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Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale: responsabilità degli amministratori e depauperamento societario (Giudice Diego Vargas)

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Tribunale Napoli sez. III, 21/01/2022, (ud. 07/01/2022, dep. 21/01/2022), n.75

Il trasferimento di un’azienda o di un ramo d’azienda in presenza di una situazione di grave dissesto economico-finanziario e debitoria, senza garantire il ripiano delle passività della società cedente, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Inoltre, l'occultamento o la distruzione di scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari societari, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto emesso in data 21.9.2015, il Gup del Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio di Ma. Ca. e Bo. Gi. per i reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, analiticamente indicati in epigrafe.

All'udienza del 6.5.2016, in presenza del Ma. ed in assenza del Bo., il Presidente dichiarava aperto il dibattimento e, letto il capo di imputazione, dava la parola alle parti, le quali formulavano le richieste di prova, nei termini di cui al verbale di udienza; ammesse le prove richieste dalle parti, acquisita la documentazione prodotta dalla difesa del Ma., il processo era rinviato per l'assenza dei testi di lista del Pm.

Alla successiva udienza del 27.1.2017, mutato il collegio giudicante, si disponeva la rinnovazione del dibattimento, dichiarando utilizzabili tutte le prove già assunte; quindi, veniva escusso il teste Ga. Al. Ma., al termine della cui deposizione venivano acquisite le relazioni redatte ex art. 33 L. Fall.

Il teste Ga. veniva risentito, in sede di controesame, all'udienza del 7.7.2017, nel corso della quale venivano altresì raccolte le spontanee dichiarazioni dell'imputato Ma. Ca..

All'udienza del 15.2.2019, dopo diversi rinvii determinati dalla anomala composizione del collegio, invertito, su accordo delle parti, l'ordine di assunzione delle prove, erano escussi i testi della difesa Ma. Or., Fr. Ma. (le cui relazioni venivano acquisite agli atti) e Ma. Ra..

Il processo subiva, poi, alcuni rinvii per l'assenza di un collegio stabile e, da ultimo, per la situazione di emergenza epidemiologica in atto (COVID 19). Quindi, all'udienza del 10.7.2020 veniva acquisita altra documentazione, prodotta sempre dalla difesa del Ma., e veniva sentito il teste del Pm Vi. Ci..

Alla successiva udienza del 23.10.2020 veniva escusso il teste della difesa del Bo., Ma. Gi., al termine della cui deposizione il difensore dichiarava di rinunciare all'audizione della teste Ca. An. ed il Tribunale, nulla osservando le altre parti, autorizzava la rinuncia proposta, revocando in tal senso la precedente ordinanza ammissiva delle prove.

All'udienza del 15.1.2021 veniva prodotta, ed acquisita al fascicolo, la relazione a firma del dott. Ma., già esaminato.

L'istruttoria dibattimentale proseguiva, poi, alle udienze dell'11.5.2021 con l'escussione del teste della difesa Ra. Gi. e del 17.9.2021 con l'acquisizione di documentazione (dichiarazione del Ma. del 14.6.2007 attestante il ritiro della documentazione contabile della società).

All'udienza del 10.12.2021, disposta nuovamente la rinnovazione degli atti stante la diversa composizione del collegio, il Presidente dichiarava chiuso il dibattimento e, raccolte le conclusioni del Pm, nei termini riportati in epigrafe, rinviava all'odierna udienza, nel corso della quale, all'esito delle conclusioni della difesa, il Tribunale decideva la causa come da dispositivo letto in udienza, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di giorni trenta.

Motivi della decisione
Il Tribunale ritiene che, all'esito dell'espletata istruttoria dibattimentale, possa dirsi inequivocabilmente provata la penale responsabilità dell'imputato Bo. Gi. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, a lui ascritto, e dell'imputato Ma. Ca. per il reato di bancarotta documentale, come contestata.

