Tribunale Nola, 18/01/2022, (ud. 19/11/2021, dep. 18/01/2022), n.2253
Il reato di calunnia si configura quando l'agente denuncia un fatto costituente reato, sapendolo non vero, al fine di accusare falsamente un individuo. Il dolo consiste nella consapevolezza della falsità della denuncia e dell'innocenza dell'incolpato, a prescindere dal motivo della falsa accusa. La condotta lesiva è diretta a pregiudicare il corretto funzionamento della giustizia e l'onore della persona falsamente accusata.
Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in sede in data 11 aprile 2019, Di Ca. Ma. Ro. veniva tratta a giudizio per rispondere del reato in epigrafe indicato.
All'udienza del 27 settembre 2019, il giudice, accertata la regolare costituzione delle parti e preso atto del deposito dell'atto di costituzione di parti civili delle persone offese, Pe. To. e Pe. Vi., dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. All'esito, il processo veniva rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale.
All'udienza del 10 gennaio 2020, si procedeva all'escussione dei testi, Pe. To. (nel corso della cui escussione si acquisiva con il consenso delle parti si acquisiva la denuncia-querela dallo stesso sporta in data 7 maggio 2018) e Pe. Vi.. All'esito il processo veniva rinviato in prosieguo.
Rinviate d'ufficio le udienze del 24 aprile 2020 e del 26 giugno 2020 per l'emergenza epidemiologica da COVID-19, alla successiva udienza dell'11 novembre 2020, si procedeva all'escussione del teste, Fr. Ma.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'udienza del 19 febbraio 2021, si procedeva all'escussione del teste, Or. Lo.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'udienza del 28 maggio 2021, con il consenso delle parti si invertiva l'ordine di acquisizione delle prove e si procedeva, pertanto, all'escussione del teste della difesa, D'Av. Pa..
All'udienza del 1° ottobre 2021, la difesa rinunciava all'escussione dei restanti testi di lista. Nulla osservando le altre parti, il giudice revocava le ordinanze ammissive delle relative testimonianze. Si procedeva, poi, all'esame dell'imputata e all'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'odierna udienza, il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili tutti gli atti processuali contenuti nel fascicolo dibattimentale e dava la parola alle parti, che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, sulla base delle quali pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza.
Motivi della decisione
Ritiene questo giudicante che dal materiale probatorio acquisito legittimamente al fascicolo del dibattimento sia emersa pacificamente la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato a lei ascritto.
Tale decisione si fonda sulla valutazione complessiva degli elementi probatori acquisiti e in particolare sulle dichiarazioni rese in sede di denuncia e nel corso del dibattimento dalle persone offese, Pe. Vi. e Pe. To., che hanno superato positivamente il rigido vaglio di credibilità e di attendibilità cui questo giudice le ha sottoposte.
Ebbene, nel presente procedimento la Di Ca. è chiamata a rispondere del delitto di calunnia, in quanto, secondo l'ipotesi accusatoria, la stessa avrebbe falsamente denunciato le due persone offese del reato di "fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona" di cui all'art. 642, co. 2, c.p.
Al fine di garantire una più completa e chiara ricostruzione dei fatti, è necessario partire dalla querela sporta dall'imputata in data 10 giugno 2017 presso la Stazione dei Carabinieri di (omissis), nella quale la stessa dichiarava in premessa di essere proprietaria dell'autocarro, (omissis), di colore bianco, targato (omissis), che, oltre ad essere fermo e inutilizzato da circa dieci anni presso la sua abitazione, sita in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis), era sottoposto a fermo amministrativo da parte di Equitalia. Detto ciò, la donna denunciava che in data 9 giugno 2017, verso le ore 12:00, si presentava presso la sua abitazione un perito mandato dall'assicurazione con l'intento di visionare l'autocarro in quanto, quest'ultimo, il 17 marzo 2017, era rimasto coinvolto in un sinistro stradale con un'autovettura, una (omissis), targata (omissis), di proprietà dei signori, Pe. Vi. e Pe. To.. La donna, allora, sospettando di essere vittima di una truffa, dal momento che l'autocarro, non venendo utilizzato da circa dieci anni, era sottoposto a fermo amministrativo, si determinava a sporgeva denuncia/querela nei confronti delle odierne persone offese (cfr. querela orale, in atti).
