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La calunnia: dolo diretto e consapevolezza dell’innocenza

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Corte appello Ancona sez. II, 13/07/2023, n.1105

La semplice presentazione di una denuncia penale, seguita da archiviazione o da assoluzione in sede processuale, non costituisce, di per sè, fonte di responsabilità (del denunciante) e di diritto al risarcimento del danno (del denunciato), essendo insufficiente, a tal fine, la semplice colpa determinata da leggerezza o avventatezza della denuncia, richiedendosi, per contro, la precisa volontà dolosa del denunciante, costituita dalla consapevolezza dell'innocenza del denunciato rispetto al fatto di reato attribuitogli.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con atto di citazione, ritualmente notificato, Vi.Vi. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Macerata, Ma.Gi., il Sovrano Ordine di Malta, in persona del legale rappresentante, Pa.Pa. ed Em.Ca., onde ottenerne la condanna, ai sensi degli artt. 2043, al risarcimento, in proprio favore, di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, indicati in complessivi euro 110.000,00, dallo stesso subiti per essere stato ingiustamente sottoposto a processo penale conclusosi con la rispettiva assoluzione, nonché alla rifusione delle spese e competenze processuali, da compensarsi nella denegata ipotesi di soccombenza.

A sostegno della domanda l'attore, di professione antiquario, deduceva:

- di aver ricevuto da Pa.Pa., titolare di un laboratorio di restauro a Macerata, una croce in conto vendita, con la rassicurazione di essergli stata donata da un convento;

- che esso Vi. l'aveva poi ceduta al prezzo di euro 2.500,00, tramite permuta di una porta in legno laccata, all'antiquario Em.Ca. il quale, nell'esporla alla fiera dell'Antiquariato di Sarnano (MC), sarebbe stato avvicinato dal Pa. che, dopo averlo informato circa la provenienza illecita di detta croce, l'avrebbe ritirata dalla vendita per consegnarla, dopo un mese, ai Carabinieri del Nucleo Patrimonio Culturale di Bologna denunciando costituisse provento di un reato;

- che da una verifica presso la banca dati, effettuata da questi ultimi, il ricordato bene, come descritto, sarebbe risultato oggetto di furto, avvenuto, nell'anno 1998, ai danni del Sovrano Ordine di Malta, e per esso denunciato verbalmente, in data 16.11.1998, dal proprio dipendente, capo dell'Ufficio Tecnico Patrimoniale, Ma.Gi. il quale, previo trasferimento dell'indagine al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico di Roma, riconosceva, dalle foto mostrategli, la croce rubata all'Ente dallo stesso rappresentato;

- che a seguito di quanto sopra esso Vi., con decreto di citazione a giudizio del 26.09.2007, veniva sottoposto a processo penale per il reato di cui all'art. 648 c.p., protrattosi fino al 10.07.2015, data di deposito della sentenza di assoluzione n. 958/2015, conseguente all'avvenuta ritrattazione da parte del Gi., in sede dell'udienza dibattimentale tenutasi il 16.03.2010, delle dichiarazioni rese nel verbale di sequestro del bene, datato 20.05.2006;

- che le precedenti circostanze, riportate nei richiamati documenti, costituivano prova della condotta calunniosa e diffamatoria posta in essere dai convenuti nei propri confronti, in quanto lesiva della reputazione e causa di sofferenza psicofisica derivatagli dall'essere stato ingiustamente sottoposto a giudizio penale, nonché di danni patrimoniali relativi agli esborsi sostenuti per la propria difesa in tale sede processuale.

Rimasto contumace il convenuto Em.Ca., si costituivano in giudizio il Sovrano Ordine di Malta e Ma.Gi. i quali, oltre a eccepire l'avvenuta prescrizione dell'invocato diritto al risarcimento, contestavano sia la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dei reati di calunnia e diffamazione, dall'attore posti a fondamento della domanda, sia la carenza di allegazioni probatorie con riferimento al danno non patrimoniale, chiedendo la condanna del Vi. per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96, primo e/o terzo comma, c.p.c.. Si costituiva, altresì, in giudizio Pa.Pa. respingendo ogni addebito di responsabilità per i danni lamentati dall'attore, poiché anch'egli era stato, suo malgrado, imputato nello stesso procedimento il quale, a differenza di quanto sostenuto nell'atto di citazione del Vi., aveva tratto origine dalla denuncia