Ed, invero, come risulta dalla deposizione del dott. Ga. Ma. Al. e dalle relazioni redatte ex art. 33 L. Fall., acquisite agli atti di causa, la società (omissis) S.r.l.., già Gr. Im. S.r.l., avente ad oggetto "l'installazione, cura e manutenzione di impianti tecnologici industriali e civili, con particolare riferimento ad opere, impianti ed installazione nei campi dell'energia elettrica, dell'idraulica, della telefonia, citofonia e audiovisiva, della elaborazione dati", con sede legale in (omissis), alla via (omissis) n. (omissis), presso lo studio del commercialista, dottor Ra. Ma., era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli in data (omissis).

Costituita in data (omissis), la società, con verbale di assemblea straordinaria del (omissis), aveva mutato la propria denominazione, da Gr. Im. S.r.l. in (omissis), Fo. Co. El. S.r.l., trasferendo anche la sede legale, da (omissis), a (omissis), alla via (omissis) n. (omissis); in quella data, inoltre, veniva nominato amministratore Ma. Ca., mentre, sino ad allora, la carica era stata ricoperta da Bo. Gi.. Contestualmente, si registrava un mutamento della compagine societaria, in quanto le quote detenute da Bo. Gi. e da Bo. Gi. e Ro. An. venivano cedute a Le. Mi. ed Es. An.. I sindaci, Be. Ma. Ro., Ta. Vi. (Presidente del collegio sindacale) e Ca. Ca., rassegnavano le proprie dimissioni in data (omissis), allorquando il capitale sociale era già ridotto al di sotto del minimo.

A tale riguardo, il curatore rilevava che, in assenza del bilancio fallimentare e delle scritture contabili, non depositate dall'amministratore, ma consegnate solo molti anni dopo dal Bo.

nell'ambito del giudizio di responsabilità civile promosso dalla curatela, aveva comunque esaminato i bilanci relativi agli anni 2004/2006, regolarmente pubblicati, da cui si evinceva che il capitale sociale era stato eroso negli anni precedenti il fallimento.

In particolare, il capitale sociale era andato perduto durante l'esercizio chiuso al (omissis), nonostante l'esercizio al (omissis) si fosse chiuso con un utile straordinario (Euro 511.600,00) e quello al (omissis) si fosse chiuso con una perdita piuttosto modesta, pari ad Euro 92.261,00. A parere del curatore, la perdita registrata nell'esercizio al (omissis), pari ad Euro 1.104.358,00, era certamente da attribuire ad una gestione volta alla volontaria spoliazione del patrimonio della società. E ciò trovava conferma proprio negli accadimenti successivi, in quanto, nel mese di marzo del (omissis), dopo che era stata certificata in bilancio la perdita del capitale sociale, invece di adottare le iniziative previste dalla legge e proporre istanza per la messa in liquidazione della società, si decideva di trasferire la sede legale da (omissis) a (omissis), mutare la denominazione sociale in (omissis) S.r.l., cedere la partecipazione sociale da parte della compagine originaria e nominare un nuovo amministratore, Ma. Ca..

Del resto, pochi mesi prima, e precisamente in data (omissis), con scrittura privata, la fallita aveva ceduto alla società TR. M Gr. S.r.l., di Zu. An., con sede in (omissis) (e non, come erroneamente riportato nel capo di imputazione, alla società omonima, facente capo a Ma. Ca.), il contratto in corso più importante, avente ad oggetto la fornitura alla cooperativa Br. di materiale e macchinari per la realizzazione della caserma dei Vigili del Fuoco in località (omissis) in (omissis). La cessione era avvenuta a titolo gratuito, mediante una semplice comunicazione alla cooperativa Br. che, da quel momento, l'appaltatore sarebbe stata la TR. M Gr. S.r.l. e non la (omissis), la quale aveva anche sottoscritto una rinuncia al pagamento dei lavori svolti sino a quella data.

Ceduto il contratto, la società cessionaria lo poneva in esecuzione avvalendosi della struttura operativa della cedente, con gli stessi operari, le medesime attrezzature e sempre sotto la direzione del Bo.

