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Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale: cessione sottocosto e occultamento contabile (Giudice Diego Vargas)

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Tribunale Napoli sez. III, 09/11/2021, (ud. 05/11/2021, dep. 09/11/2021), n.9522

La condotta di cessione di beni aziendali finalizzata al depauperamento del patrimonio di una società fallita, senza giustificazioni contabili e a valori inferiori rispetto al reale valore dei beni, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Inoltre, la sottrazione dolosa delle scritture contabili, al fine di occultare condotte dissipative, costituisce bancarotta fraudolenta documentale.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto emesso in data 20.5.2014 il Gip del Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio di (...), (...) e (...) per i reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, analiticamente indicati in epigrafe.

Dopo diversi rinvii effettuati in via preliminare, all'udienza del 25.1.2019, svoltasi nei soli confronti degli imputati (...) e (...), essendo intervenuta ordinanza di sospensione del processo per il (...), dichiarato irreperibile in virtù di decreto emesso in data 8.5.2014, il Presidente dichiarava aperto il dibattimento e, letto il capo di imputazione, dava la parola alle parti, le quali articolavano le richieste di prova nei termini di cui al verbale di udienza; ammesse le prove richieste dalle parti, venivano escussi i testi (...) e (...), al termine della cui deposizione il Tribunale disponeva acquisirsi le relazioni redatte ex art. 33 L. fall.

Alla successiva udienza del 15.11.2019, verificata la regolarità delle notifiche disposte nei confronti di (...), dichiarata la sua assenza, il Presidente procedeva alla dichiarazione di apertura del dibattimento e, sentite le parti, veniva disposta la riunione dei procedimenti, dichiarando utilizzabili, con il consenso della difesa, tutte le prove già assunte. Quindi, rinnovato il dibattimento stante la diversa composizione del collegio giudicante, veniva escussa la teste (...) ed acquisito il verbale di sommarie informazioni dalla stessa reso in data 14.3.2004.

L'istruttoria dibattimentale proseguiva all'udienza del 14.2.2020, nel corso della quale, sentito il teste (...), il Tribunale disponeva acquisirsi, su accordo delle parti, i verbali di sommarie informazioni rese nelle date del 17.5.2004, del 16.9.2004, del 20.9.2004 e del 23.9.2004; escusso il teste (...), luogotenente cariche speciali, sezione PG presso la procura di Sant'Angelo dei Lombardi, si acquisivano altresì i verbali di sit di (...) del 15.11.2004 e del 6.12.2004.

All'udienza del 29.1.2021, dopo un rinvio determinato dalla situazione di emergenza epidemiologica in atto (COVID 19), veniva acquisito, stante l'irreperibilità del dichiarante, il verbale di sommarie informazioni rese dal teste (...). Quindi, si procedeva ad escutere la teste (...). Si acquisivano, infine, sempre ai sensi dell'art. 493,3 comma, c.p.p., il verbale di sommarie informazioni rese da (...) e la denuncia sporta da (...), mentre, alla successiva udienza del 7.5.2021 venivano acquisite le sit provenienti da (...) in data 13.7.2004. In quella sede veniva risentita anche la teste (...).

All'odierna udienza, mutato il Collegio giudicante, si disponeva la i-innovazione del dibattimento, dichiarando utilizzabili tutte le prove già assunte. Quindi, il Presidente dichiarava chiuso il dibattimento e, sulle conclusioni rese dalle parti, il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, decideva la causa come da dispositivo letto in udienza, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di giorni trenta.

Motivi della decisione
Il Tribunale ritiene che, all'esito dell'espletata istruttoria dibattimentale, possa dirsi inequivocabilmente provata la penale responsabilità dell'imputato (...) in ordine a tutti i reati a lui ascritti e dell'imputato (...) in relazione al delitto di bancarotta patrimoniale, come contestato al punto 1) dell'imputazione. Diversamente, si ritiene che nei confronti del (...) non siano emersi elementi per poter adeguatamente sostenere il suo coinvolgimento nella vicenda che ci occupa.

Ed, invero, come è emerso dalla deposizione della dott.ssa (...) e dalle relazioni redatte ex art. 33 L. Fall., acquisite agli atti di causa, la società (...) srl, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli del 7.7.2004, con sede legale in Napoli, alla via (...) n. 4 presso lo studio di un commercialista e sede operativa in Calitri, provincia di Avellino, svolgeva attività di produzione e commercializzazione di prodotti e componenti meccanici. Il fallimento era stato dichiarato su ricorso di un dipendente, (...), e di un fornitore, la società (...) srl.