sporta in realtà dal Ca. di propria iniziativa, tant'è che esso Pa. ne aveva debitamente smentito il contenuto sia nell'interrogatorio del 19.07.2007, sia in sede di esame dibattimentale tenutosi l'8.04.2011 (di cui produceva i rispettivi verbali), per poi chiarire l'assoluta carenza di qualsivoglia suo interesse alla vicenda siccome riferita dal denunciante, proprio perché, trattandosi di "circostanza autoaccusatoria

lo avrebbe esposto a concreti rischi penali", ed evidenziare la totale mancanza di fondamento delle dichiarazioni rese dal Gi. nel corso delle indagini del Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale di Roma (giusto allegato verbale di riconoscimento dei beni d'arte datato 06.11.2006), dal medesimo ritrattate in dibattimento e, pertanto, idonee a smentire la vicenda narrata dal Ca. nella denuncia, restata priva di ogni riscontro probatorio.

Il Pa. concludeva, quindi, per il rigetto della domanda proposta dal Vi. nei propri confronti, tanto più in assenza di dimostrazione del danno richiesto, con conseguente vittoria delle spese di lite, nonché, in subordine, per la congrua riduzione dell'importo risarcitorio e compensazione delle spese processuali. Acquisiti i documenti prodotti da ciascuno dei contendenti ed escussi tre dei testi attorei ammessi a deporre (l'ultimo, infatti, veniva congedato per essere, l'istruttoria, reputata esaustiva: cfr. verbale udienza 18.05.2017), il Giudice, con ordinanza del 25.05.2017, a scioglimento della riserva sulla richiesta, avanzata dal Vi., di ammissione della C.T.U. medico-legale, ne disponeva l'espletamento nominando la Dr.ssa (…), per il conferimento del quale incarico fissava l'udienza dell'08.06.2017, nella cui sede, previa espressa rinuncia dell'attore agli atti del giudizio nei confronti del convenuto Pa. e contestuale accettazione di questi, tramite procura speciale rilasciata al difensore, dichiarava l'estinzione del rapporto processuale tra dette parti e, ritenuto di conseguenza "superfluo" dare seguito alla C.T.U., rinviava la causa, per la precisazione delle conclusioni e discussione orale, all'udienza del 16.11.2017, ivi pronunciando, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., la sentenza in epigrafe, di rigetto della domanda proposta da Vi.Vi. e condanna dello stesso sia alla rifusione, in favore di Ma.Gi. e del Sovrano Ordine di Malta, delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 13.340,00 oltre accessori di legge, sia al pagamento, nei confronti dei medesimi, ex art. 96, comma 3, c.p.c., della somma di euro 1.500,00, oltre interessi legali dalla data della decisione al saldo effettivo.

In primo luogo il Tribunale osservava che il contenzioso, stante la rinuncia del Vi. agli atti del giudizio nei confronti del Pa., la relativa accettazione da parte di quest'ultimo e la conseguente dichiarata estinzione del rapporto processuale tra gli stessi, si fosse ridotto "all'accertamento della sussistenza della responsabilità del Gi. - quindi dell'Ordine di Malta quale suo datore di lavoro, ex art. 2049 c.c. - e del Ca., per l'illegittima sottoposizione dell'attore al procedimento penale n. 39/08 del Tribunale di Macerata", per poi evidenziare, da un lato, le incongruenze nell'esposizione del fatto contenuta in citazione, da ritenersi ingiustificate essendo nella disponibilità del Vi. i "documenti attestanti il loro effettivo accadimento (alcuni dei quali - come il verbale redatto dai Carabinieri all'atto della consegna della croce da parte del Ca. - depositati nel presente procedimento dallo stesso attore)", e, dall'altro, come, nonostante la corretta rappresentazione della vicenda, risultante dalla formulazione dei capitoli di prova di cui alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c., fosse stata omessa l'esplicita rettifica della versione resa in precedenza "con l'effetto di acuire maggiormente le contraddizioni presenti nella propria esposizione", laddove si attribuiva al Pa. l'avere rivelato al Ca. la provenienza illecita della croce da questi esposta alla fiera dell'Antiquariato di Sarnano, nonché il ritiro della stessa per poi consegnarla ai carabinieri del Nucleo Patrimonio Culturale di Bologna e sporgere contestuale denuncia.