La ricostruzione dei fatti fornita dalla Di Ca. è stata completamente smentita alla luce di quanto emerso dalle risultanze istruttorie, tenuto conto non solo della denuncia sporta dalle persone offese, delle dichiarazioni dalle stesse rese e della documentazione prodotta, ma anche di quanto concordemente riferito dal testimone oculare, Or. Lo., in quella circostanza presente ai fatti.
Ed invero, il 7 maggio 2018, le due persone offese si recavano presso la Procura della Repubblica Di Nola per denunciare di essere state calunniate dall'odierna imputata e da suo marito, D'Av. Pa.. I Pe., infatti, dichiaravano di essere comproprietari di una autovettura, modello (omissis), tg. (omissis), che, il 17 marzo 2017, alle ore 20:00 circa, con alla guida Pe. To., veniva coinvolta in un incidente stradale causato dall'autocarro, (omissis), tg. (omissis), condotto da D'Av. Pa.. In seguito all'evento, dopo che l'autovettura in questione riportava danni alla carrozzeria lungo tutta la fiancata sinistra (documentate dalle foto effettuate nell'immediatezza dei fatti da Pe. To. - cfr. rilievi fotografici, in atti), il D'Av. si assumeva immediatamente la responsabilità dell'incidente, mostrando la propria patente di guida e la documentazione relativa al veicolo da lui condotto. Risultando, però, tale veicolo sprovvisto di copertura assicurativa, si rendeva immediatamente disponibile a riparare bonariamente il danno cagionato. Tuttavia, nei giorni successivi, senza dare motivazioni, lo stesso si sottraeva a tale impegno, rendendosi irreperibile. Per tale motivo, i Pe., al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, per il tramite del proprio difensore provvedevano a citare in giudizio l'odierna imputata - essendo questa la proprietaria del veicolo - e la Ge. It. S.p.a., in qualità di "fondo di garanzia per le vittime di sinistri causati da veicoli sprovvisti di assicurazione". Ebbene, dopo aver instaurato il giudizio presso il Giudice di Pace di (omissis) (R.G. 6820/17) scoprivano - attraverso il procuratore nominato della Ge. It. S.p.a. - che la proprietaria dell'autocarro, la Di Ca., aveva presentato querela a loro carico per il reato di truffa, non solo disconoscendo il sinistro, ma anche dichiarando che l'autocarro era fermo da oltre dieci anni presso il proprio domicilio. Tali ultime dichiarazioni, secondo le persone offese erano del tutte prive di fondamento, dal momento che, dalle foto scattate al furgone al momento dell'avvenuto sinistro, corredato di decalcomanie pubblicitarie della ditta "D'Av. Pa. e Figli, Via (omissis), (omissis), (omissis) […] impianti idraulici, ristrutturazioni, riscaldamento, condizionamento e antincendio", dalle foto del libretto di circolazione dell'autocarro, dalle quali emergeva che il furgone veniva sottoposto a revisione periodica, nonché dalle foto della patente di guida del D'Av. (conducente del veicolo al momento del sinistro), risultava che l'autocarro era tutt'altro che fermo da dieci anni. Infine, dichiaravano che al momento del sinistro, nell'autovettura del Pe. era presente anche un suo amico, Or. Lo., che aveva, quindi, assistito ai fatti (cfr. denuncia orale e documentazione, in atti).
In data 17 luglio 2018, Pe. To. si recava, allora, presso la Stazione dei Carabinieri di (omissis) per consegnare, al fine di una successiva ratifica, l'atto di denuncia/querela (cfr. querela orale, in atti).
Dalla denuncia/querela sporta dalla Ge. It. S.p.A., quale impresa designata alla gestione del "Fondo di garanzia per le vittime della strada", in persona dei dott.ri Al. Po. e Da. Da., si evinceva, infatti, che i Pe., in conseguenza di un incidente stradale con un veicolo privo di copertura assicurativa, avevano avanzato richiesta di risarcimento per i danni riportati alla loro autovettura. Tuttavia, all'esito delle verifiche compiute, avevano appurato che la Di Ca. non solo aveva disconosciuto il sinistro dichiarando che il veicolo era fermo oramai da dieci anni nei pressi della sua abitazione, ma aveva querelato anche le odierne persone offese (cfr. denuncia orale, in atti).