Estremamente importanti sono, a tale riguardo, le dichiarazioni rese dal teste del Pm Vi. Ci., il quale, esaminato all'udienza del 10.7.2020, riferiva di conoscere Bo. Gi. in quanto era il suo titolare; in particolare, agli inizi del (omissis), era stato assunto dal Bo. per lavorare nella società (omissis), per poi passare, scaduto il contratto a tempo determinato, a lavorare con la TR. M Gr. S.r.l., sempre alle dipendenze del Bo., il quale impartiva le direttive e pagava lo stipendio. Il deposito della TR. M era in provincia di (omissis); qui vi erario anche gli uffici, ove egli si recava per ritirare la retribuzione. Nel dettaglio, egli precisava che per la (omissis) lavorava in una caserma dei vigili del fuoco a (omissis), ove stavano facendo la tubazione, l'impianto di isolamento e i pannelli per l'illuminazione; passato poi alle dipendenze della TR. M, così come altri suoi colleghi, aveva lavorato in un cantiere alla stazione centrale di Salerno. Quanto al Ma., dichiarava di non conoscerlo personalmente, pur sapendo che era un socio del Bo. per averlo appreso da alcuni suoi colleghi.

Ancora, il commercialista della Gr. Im. S.r.l., Ra. Gi., escusso all'odierno dibattimento, confermava che, pur avendo ceduto le quote e mutato la denominazione sociale, la società aveva mantenuto la stessa partita IVA e la stessa iscrizione al registro delle imprese. A suo dire, la Gr. Im. e la (omissis) erano la stessa cosa, sia pure con una diversa denominazione e con una diversa compagine societaria.

Tornando alle vicende della fallita, il curatore rilevava che il fallimento era stato dichiarato su istanza della Ba. Na. de. La. per un credito relativo ad un finanziamento contratto per l'acquisto dell'immobile di (omissis), oggetto di pignoramento immobiliare ed aggiudicato, con decreto dell'(omissis), alla società FE., la quale peraltro lo aveva già concesso in locazione alla TR. M Gr. S.r.l.; non avendo potuto partecipare alla procedura espropriativa, la banca aveva presentato ricorso di fallimento. Oltre a questo credito, ammesso per Euro 153.910,88, vi erano poi crediti di Eq. Po., per quasi trecento mila Euro, e crediti verso fornitori, per un totale di Euro 496.189,70.

A fronte di tale consistente debitoria, formatasi in massima parte dopo l'esercizio (omissis), la curatela riusciva ad acquisire un attivo assai modesto, costituito dal ricavato della vendita di alcune attrezzature aziendali rinvenute nella sede di (omissis), di due autovetture rinvenute in (omissis), alla via (omissis) n. (omissis), oltre al ricavato di una transazione per un appalto che la fallita non aveva potuto portare a termine.

Nel corso dell'interrogatorio di rito, il Ma. mostrava di essere all'oscuro delle vicende societarie, dichiarando di aver ricevuto la documentazione contabile della società solo nel mese di (omissis) del (omissis) e di non essere venuto a conoscenza, se non dopo la notifica dell'atto di avviso, della esecuzione esattoriale che aveva condotto alla vendita forzata dell'immobile aziendale. Benché sollecitato, il Ma. non ottemperava all'obbligo di deposito delle scritture contabili.

Il curatore dichiarava di aver sentito, in maniera informale, anche il Bo., il quale gli aveva riferito di essere stato costretto a cedere il contratto con la cooperativa Br., in quanto la fallita non avrebbe più potuto lavorare, e dunque incassare il pagamento delle opere sino a quel momento eseguite, non essendo in possesso del DURC. Come si vedrà, tuttavia, tale giustificazione era palesemente contraddetta dal fatto che, con la cessione del contratto, avvenuta a titolo gratuito, la cedente rinunciava espressamente ad incassare i crediti maturati.

In ogni caso, ritenendo sussistere la responsabilità degli amministratori e dei sindaci, la curatela promuoveva azione di responsabilità, conclusa con un accordo transattivo con il Bo. e i sindaci, rinunciando a proseguire il giudizio nei confronti del Ma..