Al momento della costituzione, il capitale sociale, di Euro 98.480,00, era equamente suddiviso tra (...) e (...), mentre l'amministratore unico era (...), il quale era rimasto in carica sino al 3.11.2003, allorquando era subentrato (...), formalmente amministratore anche alla data del fallimento, benché, come emergeva da un verbale di assemblea ordinaria del 12.2.2004, egli in quella data aveva rassegnato le dimissioni in favore di (...); il verbale, tuttavia, non era stato trascritto al registro delle imprese e, dunque, non aveva alcuna valenza. Di conseguenza, il (...) non aveva mai formalmente assunto le funzioni.

Nel corso della deposizione, la dott.ssa (...) riferiva che, dopo un primo accesso, del tutto infruttuoso, presso la sede legale, si era recata presso la sede operativa, in Calitri. Qui vi era uno stabilimento, completamente inoperativo, in una capannone, quasi del tutto vuoto, all'interno del quale venivano rinvenuti solo alcuni beni mobili, ma di scarsissimo valore, venduti per 1.600,00 Euro, oltre ad un autocarro, situato sul piazzale esterno, valutato circa 400,00 Euro. Successivamente, all'esito dell'interrogatorio degli amministratori succedutisi nel tempo, il (...) ed il (...), i quali dichiaravano che la maggior parte dei beni era stata venduta alla società (...) di Piacenza, la curatrice si recava in quella città, presso la sede di tale società, ove rinveniva i numerosi macchinari della fallita, che tuttavia erano sotto sequestro in un altro procedimento penale, pendente presso il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. Di ciò si parlerà nel prosieguo.

Qui occorre rilevare come, ottenuto dalla curatela il dissequestro dei cespiti, venivano fatti valutare e poi venduti al prezzo di Euro 44.480,00. Oltre a tale somma, si riusciva a incassare dei crediti, tra cui quelli vantati nei confronti della società (...), destinataria di un pignoramento presso terzi eseguito dalla società (...) srl, a sua volta creditrice della fallita, con la quale la curatela riusciva a stipulare una transazione, incassando il relativo importo. In totale, si realizzava, dunque, un attivo di Euro 314.753.63.

A fronte di tale attivo, vi era un passivo di oltre un milione di Euro (1.043.660,00), costituito essenzialmente da crediti di ex lavoratori, crediti di (...) per imposte e tasse non pagate, oltre che crediti di alcuni fornitori e di un professionista. Secondo quanto emerso all'esito delle indagini condotte dalla procedura fallimentare, tale consistente debitoria si era formata nei due anni antecedenti il fallimento. Quanto alla compagine societaria, si è visto come il capitale sociale fosse detenuto in parti uguali, dalla costituzione e sino al gennaio del 2004, da (...) e (...); con atto del 28.1.2004, preceduto da un accordo quadro del 26.1.2004, le due socie cedevano l'intero capitale della fallita alla società (...) s.c. a r.l., legalmente rappresentata da (...), e a (...), socio della (...), al prezzo di Euro 361.500,00, di cui Euro 3.000,00 versati al momento della stipula dell'atto con assegno circolare e la restante parte da pagarsi con otto assegni postdatati, risultati poi impagati per assenza di fondi, come riferito dalla (...) in sede di presentazione della denuncia e confermato, come si vedrà, dall'istruttoria dibattimentale nel processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. Contestualmente, con un atto tuttavia non trascritto, veniva deliberato il cambio dell'amministratore, da (...), il quale aveva presentato le sue dimissioni, a (...).

Ebbene, a seguito di detta cessione, la (...), in data 12.3.2004, dopo essere divenuta socia unica della (...) srl, vendeva i beni societari alla (...) S.r.l. di Piacenza, legalmente rappresentata da (...), al prezzo di Euro 204.000,00, come da fattura prodotta agli atti.

Per questi fatti, il (...) e la (...) sporgevano denuncia di truffa, acquisite le quali la curatela provvedeva a nominare un avvocato. Questi, secondo quanto riferito dalla dott.ssa (...) all'odierno dibattimento, concludeva nel ritenere che la (...) srl, nell'acquistare i beni aziendali della fallita, aveva realizzato un acquisto a non domino, posto che la (...), quale socio della (...) srl, non aveva alcuna legittimazione alla vendita.

I beni, dopo essere stati dissequestrati, venivano dunque appresi alla massa del fallimento, valutati da un perito e venduti al prezzo di circa 43.000,00 Euro.