A fronte di tali rilievi - previo rigetto dell'eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento (sollevata dai convenuti Gi. e Sovrano Ordine di Malta) la decorrenza del cui termine iniziale, stante il combinato disposto degli artt. 2947 e 2935 c.c., coincide non già con il compimento del fatto lesivo del diritto altrui, bensì con la piena contezza dell'ingiustizia del danno e, pertanto, con la data della sentenza di assoluzione, ossia il 10.07.2015 - il Tribunale riteneva non ravvisabili, "in nessuna delle deposizioni del Gi., gli estremi dei reati imputatagli dal Vi.", poiché volte al riconoscimento del bene oggetto del furto perpetrato nel 1998 ai danni del Sovrano Ordine di Malta, senza alcun riferimento alla persona dell'attore o ad altri, nonostante dette dichiarazioni fossero poi state ritrattate in sede di udienza dibattimentale, laddove lo stesso Gi. precisava "che, poco prima del pensionamento, aveva rinvenuto in un armadio la croce rubata e poi identificata con quella del presente giudizio e di essersi immediatamente rammentato che tale oggetto fosse stato riconsegnato all'Ordine già nel 2000, realizzando con ciò il proprio errore nel riconoscimento"; di conseguenza veniva respinta anche la domanda avanzata nei confronti del Sovrano Ordine di Malta, chiamato a rispondere della condotta del dipendente, ai sensi dell'art. 2049 c.c.

Stessa sorte si aveva quanto alla domanda rivolta dal Vi. avverso il convenuto contumace, Em.Ca., "essendosi limitato a permutare una porta con la croce, per poi esporla ed essere avvisato della sua provenienza illecita dal Pa.", da cui l'assenza, in tale condotta, "di responsabilità, né colposa, nè, tantomeno, calunniosa o diffamatoria".

Infine il Tribunale, sulla considerazione che il Vi. avesse imputato al Gi. fattispecie delittuose evidentemente insussistenti, ne disponeva la condanna, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento in favore dello stesso e del Sovrano Ordine di Malta, di euro 1.500,00 oltre interessi legali dalla data della decisione al soddisfo.

Vi.Vi. impugnava tempestivamente la predetta decisione, prospettando le ragioni di doglianza riportate in parte motiva, conveniva, infatti, in giudizio Ma.Gi., il Sovrano Ordine di Malta, in persona del Gran Cancelliere e legale rappresentante pro-tempore, nonché Em.Ca. chiedendo, all'adita Corte, nel merito: di annullare e/o dichiarare nulla e/o di nessun effetto giuridico la gravata pronuncia e, conseguentemente, accertato che esso Vi. è stato ingiustamente accusato del reato di ricettazione per poi essere assolto "perché il fatto non sussiste" e di aver riportato danni, patrimoniali e non patrimoniali, a causa del processo penale n. 1062/07 R.G.N.R., condannare il Ca. e il Gi., ai sensi dell'art. 2053 c.c., e il Sovrano Ordine di Malta, ex art. 2049 c.c., quale fatto del proprio dipendente, al risarcimento, in favore di esso appellante dell'importo di euro 10.000,00 a titolo di danni patrimoniali, oltre interessi e rivalutazione, e di euro 110.000,00 per danni non patrimoniali, anche in via presuntiva, ai sensi dell'art. 2727 c.c., o di quella diversa, maggiore o minore, risultante dall'espletanda istruttoria o, comunque, di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal dovuto al saldo, danni da liquidarsi anche in via equitativa; in via istruttoria: di ammettere e disporre C.T.U. medico-legale volta a quantificare e qualificare i danni non patrimoniali patiti da esso Vi. a causa del procedimento penale dovuto subire. Con vittoria di spese, diritti e onorari di entrambi i gradi di giudizio e compensazione nella denegata ipotesi di soccombenza.