Nell'ambito di quel giudizio, veniva nominato consulente il dottor Fr. Ma., il quale, sentito all'udienza dibattimentale del 15.2.2019, si soffermava su quelle che, a suo avviso, erano state le condotte censurabili tenute dai vari soggetti chiamati in causa. In particolare, le responsabilità del Ma. erano quelle di non aver tenuto la contabilità e di non aver ottemperato agli obblighi imposti dall'art. 2482 ter cc, di non aver provveduto, cioè, allo scioglimento della società conseguente alla perdita di capitale sociale; pur chiudendo l'esercizio al (omissis) con una perdita di capitale molto rilevante, dell'importo di più di un milione di Euro, anziché sciogliere la società, egli decideva comunque di continuare ad operare, aggravando in tal modo la situazione già deficitaria dell'azienda.

Nella relazione acquisita agli atti, il Fr. rilevava che, nonostante la perdita totale del capitale sociale con patrimonio netto negativo, accertata al (omissis), vi erano state, nel periodo successivo, e precisamente dal (omissis) al (omissis), nuove operazioni, che avevano portato ad una debitoria di Euro 365.303,11.

Al punto 4.5 del suo elaborato, il consulente si soffermava sulla tenuta della contabilità, riferendo che, dopo aver esaminato tutta la documentazione prodotta, ne rilevava l'incompletezza, mancando il registro dei cespiti ammortizzabili, il libro degli inventari, il libro dei verbali di assemblea e delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, nonché, infine, tutta la documentazione riferita al periodo tra l'(omissis) del (omissis) al (omissis) del (omissis). L'assenza di documentazione relativa a questo ultimo periodo non consentiva la ricostruzione delle dinamiche patrimoniali che avevano preceduto il fallimento.

A suo parere, dunque, il Bo. era certamente responsabile per le modalità con cui aveva operato la valutazione dei crediti appostati in bilancio e, di conseguenza, per la mancata adeguata valorizzazione del fondo svalutazione crediti, in difformità ai principi sanciti dalla legge, oltre ad aver anticipato la somma di Euro 225.514,80 ad un fornitore invece di pagare le imposte e le somme già maturate, ed alcune iscritte a ruolo, nonché per le nuove operazioni poste in essere dal (omissis), data in cui si era verificata la perdita totale del capitale sociale, sino al (omissis), data in cui era subentrato il nuovo amministratore. Era altresì responsabile per non aver convocato l'assemblea e aver sciolto la società. Analogamente, il Ma. poteva considerarsi responsabile, al pari del precedente amministratore, per non aver ottemperato agli obblighi imposti dall'art. 2482 ter cc, oltre che per le nuove operazioni realizzate dal (omissis) al (omissis), con l'aggiunta di non aver tenuto scritture contabili e di non aver presentato dichiarazioni dei redditi. Sulla scorta delle conclusioni peritali, il giudizio di responsabilità si concludeva, come riferito dal curatore, con una transazione con il Bo. e i sindaci e con provvedimento di abbandono della lite emesso nei confronti del Ma. dal Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa, in data (omissis) (provvedimento prodotto dalla difesa ed acquisito agli atti).

È allora evidente, alla luce delle esposte risultanze processuali, la responsabilità di Bo. Gi., il quale, dopo che la società Gr. Im. S.r.l. aveva chiuso l'esercizio al (omissis) con una perdita di più di un milione di Euro (precisamente Euro 1.104.258,00), invece di procedere alla messa in liquidazione, come avrebbe dovuto fare, pochi mesi dopo, nel (omissis) del (omissis), aveva cambiato la denominazione sociale, trasferito la sede legale, ceduto le quote e nominato amministratore un altro soggetto, Ma. Ca.. Nel frattempo, nel possesso effettivo dell'azienda era stata immessa la società TR. M Gr. S.r.l., cui, in data (omissis), era stato ceduto il contratto più importante e che, attraverso un leasing, era anche riuscita ad acquistare l'immobile aziendale, sottoposto, nel (omissis) del (omissis), a pignoramento immobiliare dalla società esazione tributi della provincia di (omissis) ed aggiudicato, con decreto dell'(omissis), alla società FE., che lo aveva rivenduto alla FI. Leasing spa che a sua volta lo aveva ceduto in locazione finanziaria alla TR. M Gr. S.r.l..