Stando alle dichiarazioni rese al curatore fallimentare dal (...) e dal (...), tuttavia, questi beni avevano un valore ben più elevato, di circa due milioni di Euro, sicché la indebita sottrazione degli stessi aveva di fatto determinato il dissesto della società.

Nel corso dell'interrogatorio svoltosi dinanzi al curatore, il (...) precisava inoltre di aver consegnato l'azienda, con tutti i macchinari e la documentazione contabile, nella mani del (...), allorquando egli aveva assunto la carica di amministratore, il 12.2.2004, aggiungendo che, da quel momento, il (...) non si era fatto più vedere ed aveva completamente svuotato l'azienda. Per tutti questi fatti, egli aveva sporto denuncia dopo essere stato informato dalla (...). Quanto alle scritture contabili, non rinvenute dal curatore, il (...) riferiva di averle consegnate al (...) ed il (...) di averle consegnate al (...), ma non vi era alcun verbale di consegna, né dal (...) al (...), né da questi al (...).

Ebbene, così esposte le risultanze dell'attività di indagine condotta dalla curatela fallimentare, occorre rilevare come dette emergenze abbiano ricevuto, all'odierno dibattimento, adeguati ed importanti riscontri, costituiti essenzialmente dalle dichiarazioni rese dai soggetti a vario titolo coinvolti nelle descritte operazioni illecite, primo tra tutti (...).

Questi, in particolare, nel corso della denuncia sporta in data 13.3.2004, acquisita dal curatore e prodotta all'odierna udienza su accordo delle parti, riferiva che, nella qualità di ex amministratore della (...) S.r.l. e formale amministratore, non essendo state registrate le sue dimissioni, aveva appreso da (...), ex socia della fallita, che una ex dipendente, (...), le aveva detto che dallo stabilimento della fallita erano stati prelevati tutti i beni, i macchinari e le attrezzature, caricati su tre grossi tir. Recatosi personalmente presso lo stabilimento della (...) S.r.l. insieme alla (...), egli constatava la fondatezza dell'informazione, verificando personalmente che erano stati prelevati non solo le attrezzature e i beni strumentali, ma anche i computer e di documenti di ufficio, nonché tutte le materie prime. Il denunciante precisava che, all'atto delle sue dimissioni, nel capannone ove si svolgeva l'attività di impresa vi erano tutti i macchinari, le attrezzature, i documenti e le materie prime, indebitamente sottratti. Avendo saputo che tutti questi beni erano stati ceduti alla (...) S.r.l. di Piacenza, rilevando che il socio non potesse disporre dei beni societari, avendo comunque la società distinta personalità giuridica, si determinava a denunciare l'accaduto.

I fatti erano denunciati anche da (...), la quale, in occasione della querela presentata in data 10.5.2004, oltre a denunciare la vendita dei macchinari alla (...) di Piacenza, forniva importanti precisazioni anche in merito alla cessione delle quote in favore della (...) e del (...), dichiarando che il primo degli assegni versati dalla cessionaria quale corrispettivo della vendita era risultato impagato per mancanza di autorizzazione, non essendovi fondi sufficienti. Escussa all'udienza del 29.1.2021, la (...) riferiva di aver venduto le sue quote sociali nel gennaio del 2004 e che, nel febbraio 2004, nell'amministrazione della fallita, al (...) era subentrato il (...). La società acquirente, la (...) s.c. a r.l., in persona del (...) che ne era l'amministratore, aveva comunque chiesto ai vecchi proprietari un aiuto per poter iniziare l'attività di impresa, parzialmente diversa da quella da loro svolta sino a quel momento. La teste proseguiva riferendo che, mentre si trovava all'estero per problemi familiari, era stata poi contattata da una dipendente, (...), la quale le comunicava, che la nuova proprietà aveva detto loro che il 20 marzo l'attività sarebbe ripresa e dunque non vi sarebbero stati licenziamenti; la (...) aggiungeva tuttavia di aver visto dei tir caricare i macchinari. La (...) si recava, dunque, presso il capannone della (...) srl, constatando che era stato completamente svuotato. Ciò accadeva nel mese di marzo 2004.

Nel rispondere alle domande delle parti in ordine all'atto di cessione delle quote, la teste precisava di aver condotto le trattative con (...), (...) e (...), i quali si erano presentati in azienda come persone della (...), asserendo di essere interessati all'acquisto, mentre il (...) era subentrato in un secondo momento quale amministratore della (...). Del prezzo pattuito aveva praticamente ricevuto solo 3.000,00 Euro, consegnati in contanti al momento della stipula dell'atto; quanto agli assegni, il primo con scadenza al 30.3.2004, era risultato impagato per mancanza di fondi. In ogni caso, ella ribadiva, alla trattativa e alla stipula del contratto il (...) non aveva partecipato.

