrino una partecipazione attiva o omissiva alle condotte distrattive degli amministratori, non è sufficiente per affermare la responsabilità penale del socio per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale.
Svolgimento del processo
Con decreto emesso in data 14.11.2019, il Gup del Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio di Bo. Da. e Gr. Da. per i reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, analiticamente indicati in epigrafe.
All'udienza del 14.12.2021, dopo alcuni rinvii disposti in via preliminare, in assenza degli imputati, ritualmente citati e non comparsi, il Presidente dichiarava aperto il dibattimento e, letto il capo di imputazione, dava la parola alle parti, le quali articolavano le richieste di prova nei termini di cui al verbale di udienza; ammesse le prove richieste dalle parti, venivano acquisite, su accordo delle stesse, le relazioni redatte ex art. 33 L. Fall. dai curatori fallimentari, dottori Im. Tr. e An. Sc., nonché la relazione di consulenza redatta, su incarico del Pm, dal dottor Re. Co. e la sentenza emessa nei confronti dei coimputati. Quindi, escussa la teste Tr. e rinunciando le parti all'audizione di tutti gli altri testi delle proprie liste, il Presidente dichiarava chiuso il dibattimento ed il Tribunale, raccolte le conclusioni del Pm, nei termini riportati in epigrafe, rinviava all'odierna udienza, nel corso della quale, all'esito delle conclusioni della difesa, decideva la causa come da dispositivo letto in udienza, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di legge.
Motivi della decisione
Ritiene il Tribunale che, alla luce dell'espletata istruttoria dibattimentale, non sia risultata provata la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti.
Il presente procedimento, invero, ha ad oggetto i fatti di bancarotta fraudolenta connessi al fallimento delle società M.H. srl e Ma. H. srl, riconducibili ad un gruppo di imprese facente capo alla famiglia Co.; nell'ambito di tali vicende, si ipotizzava il coinvolgimento della Gr. e del Bo. in quanto soci, la prima della Ma. H. srl ed il secondo della società An. Ma. srl, cessionaria di un ramo di azienda della fallita.
In particolare, secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalla dott.ssa Tr. Im., la società Ma. H. srl, il cui oggetto sociale era il commercio al dettaglio di capi di abbigliamento, dichiarata fallita con sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 22.5.2015, era stata costituita nell'anno 1998 e posta in liquidazione in data 11.12.2013. Il capitale sociale ammontava ad Euro 100.000,00 ed era suddiviso tra Co. Ma., detentore di quote per il 50%, la madre Ca. Si., per il 40%, e Gr. Da. per il restante 10%; la Ca. aveva anche ricoperto il ruolo di amministratrice e poi di liquidatrice, dalla costituzione sino al fallimento. L'accesso presso la sede legale, in (omissis), alla via (omissis), consentiva di rinvenirvi alcuni computer e parte della documentazione contabile, mentre nelle unità locali di via (omissis) e di via (omissis) la curatela rinveniva altra società, la An. Ma. srl, esercente la medesima attività della fallita in forza di un contratto di fitto di ramo di azienda stipulato in data 29.5.2014. Con tale contratto, invero, le tre società del gruppo "Co.", la Ma. H. srl, la M.H. srl e la Ch. Ma. srl locavano i rispettivi rami di azienda - ma sostanzialmente, atteso l'oggetto della locazione, le intere aziende - alla neo costituita An. Ma. srl, amministrata da Co. Ca. Ma.; il corrispettivo annuo della locazione era fissato in Euro 132.000,00, ma di tale somma la curatela non aveva percepito nulla.
Tutto ciò induceva a ritenere che la fallita avesse, di fatto, continuato l'attività di impresa avvalendosi di altra veste societaria.
Quanto, poi, alle scritture contabili, non consegnate alla curatrice, la Ca. riferiva che le stesse erano custodite presso la sede legale, in via (omissis); qui veniva effettivamente rinvenuta parte della documentazione, ma in uno stato di conservazione assolutamente confusionario, tale da impedire una corretta ricostruzione delle vicende societarie. L'ultimo bilancio depositato era quello al 31.12.2013, nel quale erano esposte passività per Euro 7.504.440,00, costituite da debiti erariali, verso istituti di credito e verso fornitori, attività per Euro 2.557.239,00, di cui gran parte costituita da crediti, per Euro 1.912.495,00 e da rimanenze, per Euro 441.797,00. Tra i crediti, un importo consistente si riferiva a crediti "infragruppo", cioè verso altre società del gruppo, ed in particolare la Ch. Ma. srl, locatrice del ramo di azienda sito in via (omissis), e la Re. srl, cessionaria dell'immobile sito in via (omissis).