Con la descritta operazione, vi era stata dunque una vera e propria cessione di azienda dalla fallita alla TR. M Gr. S.r.l., realizzata allo scopo di consentire la prosecuzione dell'attività con altra veste societaria, in totale spregio del ceto creditorio.

Ad avviso del Tribunale, la diversa ricostruzione operata dalla difesa appare assolutamente poco plausibile, oltre che del tutto sconfessata dai chiarissimi elementi di prova, come acquisiti all'odierno dibattimento. Sul punto, il teste Ma. Gi., consulente del Bo. nell'ambito del giudizio civile di responsabilità promosso dalla curatela fallimentare ed escusso all'udienza del 23.10.2020, riferiva di aver esaminato, nell'espletamento del suo incarico, la documentazione contabile della società (omissis) S.r.l., già Gr. Im. S.r.l., così ricostruendone la situazione economico finanziaria. A tale riguardo, egli rilevava che la società, almeno sino all'anno (omissis), aveva avuto un elevato volume d'affari, con un patrimonio netto di circa un milione di Euro (precisamente Euro 1.171.225,00) e un risultato di esercizio di Euro 511.600,00; nell'anno di imposta (omissis), la società aveva registrato il medesimo patrimonio netto, di Euro 1.078.965,00, con un risultato di esercizio di meno 92.261,00 Euro. Nell'anno successivo, si registrava un patrimonio netto negativo di 25 mila Euro e una perdita di esercizio di Euro 1.104.358,00. Tale rilevante perdita di esercizio era da attribuire, a suo parere, al fatto che l'allora amministratore, Bo. Gi., aveva deciso di abbattere un credito di Euro 616 mila Euro vantato nei confronti di una società ormai chiusa, stante il decesso dell'amministratore; la sopravvenuta impossibilità di recuperare questo credito e, al tempo stesso, i debiti accumulati con l'Agenzia delle Entrate avevano, dunque, contribuito ad aggravare lo stato di decozione aziendale, nonostante un cospicuo versamento effettuato dal Bo. e da sua moglie a titolo di finanziamento soci. Ebbene, a fronte di tale situazione, nel tentativo di salvare la società, non potendo procedere ad una ricapitalizzazione, il Bo. aveva deciso di venderla, ad un valore notevolmente inferiore a quello effettivo. Ai nuovi soci ed al nuovo amministratore, egli aveva consegnato tutte le scritture contabili - sino a quel momento regolarmente tenute - di tal che gli acquirenti erano di certo consapevoli che avrebbero dovuto ricapitalizzarla. Quanto alla cessione del contratto con la cooperativa Br., il Ma. riferiva che il Bo. si era determinato a farlo per non perdere un appalto importante, impossibilitato ad eseguire quei lavori, non essendo in possesso del DURC a causa della debitoria di natura contributiva.

Orbene, per quanto suggestiva possa sembrare la esposta ricostruzione delle vicende societarie relative agli anni immediatamente precedenti il fallimento, vi è da dire come tale prospettazione, pur partendo da dati contabili puntualmente ed oggettivamente esaminati, non riesca a fornire una spiegazione plausibile e credibile delle condotte poste in essere. Ed, invero, costituisce un dato acclarato che l'anno di imposta (omissis) si era chiuso con una perdita di esercizio di più di un milione di Euro e che, a quella data, era stata accumulata una debitoria di natura previdenziale e tributaria di tutto rispetto e che tale situazione di crisi era stata aggravata dalla sopravvenuta impossibilità di recuperare un credito rilevante, ma tutto ciò non giustifica la condotta del Bo., il quale, a fronte di tale gravissima situazione di dissesto, non aveva proceduto alla ricapitalizzazione, né alla messa in liquidazione della società, come avrebbe dovuto fare.