In relazione, poi, ai macchinari e le attrezzature siti nel capannone di Calitri, vendute alla (...) di Piacenza, la teste riferiva che valevano circa due milioni di Euro, ed era certa di tale circostanza, avendoli acquistati personalmente.

Sentita in data 14.3.2004 a sommarie informazioni, (...), dipendente della (...) S.r.l. dal 16.1.1995, confermava in toto quanto dichiarato dal (...) e dalla (...), riferendo che, la sera dell'11.3.2004, veniva contattata da una sua collega, (...), la quale le riferiva di aver visto, nello stabilimento della società per cui lavorava, sito in Calitri, degli operai che stavano caricando del materiale su alcuni tir, precisando che sul posto vi erano anche i Carabinieri. Insospettita dalla notizia, allertava immediatamente un collega, (...), il quale, recatosi in fabbrica per verificare cosa stesse accadendo, confermava la veridicità della notizia. Entrambi, quindi, si preoccupavano di informare la (...), quale ex proprietaria della (...) srl, mentre i tentativi di contattare il ragioniere Potuto Pierangelo e il dottor (...), quale commercialista esterno della nuova società, la (...), non avevano alcun esito.

In realtà, la vicenda della vendita dei beni della (...) S.r.l. alla (...) di Piacenza è ben tratteggiata dai dirigenti della società piacentina.

In particolare, (...), amministratore della (...) ((...) srl) di Piacenza dal 2003 al 28.1.2004, e successivamente socio consigliere, escusso in data 17.5.2004 (verbale di sit acquisito agli atti di causa all'udienza del 14.2.2020), riferiva di non conoscere la (...) srl, ma di essere a conoscenza del fatto che, in data 11.3.2004, la (...), coordinata a diretta per tali operazioni da (...), il quale curava la parte commerciale dell'azienda piacentina, aveva prelevato macchinari ed attrezzature dallo stabilimento di Calitri della (...) srl, in quanto detti beni erano stati ceduti alla (...) dalla (...) scarl, con sede in Sesto Fiorentino. La cessione era stata curata dal (...). In particolare, il 27.2.2004, il (...), dopo aver visionato l'attrezzatura e i macchinari nello stabilimento di Calitri, aveva inviato una proposta di acquisto di tale merce al (...), della (...), per il prezzo di Euro 204.000,00; avendo la (...) accettato l'offerta ed incassato il corrispettivo, il (...) si recava in Calitri con dei camion e prelevava le attrezzature e i macchinari, depositandoli poi presso la sede della (...); qui, la merce non idonea all'attività di tale società veniva rottamata. Alla deposizione venivano allegate fatture e documenti di trasporto della vendita, nonché missive tra la (...) e la (...) e fotografie a colori dei macchinari e delle attrezzature prelevate dallo stabilimento di Calitri.

Risentito in data 16.9.2004, il (...) precisava che la transazione commerciale tra la (...) e la (...) di Sesto Fiorentino, afferente il prelevamento di attrezzature e di macchinari dallo stabilimento di Calitri della (...) S.r.l. di Napoli, era stata curata dal (...) in quanto responsabile commerciale della società; il prezzo, di Euro 204 mila, pattuito per l'acquisto di dette attrezzature, era stato corrisposto mediante dazione dal (...) a tale "(...)" e a tale (...), che operavano per conto della (...), di 4 assegni bancari e della somma contante di Euro 100.000,00, materialmente corrisposta al (...) nello stabilimento di Calitri prima del ritiro della merce, avvenuto il 12.3.2004. Nel corso della deposizione, il (...) esibiva e produceva missive ed e-mail tra il (...), per conto della (...), e la (...) srl, concernenti tutte la vendita dei beni della (...), in particolare: - fattura n. 7/2004 del 25.2.2004 emessa dalla (...) nei. confronti della (...) dell'importo di Euro 204.000,00; - comunicazione fax pervenuta dalla (...) alla (...) in data 26.2.2004; - offerta n. 130/04 del 27.2.2004 della (...) S.r.l. indirizzata a (...), afferente l'acquisto di macchinari ed attrezzature presenti presso la (...) srl; - missiva inviata dalla (...) S.r.l. a tale (...), presumibilmente dipendente della (...) srl.; - missiva inviata dalla (...) alla (...) S.r.l. in data 16.3.2004 contenente le motivazioni sottese alla contestazione di problematiche di natura tecnica dei macchinari. Altra documentazione veniva prodotta dal dichiarante nel corso delle sommarie informazioni rese in data 23.9.2004. Nell'occasione, egli consegnava agli inquirenti la scheda di sottoconto di partitario intestata alla (...), da cui si evinceva che l'unico rapporto commerciale tra la (...) e la (...) era quello relativo alla vendita dei beni della (...) srl, di cui sopra.