Nel costituirsi in appello resistendo a tutte le domande ivi formulate, Ma.Vi. e il Sovrano Ordine di Malta chiedevano, sia in via principale, sia in subordine, che lo stesso fosse dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., sotto il duplice profilo della mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento, nonché per essere infondato in fatto e in diritto, con integrale conferma della sentenza impugnata, oltre alla dichiarazione di inammissibilità dell'istanza di ammissione della C.T.U., e, "in ogni caso", vinte le spese e compensi del doppio grado di giudizio con condanna dell'appellante al risarcimento del danno e/o al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell'art. 96, primo e terzo comma, c.p.c.

A supporto dell'infondatezza dei motivi di gravame, gli appellati, in particolare, evidenziavano la correttezza della gravata pronuncia, poiché perfettamente in linea con il "thema decidendum" costituito non già dalla circostanza "che il riconoscimento della croce, da parte del Gi., abbia o meno comportato la celebrazione del processo penale a carico del Vi.", bensì se la condotta dello stesso Gi. possa configurarsi come diffamatoria e/o calunniosa, così da comportare conseguenze risarcitone nei confronti dell'odierno appellante; pertanto, una volta accertata l'insussistenza del dolo, quale elemento soggettivo delle figure di reato invocate dal Vi. a supporto del richiesto risarcimento, non avrebbe avuto nessuna rilevanza, ai fini del decidere, l'ipotizzata responsabilità per colpa del Gi., in riferimento al ristoro tanto del danno patrimoniale, quanto di quello non patrimoniale, i quali "nella prospettazione avversaria" sarebbero "conseguenza delle medesime fattispecie penalmente rilevanti". Quindi la causa, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe precisate, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 20.04.2022, senza termini.

Motivi della decisione
Vi.Vi., a sostegno del proposto gravame, poneva, i seguenti motivi: 1) omessa considerazione e valutazione, da parte del Giudice di primo grado, della domanda di condanna del Gi. a titolo di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., formulata sia nell'atto introduttivo che nella prima memoria ex art.183 c.p.c.

Innanzitutto, l'appellante lamentava che il Tribunale, nel rigettare la propria domanda, si fosse limitato, con riferimento alla condotta tenuta dal Gi., come anche dal Ca., a escludere fattispecie di reato a carico di detti convenuti, senza l'altrettanto debita ponderazione della stessa sotto il profilo della colpa, chiaramente risultante, quanto al primo, dall'avere, in sede di sommarie informazioni - rispettivamente rese il 10.07.2006 ai Carabinieri del Nucleo Patrimonio Culturale di Bologna, e il successivo 06.11.2006 ai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico di Roma, giusti verbali in atti - effettuato il riconoscimento del bene (dal Ca. denunciato ai predetti militi essere di provenienza illecita, da cui l' imputazione del Vi. per il reato di ricettazione), quale quello oggetto di furto perpetrato ai danni del Sovrano Ordine di Malta nell'anno 1998, per poi, nel corso del procedimento penale a carico di esso appellante, ritrattare le precedenti dichiarazioni, specificando di essersi accorto dell'errore circa un anno prima dell'udienza dibattimentale, allorché, durante dei lavori di ristrutturazione eseguiti quando ancora non lasciava l'incarico alle dipendenze del Sovrano Ordine, si sarebbe imbattuto in "un'altra croce" facente parte di una delle cinque rubate nel 1998 e riconsegnata dai Carabinieri "una decina di anni fa"; condotta che, pertanto, avrebbe dovuto dare luogo all'ipotesi di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c., poiché il procedimento penale, di cui esso Vi. era stato vittima, aveva tratto origine dal riconoscimento del bene, come uno di quelli rubati al Sovrano Ordine, compiuto dal Gi. "senza mostrare alcuna perplessità e/o incertezza e/o dubbio", infatti, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, i termini, dallo stesso usati nei verbali delle sommarie informazioni rese al riguardo, non davano adito ad alcuna esitazione, laddove nel riferirsi alla croce mostratagli dapprima in foto e poi in visione diretta, affermava "riconosco", "riconosco senza dubbio", "ribadisco il riconoscimento", "la foto che mi mostrate combacia", asserzioni ben lungi dal poter essere considerate esenti da colpa, stanti le gravi conseguenze dalle stesse derivate a esso appellante, in termini di lesione della reputazione e dell'integrità psico-fisica correlata a un processo penale protrattosi per dieci anni.