Né si ritiene possa adeguatamente sostenersi che egli avesse tentato di risanare la società, con un finanziamento personale, del quale, in tutta franchezza, non vi è traccia.

Ed anche la presunta vendita delle quote sociali appare dettata più da una volontà di nascondere la reale proprietà, per evitare aggressioni da parte dei creditori insoddisfatti, che da un vero e proprio intento di cedere l'attività.

E ciò lo si deduce chiaramente dal fatto che, anche dopo la cessione e la nomina del nuovo amministratore, egli aveva continuato a dirigere la società, svolgendo la medesima attività della fallita, con la stessa partita IVA, le medesime attrezzature e gli stessi operai (vedi, sul punto, le dichiarazioni rese dai testi Vi. Ci. e Ra. Gi., sopra riportate), proseguendo anche nell'esecuzione dell'appalto stipulato con la Cooperativa Br..

Se poi si considera che la società cedente aveva espressamente rinunciato a ricevere i compensi già maturati e che la cessionaria, la TR. M Gr. S.r.l., attraverso un chiaro escamotage, ben illustrato dal curatore fallimentare, aveva ricevuto in locazione finanziaria anche l'immobile della società, sito in provincia di (omissis), si comprende appieno quella che era stata una vera e propria strategia aziendale, volta a svuotare dolosamente le casse della fallita, per proseguire l'attività con altra veste societaria, apparentemente diversa e distinta dalla società indebitata.

Ed, allora, appare evidente che il piano delittuoso, programmato nel momento in cui si erano accumulati debiti per quasi cinquecento mila Euro e si era registrata una perdita di esercizio di più di un milione di Euro, era proprio quello di cedere formalmente ed apparentemente l'azienda, destinando le risorse disponibili alla nuova società e lasciando i creditori completamente privi della benché minima garanzia. È, dunque, evidente la natura distrattiva dell'operazione, posto che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sussiste anche in presenza dì un 'iniziativa economica in sé legittima che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori (cfr. Cass. penale, sez. 5, 1.4.2015, n. 24024).

Ciò perché, se è vero che il trasferimento di un ramo di azienda o la cessione di azienda non rappresenta, in astratto, una operazione illecita, rientrando nella sfera di autonomia dell'imprenditore che mantiene, sino allo spossessamento attuato con la dichiarazione di fallimento, la disponibilità dei beni di cui si compone l'azienda, è pur vero che tale facoltà deve essere esercitata nel rispetto delle norme e dei principi che la regolano.

Va a tale proposito richiamata la sentenza n. 10778 del 10.1.2012, a mente della quale integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione, anche fattuale, di un ramo di azienda che renda non più possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società.

Ne consegue che anche iniziative imprenditoriali, potenzialmente ed astrattamente legittime, possono assumere, per il modo in cui sono attuate, il carattere della illiceità, per i riflessi che hanno sugli interessi del ceto creditorio.

Nel caso in esame è di tutta evidenza la dannosità dell'operazione per i creditori, lasciati completamente senza garanzia.

Tutto ciò conferma la riconducibilità dell'intera condotta contestata alla fattispecie di cui all'art. 216, comma 1 n. 1 L. Fall.

Proseguendo la disamina delle condotte di distrazione, oggetto delle odierne contestazioni, deve naturalmente ecludersi quella relativa al capannone sito in (omissis), di cui la curatela non rinveniva traccia alcuna.

Ebbene, ciò posto in ordine alla sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1, n. 1, L. Fall 1, in relazione ai fatti di distrazione sopra compiutamente esaminati, occorre ora precisare come debba ritenersi responsabile il solo Bo. Gi., sotto la cui gestione erano state poste in essere tutte le condotte esaminate. Si è visto, infatti, che, dopo aver accumulato debiti per quasi 500 mila Euro, il Bo. avesse deciso di proseguire l'attività aziendale con altra società, formalmente estranea alla fallita, ma sostanzialmente a lui riconducibile. E lo aveva fatto nella piena consapevolezza e con il preciso intento di non pagare alcun debito.

