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La responsabilità per bancarotta semplice: mancata tempestiva dichiarazione di fallimento e aggravamento del dissesto societario (Collegio - Russo presidente)

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Tribunale Napoli sez. III, 18/11/2021, (ud. 21/10/2021, dep. 18/11/2021), n.8890

In materia di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto dovuto alla mancata tempestiva dichiarazione di fallimento integra il reato di cui all'art. 217, comma primo, n. 4, R.D. n. 276/42. Il nesso eziologico tra la prosecuzione dell'attività societaria e l'aumento delle passività si configura laddove la mancata richiesta di fallimento abbia determinato un deterioramento irreversibile della situazione finanziaria.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto emesso ai sensi dell'art. 429 c.p.p., il GUP presso il Tribunale di Napoli disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato - affinché rispondesse dei reati a lui ascritti, indicati nei capi a), b) e c) dell'imputazione - per l'udienza del 13.06.2018, innanzi alla Terza Sezione Penale del Tribunale di Napoli in composizione collegiale.

Dichiarata l'assenza dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, dopo il rinvio del 28/11/18 per assenza dei testi, il dibattimento veniva aperto all'udienza del 6/3/2019, con l'articolazione dei mezzi di prova richiesti dalle parti, l'acquisizione della relazione ex art. 33 l. f. e della documentazione prodotta dalla pubblica accusa e l'esame della curatrice fallimentare della (...) s.r.l., (...).

Dalla deposizione della curatrice si è appreso che la (...) s.r.l. si è costituita nel 1997, con sede in Napoli, per svolgere attività di import/export di capi di abbigliamento all'ingrosso per conto terzi.

(...) è stato prima amministratore, succeduto al padre, e successivamente liquidatore dal 16 génnaio 2009. La teste riferisce che la società viene cancellata dal registro delle imprese il 20/11/2011.

Le cause del dissesto, secondo la ricostruzione offerta dall'imputato in sede di interrogatorio, sono da attribuire alla concorrenza diretta sul mercato europeo di operatori cinesi, che offrendo manodopera a pressi bassi procuravano una perdita di competitività della fallita sul mercato.

Le passività iniziavano nel 2001 ed il fallimento, dichiarato il 30 ottobre del 2012, veniva richiesto da (...), oggi Agenzia della riscossione, per un passivo di 1.160.637,43, con ammissione in privilegio di circa 335 mila Euro e in chirografo di circa 476 mila Euro.

Al momento dell'accesso la sede non c'era più, la società era inattiva.

In ordine alla prima contestazione mossa al capo a), dalle analisi di bilancio la curatrice rilevava una discrasia tra il bilancio fallimentare depositato e quelli degli anni 2009/2011, nei termini poi indicati nel capo di imputazione. La fallita, infatti, poneva nel bilancio di liquidazione 2010 crediti commerciali esteri per un valore di curo 528.589, somma proveniente dall'anno precedente al netto di una svalutazione di Euro 600.000 non documentata; ed invero, nel bilancio fallimentare i crediti commerciali esteri ammontano ad Euro 1.087.931,90 (cfr. trasc. verb. fono., udienza del 6/3/2019, pagg. 5 e ss.).

Quanto al recupero dei crediti, oggetto della seconda contestazione mossa al capo a), la curatrice rilevava che l'imputato si sarebbe attivato per il recupero, ma i crediti ucraini erano prescritti secondo la normativa vigente nello Stato estero (verb. cit., p. 6 e ss.), circostanza emersa a seguito di interlocuzione con il legale ucraino, che consigliava anche al giudice delegato al fallimento di non agire giudizialmente per il recupero del credito.

Dalla relazione di curatela integrativa, del 30 marzo 2015, risulta una ricapitalizzazione della società ma già dal 2006 risultano le prime difficoltà, con fideiussioni soci a garanzia per la concessione di liquidità. Nel 2008/2009 e 2010 la società chiudeva quindi in perdita, rispettivamente per 439.897, 1.078.660 e 33.626, tanto che nel 2009, con la messa in liquidazione, i soci deliberavano il versamento di un finanziamento in conto capitale per coprire le perdite accumulatesi, operazione che tuttavia, pur risultando formalmente, non è risultata provata in concreto.