Anche (...), sentito a sommarie informazioni in data 15.11.2004 quale consigliere della (...) srl, forniva importanti dettagli proprio in merito all'operazione di acquisto dei macchinari della fallita, dichiarando che, nel marzo del 2004, dopo aver ricevuto una richiesta espressa da parte del (...), socio e responsabile commerciale della società piacentina, aveva provveduto a mettere a disposizione alcuni dipendenti della (...) per procedere al ritiro della merce acquistata presso lo stabilimento di Calitri. Prelevata, dunque, la merce e depositata nel magazzino della (...), la stessa veniva pagata con alcuni assegni bancari materialmente compilati dalla segretaria, (...), e da lui sottoscritti, pur non avendo ricevuto alcuna preventiva comunicazione. Nel riconoscere, nel corso della deposizione, la firma di traenza sui titoli che gli venivano mostrati, non ricordava quanti assegni avesse firmato né per quale importo. Precisava, inoltre, di non aver avuto alcun ruolo nella descritta operazione commerciale, se non quello di aver fornito personale al (...) per effettuare lo smontaggio, il prelevamento ed il trasporto dei macchinari dallo stabilimento di Calitri, atteso che non si interessava degli aspetti commerciali della società per la quale lavorava. Per questa ragione, non sapeva nulla delle condizioni contrattuali di tale operazione di acquisto, interamente gestita dal (...). Non sapeva neanche fornire alcuna spiegazione del motivo per cui parte degli assegni bancari, per Euro 100.000,00, fossero stati prima cambiati in contanti e poi corrisposti alla (...), trattandosi di un modus operandi del tutto anomalo, posto che era prassi consolidata quella di effettuare i pagamenti delle forniture con bonifici bancari o con assegni, ma mai in contanti.

Risentito in data 6.12.2004 presso la sede della (...), il (...) dichiarava di aver ivi rinvenuto quasi tutta l'attrezzatura e i macchinari industriali prelevati dal (...) dallo stabilimento della (...) srl, fornendo un elenco dettagliato (vedi sul punto verbale di sit allegato agli atti).

(...), infine, escusso a sommarie informazioni in data 11.8.2004 nella qualità di legale rappresentante della ditta individuale "(...) di (...)", sita in Firenze, che si occupava di accessori per pelletteria, ma non più operativa da quindici anni, riferiva che un suo amico, il commercialista (...), gli aveva parlato dell'acquisto di una società, la (...) S.r.l. di Calitri; recatosi presso la sede della società, aveva avviato le trattative per l'acquisto con (...), la quale aveva proposto, come prezzo di vendita, 800 milioni di Lire. Nel corso della trattativa, parlando con (...), che aveva conosciuto per lavoro, gli aveva girato la proposta ricevuta, dopo averne parlato anche con il suo commercialista, (...). Concluse verbalmente le trattative, riferiva di essersi poi recato a Napoli, insieme al (...), per formalizzare la cessione delle quote; nell'occasione, tuttavia, era venuto a conoscenza del fatto che alcuni dipendenti avevano presentato istanza di fallimento e che vi erano diversi debiti con istituti di credito. Proprio presso la sede della (...) S.r.l. egli, inoltre, aveva conosciuto un rappresentante della (...), con cui non aveva avuto più alcun rapporto, avendo nel frattempo deciso di recedere dal suo incarico di capo reparto. Per questa ragione, egli non sapeva riferire nulla in merito agli aspetti finanziari dell'acquisto.