2) Mancata affermazione, in sentenza, del carattere di illecito extracontrattuale, nella condotta posta in essere dal convenuto Em.Ca.

Il Vi. criticava, altresì, la ritenuta assenza, da parte del Giudice di primo grado, dei caratteri dell'illecito extracontrattuale nella condotta posta in essere dal convenuto Ca. il quale, anziché accertare la veridicità dell'affermazione del Pa. circa la provenienza illecita della croce, sporgeva denuncia in tal senso indicando esso appellante come colui che gli aveva consegnato detto bene, così da aver dato impulso - non appena il Gi., sentito a sommarie informazioni, dichiarava di riconoscere nella medesima croce l'oggetto del furto commesso ai danni del Sovrano Ordine di Malta - al procedimento penale incardinato nei propri confronti, con tutte le conseguenze dannose da ciò derivategli.

3) Omesso riconoscimento di responsabilità del Sovrano Ordine di Malta ex art. 2049 c.c., quale fatto del dipendente.

Nel richiamare le deduzioni svolte a proposito della configurabilità, in termini di illecito extracontrattuale, della condotta tenuta dal Gi., l'appellante assumeva avrebbe dovuto riconoscersi la conseguente responsabilità del rispettivo datore di lavoro, per la cui sussistenza è sufficiente un rapporto di subordinazione e il collegamento del fatto lesivo con le mansioni svolte dal dipendente, finanche quando lo stesso abbia operato oltre i limiti del proprio incarico e questo abbia rappresentato l'occasione per commettere l'illecito e, quindi, produrre il danno.

4) Carenza di motivazione in ordine alla revoca dell'ordinanza di ammissione della C.T.U. medico-legale.

Secondo l'appellante il Giudice avrebbe mancato di motivare la revoca della già disposta C.T.U. medico-legale, così violando non solo l'art. 111 Cost., bensì anche la normativa di cui agli artt. 132 e 134 c.p.c.

5) Ingiusta condanna dell'attore ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Infine, nel contestare la condanna disposta nei propri confronti ex art. 96, comma 3, c.p.c., il Vi. tornava a evidenziare che il Giudice di primo grado si sarebbe limitato a valutare la condotta dei convenuti unicamente in riferimento ai reati di calunnia e diffamazione, senza alcuna considerazione della stessa sotto il profilo della responsabilità aquiliana, pure da esso attore tempestivamente richiesta, con conseguente ingiustizia della decisione per aver ritenuto il suo comportamento processuale manifestamente infondato e basato su colpa grave, nonostante le contrarie risultanze evincibili dalla ricostruzione della vicenda operata sulla scorta della documentazione agli atti.

La proposta impugnazione è parzialmente fondata, quindi meritevole di accoglimento nei limiti e per le ragioni che seguono.

Preliminarmente, non essendosi a ciò provveduto in udienza, viene dichiarata la contumacia dell'appellato Em.Ca. il quale, pur ritualmente citato, non si è costituito in giudizio.

Sempre in via preliminare, deve dichiararsi implicitamente rinunciata l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. come sollevata dalla difesa degli appellati Gi. e Sovrano Ordine di Malta dato che, all'udienza di trattazione tenutasi il 23.09.2020, non insistevano affinché la Corte riservasse ordinanza sul punto chiedendo, invece, fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.

Viene, invece, respinta, l'eccezione di inammissibilità dell'appello per violazione dell'art. 342 c.p.c., poiché, come da univoco orientamento della Suprema Corte di Cassazione, ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione è sufficiente che la stessa contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti criticati della sentenza appellata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando, alla parte volitiva, una parte argomentativa che vada a confutare e contestare le ragioni addotte dal primo Giudice, senza la necessità di utilizzare formule sacramentali o redigere un progetto alternativo di decisione, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cfr. Cass. Civ. 27.06.2018 n. 16914; Cass. Civ. 17.01.2018 n. 932; Cass. Civ. 14.09.2017 n. 21336; Cass. Civ. 05.05.2017 n. 10916; Cass. Civ. SS.UU. 16.11.2016 n. 27199). Infatti, dalla lettura dell'atto introduttivo della causa in esame si evincono chiaramente sia le statuizioni impugnate, sia l'esposizione delle ragioni addotte dal Vi. a sostegno del proposto gravame.