Quanto al deposito delle scritture contabili, contestazione elevata al capo b), la curatrice riferiva del corretto deposito nella cancelleria fallimentare del bilancio fallimentare, del libro giornale per gli anni 2009, 2010 e 11, del libro degli inventari e delle altre scritture contabili obbligatorie, escludendo, pertanto, profili di rilevanza penale, sul punto, nella condotta dell'imputato (v. verb. cit., pag. 9).

Nel corso del controesame della difesa, la curatrice confermava l'esistenza di un programma di liquidazione e l'avvenuta transazione tra la società fallita e la curatela, che superava ogni azione di responsabilità mediante il versamento 120 mila Euro, puntualmente versati (p. 12).

La difesa evidenziava che, proprio alla luce dalle relazioni di curatela e del consulente dott.ssa (...), emergeva come i debiti si erano accumulati tra il 2008 e 2009, data della liquidazione, debiti accumulatisi con l'erario e non pagati a causa dell'irrecuperabilità dei crediti. La curatrice non smentiva il dato, relativo alla esigibilità dei crediti già dal 2007 e, inoltre, sulla sostanziale compatibilità tra il debito fiscale accumulato dalla società e l'aspettativa di recupero dei sostanziali crediti esteri.

Il curatore confermava, peraltro, la presenza di finanziamenti soci alla società e di rinunce al credito da parte dei soci rispetto a pagamenti verso istituti di credito.

Quanto alla tesi sostenuta dalla difesa, anche attraverso la consulenza tecnica in atti, secondo cui la svalutazione dei crediti doveva ritenersi un'operazione prudente e non dolosa, scaturendo da una prognosi negativa di recupero dei crediti esteri, la curatrice non è in grado di stabilire se tale svalutazione fosse concreta o dolosamente preordinata a cagionare il dissesto societario.

L'udienza del 12 giugno 2019, rinnovata l'istruttoria per il mutamento del collegio, veniva sentita la teste (...), con acquisizione, su accordo delle parti, del parere scritto dalla stessa e reso agli organi fallimentari, al fine di verificare l'esistenza dei presupposti per una azione di responsabilità a carico dell'organo amministrativo della società (...) s.r.l., fallita il 31/10/2012, come da sentenza di fallimento n. 293/2012 dichiarato dal Tribunale di Napoli. La dott.ssa (...), consulente del giudice delegato, in sede di controesame della difesa, precisava che:

- la società non aveva compiuto attività di recupero né attività di liquidazione;

- i crediti verso l'estero erano iscritti regolarmente e con continuità;

- già dal 2009 la massa passiva era chiara nella contabilità, sicché la società avrebbe dovuto chiedere il fallimento (cfr. verb. Steno., p. 6). La prosecuzione dell'attività, in altri termini, comportava l'aumento della debitoria con (...), facendo maturare interessi e sanzioni;

- risultavano sia l'aumento di capitale per sopperire alle perdite che le rinunce al credito dei soci, evincibili dalla contabilità. Tale ultima operazione contabile, sebbene non suffragata da verbali o delibere sottoscritte dai soci, non può escludersi che sia avvenuta: "Nulla esclude che sia tutto vero però" (pag. 7);

- vi era la necessità di dichiarare prima il fallimento: la presenza di perdite, tali da rendere uno stato di decozione ormai insuperabile, avrebbe dovuto indurre l'amministratore a dichiarare fallimento.

- risultavano effettivamente dei finanziamenti soci, mentre mancava solo la documentazione alla rinuncia dei crediti.

L'udienza del 23 ottobre 2019 era rinviata per l'astensione dei difensori dalle udienze, con sospensione dei termini di prescrizioni fino all'udienza del 26 febbraio 2020. In tale udienza veniva acquisito il verbale di interrogatorio delegato dell'imputato, reso alla p.g. il 31 gennaio 2018 (con allegato un verbale di assemblea ordinaria).

(...), nel protestarsi innocente, riferiva che, quanto al credito verso le società estere, il vero gestore della società era suo padre, avendo assunto la carica in ragione delle condizioni di salute del primo. Proprio il padre (...), come risulta dal verbale di assemblea del 23/12/2008, avrebbe dovuto recuperare i crediti, seguendo egli solo le produzioni estere. Riferisce di aver provato a recuperare il credito estero, contattando i legali stranieri che lo informano della obiettiva impossibilità di recupero. In particolare, sul maggiore credito con società ucraina, interessava il consulente contabile (...).