Diversamente, si ritiene che l'imputato Ma. Ca. non possa essere considerato responsabile di alcuna condotta di distrazione, essendo subentrato nella carica di amministratore solo nel (omissis) del (omissis), allorquando la società era già fortemente indebitata ed era già stato ceduto il contratto con la cooperativa Br..

Lo stesso curatore fallimentare, del resto, precisava che, nel periodo in cui il Ma. era stato amministratore della fallita, la società era di fatto inoperante e che il passivo che si era accumulato sotto la sua gestione era costituito essenzialmente da interessi e sanzioni per debiti maturati precedentemente.

A tale riguardo, il teste Ma. Ra., consulente tecnico di parte del Ma. nell'ambito del giudizio di responsabilità civile, rilevava come il credito, di circa 600 mila Euro, vantato nei confronti della società Ce. Co., appostato nel bilancio esibito dall'imputato, era in realtà inesigibile perché la società debitrice era chiusa da vari anni per la morte del titolare; così come inesigibile era l'altro credito, vantato verso la società Br. e nato sotto l'amministrazione del Bo..

Per altro verso, la dott.ssa Ma. Or., funzionario della Ba. Na. de. La. di (omissis), escussa all'odierno dibattimento, riferiva che la (omissis) aveva un conto corrente presso la sua banca e, da un esame degli estratti conto nel periodo compreso tra il (omissis) ed il (omissis), quello dell'amministrazione del Ma., risultavano registrati, il (omissis), un'operazione di bonifico in entrata di circa 47 mila Euro e, il (omissis), due operazioni di pagamento, per circa 40 mila Euro.

In realtà, come attestato dalla documentazione prodotta all'udienza del (omissis), si evince che il giroconto del (omissis) si riferiva ad un finanziamento, n. (omissis), acceso nell'anno (omissis) dal Bo..

Inoltre, come attestato dalla certificazione del Mo. de. Pa. di Si. ove la fallita aveva un conto corrente (prodotta dal difensore ed acquisita agli atti), si rileva che, nel periodo dell'amministrazione del Ma., il saldo era pari a zero e non vi erano stati movimenti.

In buona sostanza, Ma. Ca. aveva ricevuto una società di fatto cessata, con un attivo solo cartolare e le cui uniche movimentazioni bancarie si riferivano a pagamenti di finanziamenti stipulati molti anni prima del suo ingresso.

Nessun addebito, dunque, può essergli mosso.

Venendo, poi, alla condotta di sottrazione, distruzione ed irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, non rinvenute dal curatore, né depositate dopo la dichiarazione di fallimento della società, il dottor Ga. Ma. Al. riferiva di averne esaminate solo alcune, in particolare quelle consegnate molti anni dopo dal Bo. nell'ambito del giudizio di responsabilità promosso dalla curatela.

A suo avviso, tuttavia, il mancato tempestivo deposito della totalità delle scritture contabili aveva comportato l'impossibilità di operare una ricostruzione delle vicende patrimoniali della società.

Né elementi in tal senso potevano ricavarsi dalla disamina della documentazione prodotta successivamente, atteso che, come rilevato dal dottor Fr. Ma., anche questa risultava essere incompleta, mancando il registro dei cespiti ammortizzabili, il libro degli inventari, il libro dei verbali di assemblea e delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, nonché, infine, tutta la documentazione riferita al periodo tra l'(omissis) del (omissis) al (omissis) del (omissis). L'assenza di documentazione relativa a questo ultimo periodo non consentiva la ricostruzione delle dinamiche patrimoniali che avevano preceduto il fallimento.

Oltre ad essere incompleta, la contabilità era estremamente inaffidabile, in relazione alla valutazione dei crediti appostati in bilancio e, di conseguenza, al profilo della mancata adeguata valorizzazione, da parte dell'amministratore, del fondo svalutazione crediti, in difformità ai principi sanciti dalla legge.