Quanto al merito, e, in particolare, con riferimento ai primi tre motivi di gravame - da trattarsi congiuntamente poiché tutti afferenti la lamentata erronea o mancata valutazione, nella sentenza di primo grado, della condotta del Gi. e del Ca. ai sensi dell'art. 2043 c.c., la relativa decisione non può che muovere dal consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio o la proposizione di una querela per un reato perseguibile solo su iniziativa di parte, possono costituire fonte di responsabilità civile per danni a carico del denunciante o querelante, nel caso di successivo proscioglimento o assoluzione (n.d.r. della persona indicata come autore del reato), esclusivamente ove contengano sia l'elemento soggettivo, sia l'elemento oggettivo della calunnia, giacché, al di fuori tali ipotesi, l'attività pubblicistica dell'organo titolare dell'azione penale si sovrappone all'iniziativa del denunciante o querelante, interrompendo ogni nesso causale tra la stessa iniziativa e il danno eventualmente subito dal soggetto denunciato o querelato (cfr. Cass. Civ. 30.11.2018 n. 30988; Cass. Civ. 20.02.2018 n. 4009; Cass. Civ. 10.06.2016 n. 11898; Cass. Civ. 20.03.2014 n. 6554).

Tale principio, infatti, si fonda sul rilievo che la limitazione dell'ipotesi di responsabilità civile - del denunciante o del querelante - al solo caso della condotta dolosa, trova la sua giustificazione nell'interesse pubblico alla repressione dei reati, per la cui effettiva realizzazione è necessaria anche la collaborazione del privato cittadino, la quale finirebbe per essere scoraggiata dalla possibilità di andare incontro a rivendicazioni risarcitone laddove le denunce si rivelassero inesatte o infondate.

Pertanto, la semplice presentazione di una denuncia penale, seguita da archiviazione o da assoluzione in sede processuale, non costituisce, di per sè, fonte di responsabilità (del denunciante) e di diritto al risarcimento del danno (del denunciato), essendo insufficiente, a tal fine, la semplice colpa determinata da leggerezza o avventatezza della denuncia (cfr. sul punto: Cass. Civ. 08.05.2015 n. 9322; Cass. Civ. 12.01.2012 n. 300), richiedendosi, per contro, la precisa volontà dolosa del denunciante, costituita dalla consapevolezza dell'innocenza del denunciato rispetto al fatto di reato attribuitogli, soprattutto laddove, come nella vicenda in esame, si tratti di reato perseguibile d'ufficio, quale quello previsto dall'art. 648 c.p., oggetto dell'imputazione contestata al Vi. nel giudizio penale N. 1062/2007 R.G.N.R. del Tribunale di Macerata, risoltosi con la rispettiva assoluzione (cfr. doc. 3 allegato all'atto di citazione in primo grado, sentenza n. 858/2015, depositata il 10.07.2015).

Ciò premesso, la disamina della questione posta al vaglio dell'intestata Corte, effettuata sulla scorta dei richiamati principi di diritto, non può che condurre a condividere le argomentazioni addotte a sostegno della gravata decisione e, di conseguenza, al rigetto delle doglianze prospettate nei richiamati motivi d'appello non ravvisandosi, nella condotta dei convenuti, gli estremi della calunnia la cui sola sussistenza avrebbe potuto determinare l'insorgenza, a loro carico, di una responsabilità risarcitoria.