Parzialmente diversa sembrerebbe essere la versione dell'accaduto fornita proprio da (...), quale, sentito dagli inquirenti in data 13.7.2004 (verbale di sit acquisito agli atti), riferiva di aver seguito contabilmente la (...) dall'anno 2000 ed aveva continuato a farlo anche nel 2003, allorquando il presidente di tale società, (...), gli aveva chiesto, insieme a (...), una consulenza per l'acquisto della società (...) srl. A tale riguardo, egli dichiarava che, non potendolo fare in prima persona, il (...) aveva deciso di appoggiarsi alla (...) per procedere all'acquisto e, dopo diversi incontri ad Avellino, veniva stipulato dinanzi al notaio l'atto di cessione delle quote. Da controlli effettuati personalmente egli aveva tuttavia accertato che la (...) S.r.l. era già soggetta a fallimento, su ricorso presentato da alcuni dipendenti, ed aveva posizioni debitorie con la (...). Nonostante tale situazione, il (...) ed il (...) avevano deciso di procedere comunque all'acquisto e proseguire l'attività della (...) S.r.l. cambiando la tipologia di lavorazione. Per questo motivo, contattata la (...) di Piacenza, si erano accordati per il ritiro dei vecchi macchinari e la sostituzione con altri, più nuovi. Ritirati i macchinari, la (...) si era resa conto che non erano conformi alle normative vigenti e, per questo, aveva chiesto un risarcimento per le spese di smontaggio e trasporto. A fronte di tale inaspettata richiesta, il (...) e il (...) contattavano la (...) chiedendole di non porre subito all'incasso gli assegni, ma la donna, pur fornendo assicurazioni in tal senso, li aveva comunque presentati in banca per l'incasso. È, tuttavia, evidente come la ricostruzione operata dal (...), non solo in relazione alla sorte dei titoli consegnati alla (...) quale corrispettivo della cessione delle quote sociali della (...) S.r.l. ma anche con riferimento alle trattative condotte con la (...) per l'acquisto dei beni della fallita, oltre ad essere poco verosimile, sia sconfessata in foto dalle ulteriori emergenze processuali, come sin qui esposte, e segnatamente dalle dichiarazioni rese dalla (...) da un lato e dalle propalazioni rese dai dirigenti della società piacentina dall'altro. Del resto, proprio sulla scorta delle dichiarazioni provenienti da tutti i soggetti interessati alla descritta operazione commerciale, corroborate dalla documentazione acquisita, la Procura di Sant'Angelo dei Lombardi formulava specifiche contestazioni.

A tale riguardo, il luogotenente cariche speciali in servizio presso la PG della menzionata Procura della Repubblica, (...), escusso all'udienza dibattimentale del 14.2.2020, riferiva che, nel corso delle indagini condotte in ordine ad una presunta truffa perpetrata da alcuni imprenditori toscani ai danni della società (...) srl, si accertava che, in data 26.1.2004, era stato stipulato un accordo, formalizzato con atto notarile del 28.1.2004, di cessione di quote, nel quale (...)

Giuseppina, detentrice del 50% delle quote, cedeva la sua parte del capitale sociale alla società (...), mentre l'altra socia, (...), cedeva il 20% delle quote alla (...) ed il restante 30% a (...), socio della (...). Il corrispettivo della cessione era pattuito in Euro 341.500,00, di cui Euro 3.000,00 corrisposti in contanti al momento della stipula dell'atto ed il resto con 5 assegni postdatati (con scadenze fissate al 31 marzo, 30 aprile, 31 luglio e 30 settembre) tratti dal conto corrente acceso presso la filiale di Bagno di Ripoli della (...) di Pontassieve.

Ebbene, dall'attività investigativa emergeva che il primo di questi assegni non veniva pagato, in quanto sul conto corrente non vi erano disponibilità economiche. In ogni caso, dopo alcuni giorni, e precisamente il 12.2.2004, il (...), amministratore della (...) srl, rassegnava le sue dimissioni e veniva nominato (...). Il 23.2.2004, dopo soli 11 giorni, il (...) dava le dimissioni da Presidente della (...), cedendo le sue quote a (...). Poi, il 27.2.2004, dopo appena 4 giorni, il (...) si accordava con la società (...) di Piacenza cui vendeva tutto il patrimonio immobiliare della (...) srl, come documentato dalla fatture e documenti di trasporto acquisiti, e prodotti agli atti. Il prezzo della cessione era fissato in Euro 205.000,00; di tale importo, come riferito dal (...), amministratore della (...), Euro 100.000,00 erano stati corrisposti in contanti a (...), (...) e (...), ma non se ne rinveniva traccia, mentre Euro 105.000,00 erano stati pagati con quattro assegni, tutti andati a buon fine. Di questi assegni, si accertava che 15.000,00 Euro erano stati corrisposti a (...) ed Euro 90.000,00 a (...), il quale, nel trattenere per sé la somma di Euro 44.800,00, dava 20.000,00 Euro a (...) e altri 16.000,00 a (...). Tutto ciò - ribadiva il teste - avveniva quando la (...) non aveva ancora incassato il primo degli assegni, di Euro 11.500,00, scadente il 31.3.2004, che le erano stati consegnati per la cessione delle quote. La cadenza temporale degli eventi è davvero impressionante. In buona sostanza, dunque, la società (...) s.c. a r.l., dopo aver acquistato, in data 28.1.2004, la proprietà della (...) S.r.l. pagandola con assegni postdatati, risultati non coperti, dopo meno di un mese, e precisamente il 27.2.2004, vendeva i beni della fallita alla società (...) S.r.l. di Piacenza, al prezzo, assolutamente sottostimato, di Euro 205.000,00, ricevendo, subito e in contanti, la somma di Euro 100.000,00 e la restante parte con assegni, regolarmente pagati e divisi tra (...), (...), (...) e, naturalmente, (...), dominus indiscusso di tutta l'operazione. È di tutta evidenza che le due vicende, quella dell'acquisto della (...) S.r.l. da parte della (...) e quella, di poco successiva, della vendita, da parte della società cessionaria, di tutti i beni della fallita alla (...) di Piacenza, costituiscano parte di un unico programma, finalizzato a rilevare gratuitamente una società, probabilmente già in crisi, solo per svuotarne le casse ed incamerare il corrispettivo della vendita dei beni aziendali.