A fronte di tale consistente debitoria, non veniva rinvenuto alcun attivo, ad eccezione di somme assai modeste.
E ciò era del tutto coerente con quella che era una vera e propria strategia imprenditoriale, finalizzata dolosamente a svuotare le casse della fallita, per poi proseguirne l'attività con altre società, apparentemente diverse, ma facenti capo al medesimo gruppo familiare.
Per tutti questi fatti, qui sinteticamente esposti, Ca. Ma., Ca. Si. e Co. Ca. Ma. definivano la loro posizione con sentenza di patteggiamento, concordando l'applicazione della pena di anni tre di reclusione.
Gr. Da. era coinvolta nella vicenda in esame unicamente perché socia, al 10%, della Ma. H. srl.
Tale unico elemento non può essere considerato sufficiente per poter sostenere una responsabilità concorrente dell'imputata, in assenza di elementi comprovanti una sua partecipazione, anche solo omissiva, alle diverse condotte di distrazione concretamente realizzate, nei termini sopra esposti, dagli amministratori della società fallita (cfr. in tal senso, Cass. penale, sez. 5, 23.5.2016, n. 33306).
Per questi motivi, l'imputata va assolta dai reati a lei ascritti per non aver commesso il fatto.
Ad analoghe conclusioni deve addivenirsi con riferimento alla posizione dell'imputato Bo. Da., coinvolto nelle vicende del fallimento della società M.H. srl perché socio della An. Ma. srl, cessionaria di un ramo di azienda della fallita.
Ed, in particolare, come si legge nelle relazioni redatte ex art. 33 L. Fall. dal curatore fallimentare, dottor Sc. An., la società M.H. srl, costituita in data (omissis) e dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli in data 22.5.2015, con un capitale sociale di Euro 100.000,00, equamente suddiviso tra Co. Ma. e Ca. Si., svolgeva attività di vendita al dettaglio di capi di abbigliamento. Al momento del fallimento, amministratrice era Ca. Si., mentre dalla data di costituzione e sino all'1.10.2012, tale carica era stata ricoperta dal Co..
Oltre ad avere la medesima compagine societaria, la fallita aveva la stessa sede legale della Ma. H. srl ed esercitava la propria attività nelle stesse unità locali. Ed anche la fallita, con contratto del 29.5.2014, aveva concesso in locazione il ramo di azienda corrente in via (omissis) alla società An. Ma. srl, amministrata da Co. Ca. Ma., fratello di Co. Ma.
L'ultimo bilancio depositato, al 31.12.2013, evidenziava una perdita di Euro 1.211.632,00 e, contestualmente, una disponibilità liquida di Euro 813.199,00; nel medesimo documento contabile vi erano annotati immobilizzazioni immateriali per Euro 89.447,00, rimanenze finali per Euro 387.710,62 e crediti per Euro 3.378.920,00.
Il passivo ammontava ad Euro 4.155.152,80 ed era costituito essenzialmente da crediti di Equitalia, di istituti di crediti e di fornitori.
A fronte di tale rilevante debitoria, si rinveniva un attivo assai modesto.
Era, dunque, evidente, anche in mancanza di scritture contabili, che tutte quelle poste attive annotate in bilancio fossero state dolosamente distratte, così come era stato certamente distratto, in frode ai creditori, il ramo di azienda di via (omissis), ceduto in affitto in maniera sostanzialmente gratuita ad altra società del gruppo, la An. Ma. srl, amministrata da Co. Ca. Ma. e di cui era socio, per l'80%, Bo. Da..
Sostenere che, sulla scorta di tale unico elemento, il Bo. avesse partecipato alle condotte distrattive concretamente poste in essere dagli amministratori della fallita e delle altre società del gruppo, appare francamente poco aderente alla realtà dei fatti, per come emersa all'odierno dibattimento.
Lo stesso curatore fallimentare, del resto, non menzionava mai l'imputato, il cui nominativo emergeva solo dalla visura della società di cui era socio.
Tale carica formale, tuttavia, in assenza di qualsivoglia atto di gestione o anche solo di implicita adesione a condotte realizzate da altri, non è sufficiente per affermare il coinvolgimento nelle vicende delittuose in esame.
Si impone, dunque, l'assoluzione.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 c.p.p., assolve Bo. Da. e Gr. Da. dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto.
Così deciso in Napoli, l'11 gennaio 2022
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022