Infatti, sebbene la querela sporta dal Ca. abbia dato impulso all'azione penale esercitata nei confronti del Vi., non vi è prova che la stessa sia stata proposta con la precisa intenzione di attribuire a quest'ultimo l'avvenuta commissione del reato (successivamente contestatogli) nella piena consapevolezza di saperlo innocente; nè, tantomeno, può rinvenirsi l'intenzionalità calunniosa nelle dichiarazioni rese dal Gi. in sede di sommarie informazioni - laddove egli riconosceva il bene, oggetto delle indagini riguardanti la suddetta querela, quale quello oggetto di furto perpetrato ai danni del Sovrano Ordine di Malta nel novembre dell'anno 1998, stante l'assenza, nelle medesime, di alcun riferimento alla persona dell'odierno appellante, neanche mai conosciuto da detto testimone. In definitiva, la mancanza, nella condotta del Ca. e del Gi. - nonché, di conseguenza, del Sovrano Ordine di Malta, suo datore di lavoro, dei requisiti integranti la fattispecie del reato di calunnia, che solo, come da richiamati principi di diritto, avrebbe potuto costituire l'insorgenza di una loro responsabilità civile, determina l'esclusione del nesso eziologico tra detta condotta e la sottoposizione del Vi. al processo penale, da questi ritenuto causa dei danni oggetto della richiesta risarcitoria dallo stesso avanzata in giudizio, per esseri concluso con la propria assoluzione.

Il mancato accoglimento dei primi tre motivi di gravame, poiché afferente la ritenuta insussistenza dell'"an debeatur", comporta l'assorbimento della disamina relativa alla contestata omessa motivazione, da parte del Giudice di primo grado, in ordine alla disposta revoca della C.T.U. medico-legale sulla persona del Vi.

Merita, invece, di essere accolto il motivo di gravame relativo alla eccepita ingiustizia della condanna di esso appellante, attore in primo grado, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento, in favore dei convenuti Gi. e Sovrano Ordine di Malta, della somma di euro 1.500,00, oltre interessi legali dalla data della decisione al saldo effettivo, poiché, come da numerose, quanto concordi pronunce della Suprema Corte, la condanna per responsabilità aggravata esige, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave del soccombente, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi difensive da questi prospettate, né può farsi derivare dal solo fatto che le stesse vengano considerate errate dal Giudice (cfr. Cass. Civ. 30.09.2021 n. 26545; Cass. Civ. SS.UU. 27.11.2019 n. 31030; Cass. Civ. SS.UU. 20.04.2018 n. 9912; Cass. Civ. 7901).

Ebbene, l'osservanza degli appena richiamati principi di diritto conduce a escludere la sussistenza di un intenzionale "travisamento dei fatti", in sentenza ascritto a parte attrice e, come tale, ritenuto sintomatico di colpa grave, atteso che, proprio la rilevata corretta rappresentazione della vicenda, resa dal Vi. nei capitoli di prova (cfr. stessa sentenza pag. 4), ossia l'avvenuta rettifica delle precedenti incongruenze, rivela, contrariamente alla valutazione espressa in proposito dal Giudice, l'assenza, in capo allo stesso attore, della pretestuosità e finalità meramente dilatoria e strumentale dell'azione proposta, le quali neanche si rinvengono nella condotta assunta dal Vi. in sede di appello, con la conseguenza di doversi respingere la richiesta di condanna dell'appellante, ai sensi dell'art. 96, commi 1 e/o 3, c.p.c., avanzata dagli appellati Gi. e Sovrano Ordine di Malta.

Alla luce delle suesposte argomentazioni e in osservanza tanto della normativa in materia, quanto del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità, l'intestata Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il proposto appello. Le spese di lite del grado seguono la parziale soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte d'Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Vittorio Vi. nei confronti di Em.Ca., Ma.Gi. e Sovrano Ordine di Malta, in persona del Gran Cancelliere e legale rappresentante pro-tempore, nonché avverso la sentenza del Tribunale Civile di Macerata n. 1195/2017, datata e depositata il 16.11.2017, ogni diversa domanda, eccezione, richiesta ed istanza disattese o assorbite, così provvede:

- accoglie parzialmente l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Civile di Macerata n. 1195/2017, datata e depositata il 16.11.2017, revoca la ivi disposta condanna dell'attore ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.;

- condanna l'appellante alla rifusione, in favore dell'appellata costituita, delle spese di lite del grado di giudizio che, previa compensazione del 30 per cento in ragione della parziale soccombenza (Cass. Civ. n. 15102/2021), si liquidano in complessivi euro 2.310,00, di cui euro 700,00 per la fase di studio, euro 560,00 per la fase introduttiva ed euro 1.050,00 per la fase decisionale, oltre al 15 per cento a titolo di rimborso spese generali, I.v.a. e C.p.a. come per legge;

- fermo il resto.

Così deciso in Ancona il 20 luglio 2022.

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2023.

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