Diversamente opinando, non si comprenderebbe la ragione per la quale, dopo aver incassato centinaia di migliaia di Euro dalla società piacentina, quei soldi siano stati intascati dai dirigenti della (...) e non destinati a coprire gli assegni consegnati alla (...) e alla Russo per la cessione delle quote sociali.

L'aver incamerato quei denari fornisce, a parere del Tribunale, una importante chiave di lettura di tutta la vicenda in oggetto, perfettamente inquadrabile nello schema del delitto di truffa, come correttamente ritenuto dalla Procura presso il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. La circostanza che quel processo si sia concluso con una pronuncia assolutoria non muta i termini della questione, posto che, come si legge nella sentenza emessa in data 2.2.2011 dal Gm del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi, acquisita agli atti di causa su accordo delle parti, il giudice adito, pur riconoscendo la piena fondatezza dell'impianto accusatorio, rilevava che i fatti, come riferiti nelle denuncie e pienamente provati nella loro materialità, non potessero essere inquadrati nell'ambito del paradigma normativo del delitto di truffa, non costituendo la consegna di assegni postdatati condotta ingannatoria. In ogni caso, prescindendo da valutazioni estranee alle odierne contestazioni, quel che in questa sede occorre ribadire è che l'operazione di acquisto della (...) S.r.l. da parte della (...), per come concretamente ideata e realizzata, era chiaramente ed inequivocabilmente finalizzata a svuotarne dolosamente il patrimonio, incamerandone il corrispettivo e lasciando il ceto creditorio senza alcuna minima garanzia.

Alla stregua delle considerazioni espresse, si ritiene ampiamente provata la consapevole e volontaria realizzazione di una condotta di distrazione del patrimonio della società fallita, integrante gli estremi della bancarotta fraudolenta patrimoniale prevista dall'art. 216 comma 1 n. 1 della legge fallimentare.

Va, a tale riguardo, ricordato che, secondo il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, quando sia provato che l'imprenditore abbia avuto a disposizione determinati beni, ove non abbia saputo rendere conto del loro mancato reperimento o non abbia saputo giustificare la destinazione per le effettive necessità dell'impresa, si deve dedurre che li abbia dolosamente distratti, posto che il fallito ha l'obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni acquisiti al suo patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della distrazione o dell'occultamento (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7048 del 27/11/2008).

Non si richiede, peraltro, alcun nesso (causale o psichico) tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (tra le più recenti: Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683). La condotta, in altre parole, si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo (in caso, appunto, di bancarotta distrattiva prefallimentare) e comunque esterno alla condotta stessa (cfr. Cass. penale, SU, 31.3.2016, n. 22474).

Quanto all'elemento psicologico della bancarotta distrattiva esso consiste nel dolo generico per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (tra le tante: Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Le., Rv 261348).

È evidente che tale condotta debba essere ascritta non solo all'imputato (...), quale amministratore della società (...) scarl, proprietaria delle quote della (...) S.r.l. e, come si è visto, regista indiscusso di tutte le operazioni compiute ai danni di tale ultima società, e dei creditori sociali, ma anche al (...), socio della (...).