È evidente che di tale condotta debba rispondere unicamente il Ma., nella veste di amministratore della fallita, il quale aveva ricevuto, dal precedente amministratore, tutta la documentazione contabile, come attestato da una dichiarazione a sua firma datata (omissis), acquisita all'udienza del 17.9.2021, avente ad oggetto il ritiro della documentazione contabile della società.

Anche al curatore, peraltro, il Ma. aveva riferito di aver ricevuto tale documentazione, non ottemperando, tuttavia, all'obbligo del deposito, rendendosi così autore di una condotta di occultamento o distruzione

delle scritture contabili, realizzata allo scopo di non consentire agli organi fallimentari di verificare il movimento degli affari e l'effettiva consistenza patrimoniale della società fallita e dunque con la finalità di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, in quanto ciò avrebbe potuto far emergere la distrazione dei beni, di cui egli era certamente a conoscenza, pur non avendola personalmente posta in essere.

Ne consegue che risulta comprovata, da parte dell'imputato Ma. Ca., la realizzazione di una condotta integrativa di tutti gli elementi costitutivi dell'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216 comma 1 n. 2 della legge fallimentare.

Essendo formalmente cessato dalla carica, il Bo. non era tenuto ad alcun adempimento contabile o fiscale, sicché eventuali omissioni non possono di certo essergli attribuite.

Ciò posto in ordine alla sussistenza dei reati in contestazione e alla riferibilità degli stessi alle condotte degli odierni imputati, nei termini esposti, va ora evidenziato come possa ritenersi integrata, a carico dei predetti, la circostanza aggravante dell'aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 219, comma 1, L. Fall.), che, avendo natura oggettiva, si comunica ai concorrenti (cfr. Cass. penale, sez. 5, 17.2.2020, n. 13802).

Diversamente, non sussiste l'ulteriore aggravante contestata, quella consistente nella realizzazione di più fatti di bancarotta previsti dall'art. 216 legge fallimentare (art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall.). Quanto alla determinazione della pena, si ritiene che, pur essendo i fatti estremamente gravi nella loro oggettività, sia necessario effettuare un distinguo nelle posizioni soggettive, posto che il Bo., protagonista indiscusso di tutte le condotte di depauperamento dell'impresa, attentamente pianificate e programmate, non appare meritevole di alcun beneficio.

Diversamente, il minor contributo offerto dal Ma. alla realizzazione del programma criminoso fa sé che possano essergli concesse, con giudizio di prevalenza rispetto alla aggravante contestata ed alla recidiva, le circostanze attenuanti generiche.

Su queste basi, stimasi equa la condanna di Bo. Gi. alla pena di anni quattro di reclusione (pena base, anni tre di reclusione, aumentata a quella indicata per la contestata aggravante del danno di rilevante gravità) e di Ma. Ca. alla pena di anni due di reclusione (pena base, anni tre di reclusione, ridotta a quella indicata per le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e sulla contestata recidiva).

Segue alla declaratoria di penale responsabilità la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e l'applicazione nei loro confronti, ai sensi dell'art. 216 comma 4 L. Fall, delle pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.

P.Q.M.
Letto l'art. 533 c.p.p. dichiara:

- Ma. Ca. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 comma 1 n. 2 L. Fall.) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 219 comma 2 n. 1 L. Fall, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulla ulteriore aggravante contestata e sulla recidiva, lo condanna alla pena di anni due di reclusione;

- Bo. Gi. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 comma 1 n. 1 L. Fall.) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 219 comma 2 n. 1 L. Fall., lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione.

Letto l'art. 535 c.p.p. condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Ma. Ca. dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e Bo. Gi. dal reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Letto l'art. 216 ultimo comma, L. Fall., dichiara l'inabilitazione degli imputati all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena.

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Ma. Ca. dal reato di bancarotta

fraudolenta patrimoniale e Bo. Gi. dal reato di bancarotta

fraudolenta documentale per non aver commesso il fatto.

Letto l'art. 544 c.p.p. fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Napoli, il 7 gennaio 2022

Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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