In ordine alla contabilità, forniva alla curatela tutta la documentazione necessaria a ricostruire la situazione patrimoniale. Confermava, inoltre, la transazione per l'importo di 120 Euro con la curatela.

Veniva quindi sentito il teste della difesa (...).

Dalla deposizione del teste (...) del 26/2/2020 si apprende della sua conoscenza con padre dell'imputato, (...), inerente ad un precedente fallimento con altra società, circostanza che imponeva la nomina ad amministratore della (...) al figlio, non potendo il padre comparire. Riferiva che il padre (...), pur non comparendo nella compagine sociale, aveva la procura speciale nei rapporti con le banche, agendo quale amministratore di fatto, con il quale egli si interfacciava. Spiegava l'indebitamento con le banche, dovuto ai c.d. contratti "forward" imposti dall'istituto di credito. Operazioni che, escludendo la prima, erano stati tutti in perdita per la società, che ha poi dovuto chiedere ulteriori finanziamenti bancari per "chiudere" nel tempo i contratti "forward", indebitandosi progressivamente. Era il padre che si occupava dei rapporti con le banche e della fiscalità aziendale, anche perché dal 1997, anno di costituzione della fallita (...), (...) era poco più di un ragazzo. L'imputato, invero, si occupava delle importazioni dalla Cina, dove si recava per le fiere, circa tre volte l'anno. La socia e sorella (...), già all'atto della costituzione, viveva a Firenze, mentre a Napoli c'era solo (...).

Confermava di occuparsi della contabilità e stesura bilanci, contabilità consegnata per intero al curatore.

Confermava, inoltre, che il credito ucraino era divenuto realmente non riscuotibile, per il maturare triennale della prescrizione.

L'udienza del 18 novembre 2020, fissata a seguito dell'emergenza epidemiologica da Covid - 19, era rinviata per impedimento del difensore a quella del 24 marzo 2021, destinata all'esame del Ct della difesa, (...), con acquisizione su accordo delle parti della relazione di consulenza tecnica redatta dal teste.

Nella relazione il ct, dopo aver analizzato il bilancio, ha concluso ritenendo che, al momento della messa in liquidazione, la fallita presentava una situazione finanziaria squilibrata, con costi di gestione finanziaria elevatissimi, per gli oneri dovuti all'indebitamento bancario ed ai rinnovi degli affidamenti, che obbligavano la fallita a stipulare contratti aventi ad oggetto derivati (forward) per la copertura del rischio di cambio.

Il consulente della difesa ha concluso ritenendo corretta la svalutazione di 600 mila Euro dei crediti, appostati in bilancio secondo il valore di presumibile realizzo, di molto inferiore a quello nominale, trattandosi di crediti antichi ed esteri, con debitori insolventi ed in parte incapienti, per molti dei quali, alla luce delle verifiche legali eseguite, risultava maturata la prescrizione triennale e non vi era alcuna possibilità di recupero.

Confermava inoltre l'accollo dei debiti verso gli istituti bancari, per circa Euro 761 mila, e la rinuncia poi al credito sorto nei confronti della società a seguito di tali pagamenti.

L'udienza del 15 maggio 2021 era rinviata per l'impedimento legittimo del difensore, con sospensione dei termini di prescrizione fino al 10 giugno 2021, data in cui veniva formalmente chiusa l'istruttoria dibattimentale.

Dopo l'ulteriore rinvio per impedimento del difensore, accolto sia all'udienza del 1 luglio 2021 che del 30 settembre 2021, all'odierna udienza del 21 ottobre 2021 le parti procedevano alla discussione e a rassegnare le rispettive conclusioni; il Tribunale ha, quindi, pronunziato e pubblicato la presente sentenza, mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza, indicando in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.