In questa veste, egli risponde certamente della bancarotta per distrazione, posto che, come sostenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, "In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale societaria per distrazione, integra l'ipotesi di concorso dell'"extraneus" nel reato di cui all'art.. 223, comma secondo, n. 1, L. fall., la condotta del socio e procuratore speciale della società fallita che abbia contribuito alla cessione, materialmente posta in essere dall'amministratore, del patrimonio immobiliare della società in decozione ad altra società della quale egli stesso era socio-amministratore, senza che sia stato poi effettivamente pagato il prezzo pattuito" (cfr. Cass. penale, sez. 5, 23.5.2016, n. 33306).

Il (...), del resto, aveva attivamente partecipato alle trattative per la vendita dei beni della fallita alla società di Piacenza, incamerando una parte consistente del corrispettivo.

Venendo, poi, alla condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle scritture contabili, non rinvenute dal curatore, né depositate dopo la dichiarazione di fallimento della società, il Tribunale ritiene sufficientemente provato, alla stregua delle complessive risultanze probatorie come sin qui esposte, che le stesse siano state consegnate dal (...) al (...) all'atto del subentro di questi nella carica di amministratore della società.

Poco rilevante appare, a tale riguardo, la mancanza di un verbale di consegna di detta documentazione, essendosi inequivocabilmente acclarato, dall'espletata istruttoria dibattimentale, che con le sue dimissioni, rassegnate in data 12.2.2004 e dunque in epoca successiva alla cessione delle quote alla (...), legalmente rappresentata da (...)

Valter, il (...) avesse di fatto cessato ogni funzione in seno alla fallita.

Di tal che appare del tutto corrente che abbia anche consegnato al nuovo amministratore le scritture contabili.

Su queste basi, allora, (...) va mandato assolto dal reato di bancarotta documentale, a lui ascritto, con la formula di cui al dispositivo.

Ad analoga pronuncia assolutoria deve pervenirsi con riferimento alla posizione di (...), socio della (...) e, in quanto tale, non soggetto ad obblighi concernenti la tenuta, la conservazione e la esibizione di scritture contabili.

È infatti evidente che della dolosa sottrazione della contabilità debba rispondere solo l'amministratore in carica della (...) srl, (...), per il quale si ritiene ampiamente ed univocamente provata la riferibilità della descritta condotta di sottrazione delle scritture contabili, realizzata allo scopo di non consentire agli organi fallimentari di verificare il movimento degli affari e l'effettiva consistenza patrimoniale della società fallita e dunque con la finalità di procurasi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, in quanto ciò avrebbe potuto far emergere tutte quelle condotte dissipative, sopra esaminate. Ne consegue che risulta comprovata anche la realizzazione di una condotta integrativa di tutti gli elementi costitutivi dell'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216 comma 1 n. 2 della legge fallimentare.

Ciò posto in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 1) e 2) dell'imputazione, va ora evidenziato come possa ritenersi integrata, solo a carico del (...), la circostanza aggravante dell'aver commesso più fatti di bancarotta previsti dall'art. 216 legge fallimentare (art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall.), che deve naturalmente escludersi per il (...).

Diversamente, si ritiene che sia configurabile, a carico di entrambi, l'altra aggravante contestata (art. 219 comma 1 L. Fall.) che, avendo natura oggettiva, si estende a tutti i concorrenti (cfr, Cass. penale, sez. 5, 17.2.2020, n. 13802).

Quanto alla determinazione della pena, si ritiene che possano essere concesse ad entrambi gli imputai, con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate ed alla recidiva contestata al (...), le circostanze attenuanti generiche, in ragione del leale comportamento processuale e della necessità di adeguamento della pena al caso concreto. Su queste basi, stimasi equa la condanna di (...) e (...) alla pena di anni tre di reclusione.

Segue alla declaratoria di penale responsabilità la condanna al pagamento delle spese processuali e l'applicazione, ai sensi dell'art. 216 comma 4 L. fall., delle pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.

P.Q.M.
Letto l'art. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti e (...) colpevole del reato a lui ascritto al capo 1. dell'imputazione e, esclusa per il (...) la circostanza aggravante di cui all'art. 219 comma 2 n. 1 L. fall. concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente rispetto alle aggravanti contestate ed alla contestata recidiva, li condanna ciascuno alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali pro quota.

Letto l'art. 216 ultimo comma L. Fall. dichiara l'inabilitazione degli imputati all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve (...) dal reato a lui ascritto al capo 2. della rubrica per non aver commesso il fatto. Letto l'art. 530 cpv c.p.p. assolve (...) dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.

Letto l'art. 544 c.p.p. fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Napoli il 5 novembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2021.

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