Alla luce delle superiori emergenze processuali, occorre prendere atto, concordemente alla richiesta formulata in sede di conclusioni dalla pubblica accusa, della insussistenza della prova in ordine ad una condotta fraudolenta di bancarotta posta in essere dall'imputato, nella qualità di amministratore e poi liquidatore della società, volta in ultima analisi a cagionare il dissesto della società mediante la commissione del reato di bancarotta fraudolenta impropria, di cui all'art. 223, secondo comma, n. 1, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, da reato societario di false comunicazioni sociali, previsto dall'art. 2621 cod. civ., e mediante fatti di bancarotta impropria, di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, L. F.. Osserva il Collegio che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, i fatti così come contestati - che devono essere sorretti dalla consapevolezza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa, mediante atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori - devono porsi in nesso eziologico con il fallimento (Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, Rv. 269019).

Quanto alla svalutazione del credito, che fonda la contestazione sub a) e sub c), ad avviso del Tribunale, come correttamente sostenuto dalla pubblica accusa, l'apposizione nel bilancio di liquidazione del 2010 di redditi commerciali esteri per un valore di molto inferiore a quello nominale, è stato fondato su criteri tecnici accettabili, come riportato nella consulenza della difesa e non smentito da elementi di segno contrario, che offrono una spiegazione logica della condotta, incompatibile con una specifica volontà dolosa, connotata da fraudolenza, avente finalità ingannatoria e volta a causare il dissesto della società. Militano, in senso contrario alla condotta fraudolenta, la regolare tenuta ed ostensione delle scritture contabili, che ha consentito la ricostruzione del patrimonio sociale (circostanza che impone l'esito assolutorio dal capo b); la prova positiva di un tentativo concreto di recupero, almeno in parte, del credito estero, reso obiettivamente poco praticabile dalle circostanze descritte (non avendo nemmeno la curatela, poi, tentato il recupero); l'accollo dei debiti societari con le banche da parte dei soci e la rinuncia poi al credito maturato a seguito di tali pagamenti.

Si tratta di circostanze che, dimostrando il disperato tentativo di ripianare l'evidente squilibrio finanziario, si pongono logicamente in contraddizione con una volontà fraudolenta. Tali conclusioni, escludendo la prova di finalità specifiche di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, impongono l'assoluzione dell'imputato anche per il delitto di false comunicazioni sociali, sebbene il reato sia prescritto. La fattispecie applicabile al caso in contestazione, invero, trattandosi di fatti commessi fino al 2011, sarebbe di natura contravvenzionale. L'art. 9 della legge 27 maggio 2015 n. 69, entrata in vigore il 14 giugno 2015, ha sostituito l'art. 2621 del codice civile, configurando il reato societario come un delitto a dolo specifico, caratterizzato proprio dal fine, mancante nel caso di specie, di procurare per sé o per altri un ingiusto profitto. Quanto poi all'ulteriore condotta contestata al capo a), inerente la cancellazione della società dal registro delle imprese durante la fase di liquidazione, giova solo considerare che alcun nesso eziologico può esservi tra la cancellazione ed il fallimento della società, richiesto da (...). Come è noto, a norma dell'art. 10 I. fall., una società cancellata dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita entro l'anno dalla cancellazione, sicché il procedimento prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatone continuino a svolgersi, per fictio juris, nei confronti della società estinta e la posizione processuale del fallito è sempre impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava (Cass. civ. Sez. 1, Ordinanza n. 22449 del 06/08/2021). Cosi come l'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono - venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali - ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti "pendente societate" (Cass. civ. Sez. 5 -, Ordinanza n. 16362 del 30/07/2020). Quel che emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, è invece il progressivo deterioramento della complessiva situazione economico-finanziaria della società fallita, integrata dai costi bancari e dal debito tributario accresciutosi nel tempo. Si è già evidenziato che già dal 2006 la società presentava sofferenze e difficoltà finanziarie, comprovate da fideiussioni stipulate dai soci, a garanzia, per la concessione di liquidità. Seguivano le pesanti perdite di esercizio, per gli anni 2008/2010, tanto che nel 2009, con la messa in liquidazione, i soci deliberavano il versamento di un finanziamento in conto capitale per coprire le perdite accumulatesi, operazione che tuttavia, pur risultando formalmente, non è risultata provata in concreto. Lo stesso consulente tecnico della difesa ha evidenziato che, dalle analisi dei bilanci, al momento della messa in liquidazione, la fallita presentava una situazione finanziaria squilibrata, con "costi di gestione finanziaria elevatissimi", per gli oneri dovuti all'indebitamento bancario ed ai rinnovi degli affidamenti, che obbligavano la fallita a stipulare contratti aventi ad oggetto derivati (forward) per la copertura del rischio di cambio.

Anche la dott.ssa (...), consulente del giudice delegato, ha chiarito che - già dall'anno 2009, la massa passiva era chiara nella contabilità, sicché la società avrebbe dovuto chiedere il fallimento (cfr. verb. Steno., p. 6). La prosecuzione dell'attività, in altri termini, comportava l'aumento della debitoria con (...), facendo maturare interessi e sanzioni; ne discendeva la necessità di dichiarare prima il fallimento, stante la presenza accertata di perdite, tali da rendere uno stato di decozione ormai insuperabile e non essendo sufficiente a ripianarlo l'aumento di alcune poste attive. Sul punto, occorre evidenziare che in tema di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma primo, n. 4 e 224 legge fall., consiste proprio nel deterioramento dovuto, tra le ipotesi previste dalla norma, nella mancata richiesta di fallimento. Non vi è dubbio che l'aumento del debito tributario e dei progressivi costi di gestione finanziaria, sempre più elevati, erano accresciutisi dalla mancata richiesta di fallimento, non potendo certamente essere neutralizzati, se non in minima parte, dal finanziamento soci e dalla rinuncia al credito da parte dei soci per i debiti oggetto di accollo.

(...) va quindi dichiarato responsabile del delitto previsto dall'art. 217, comma primo, n. 4) del R.D. n. 276/42, così diversamente qualificato il delitto contestato al capo A). Il reato di bancarotta semplice prevede un pena da mesi sei di reclusione ad anni due di reclusione. Il termine di prescrizione è, in virtù dell'art. 157 c.p., pari ad anni sei e là dove intervengono atti interruttivi, come nel caso di specie, è prolungato per un termine massimo di un quarto, atteso che si tratta di soggetto non recidivo. Pertanto il termine complessivo di prescrizione, che decorre dalla data di dichiarativa del fallimento del 30/10/2012, è pari ad anni sette e mesi sei, tempo cui occorre aggiungere i periodi di sospensione del termine di prescrizione dovuti ad impedimenti del difensore o dell'imputato e che, complessivamente, vanno indicati in giorni 525: giorni 126 per astensione del difensore dalle udienze dal 23/10/2019 al 26/02/2020; giorni 202 per il rinvio del 30/4/2020 dovuto all'emergenza epidemiologica da Covid-19; 61 giorni per l'impedimento del difensore all'udienza del 18/11/2020; giorni 20 per rinvio istruttorio richiesto dalla difesa all'udienza del 24 marzo al 13 maggio; giorni 26 per l'impedimento del difensore all'udienza del 15 maggio 2021; giorni 90 per l'impedimento del difensore alle udienze del 1 luglio e del 30 settembre 2021.

Il termine di prescrizione del delitto ritenuto in sentenza, pertanto, tenuto conto del periodo di sospensione di 525 giorni, matura il 30/10/2021.

Venendo al trattamento sanzionatorio, possono concedersi all'imputato le circostanze attenuanti generiche, in considerazione dell'assenza di precedenti penali a suo carico e del comportamento processuale collaborativo tenuto.

Alla luce dei criteri di giudizio previsti dagli artt. 133 e ss. c.p., pena equa si stima quella di mesi sei di reclusione, oltre spese e pene accessorie come per legge, compiutamente indicate in dispositivo.

Possono concedersi i benefici di legge, come da dispositivo, trattandosi di prima condanna ed in considerazione dell'effetto deterrente che, in chiave di prognosi, consegue alla presente pronuncia.

P.Q.M.
Letto l'art. 530 c.p.p. assolve (...) dal delitto di cui al capo B) perché il fatto non sussiste e da quello di cui al capo C) perché il fatto non costituisce reato. Letti gli artt. 521, 533 e 535 c.p.p. dichiara l'imputato colpevole del delitto previsto dall'art. 217, comma primo, n. 4) del R.D. n. 276/42, così diversamente qualificato il delitto contestato al capo A) e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Applica all'imputato le pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di un anno.

Pene sospese e non menzione della condanna.

Letto l'art. 544 c.p.p., indica in giorni trenta il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Napoli il 21 ottobre 2021.

Depositata in Cancelleria il 18 novembre 2021.

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