Ciò nondimeno, all'esito delle indagini svolte nei confronti della Di Ca. e del D'Av. per il reato di cui all'art. 368 c.p., il P.M. titolare del procedimento (R.G. 7837/18 mod. 21), avanzava richiesta di archiviazione nei confronti del solo D'Av., atteso che, da come si evinceva dagli atti, la denuncia di disconoscimento del sinistro non era stata sporta da
quest'ultimo, bensì dalla moglie, odierna imputata. Pertanto, veniva esercitata l'azione penale soltanto nei confronti della Di Ca., atteso che, nei confronti del D'Av., il reato non si era perfezionato per mancanza dei necessari elementi costitutivi (cfr. richiesta di archiviazione, in atti).
Escusso in dibattimento, Pe. To., oltre a confermare integralmente quanto dichiarato in sede di denuncia, aggiungeva ulteriori particolari utili alla ricostruzione della vicenda. Innanzitutto, specificava che nei giorni immediatamente successivi all'incidente si era messo in contatto telefonicamente con il D'Av. e con la moglie e che in alcune circostanze si era recato anche a casa loro al fine di trovare un accordo per riparare il danno causato alla sua autovettura. Tuttavia, dopo che l'uomo si era reso irreperibile, rifiutando ogni tipo di chiamata e non avendo mai provveduto a risarcirlo del sinistro causato, aveva deciso di agire per vie legali. Inoltre, specificava di aver interloquito soltanto per via telefonica con la Di Ca., qualificandosi come "il ragazzo dell'incidente", dal momento che ogniqualvolta si recava presso la sua abitazione, anche se la donna era sempre presente, dialogava soltanto con il D'Av. (responsabile del sinistro) e suo figlio.
Di analogo tenore le dichiarazioni rese da Pe. Vi., il quale premetteva di conoscere sia la Di Ca. che il D'Av., in quanto, in passato, erano stati vicini di casa. Pertanto, conoscendo l'abitazione, in più di una occasione, aveva accompagnato presso il loro domicilio il figlio, To., per discutere con il D'Av. delle modalità e dei tempi del risarcimento. Infatti, a detta del Pe., pur non interloquendo in prima persona con l'odierna imputata, questa, essendo presente in casa, aveva ascoltato l'intera discussione. Inoltre, più di una volta, il figlio, To., aveva parlato telefonicamente con lei accennandole la vicenda relativa al sinistro. Per tali motivi, la donna era sicuramente a conoscenza di tutti gli accadimenti.
Il propalato delle persone offese è stato riscontrato dalle dichiarazioni rese dal Maresciallo Capo Fr. Ma., all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di (omissis). Questi, infatti, dichiarava di aver ricevuto sia la denuncia della Di Ca. per il reato di truffa ai danni dei Pe. che la denuncia sporta dalle persone offese nei confronti di quest'ultima per il reato di calunnia. Pertanto, nel corso delle indagini relative alla seconda querela, aveva proceduto a sentire a sommarie informazioni Or. Lo. (indicato in denuncia come testimone oculare), il quale aveva confermato integralmente quanto da loro dichiarato in denuncia.
Ed invero, escusso nel corso dell'istruttoria dibattimentale, l'Or. riferiva che in data 17 marzo 2017, intorno alle ore 20:00, l'autovettura sulla quale viaggiava con Pe. To., una (omissis) nera, era stata coinvolta in un incidente causato da una persona a bordo di un furgone. Nel caso specifico, quest'ultima, dopo aver urtato tutta la fiancata dell'autovettura del Pe., anziché fermarsi, aveva proseguito per la sua strada. Ne era nato, così, un breve inseguimento, culminato al (omissis), in (omissis), allorquando i due erano riusciti a bloccare il furgone. In quel frangente, l'uomo alla guida, dichiarando di essersi accorto solo in quel momento di aver provocato accidentalmente il danno e ammettendo, quindi, le proprie responsabilità, aveva manifestato la volontà di riparare a sue spese il danno, non coinvolgendo le rispettive compagnie assicurative, in quanto il suo veicolo non era coperto dalla polizza assicurativa. Il teste aggiungeva, poi, che nell'immediatezza dei fatti, insieme a Pe. To., aveva scattato delle foto (acquisite con il consenso delle parti) ritraenti il mezzo coinvolto nell'incidente, la patente di guida dell'uomo e il libretto di circolazione del furgone. Peraltro, tali rilievi fotografici, sottoposti all'Or. nel corso della sua escussione, venivano da lui riconosciuti senza ombra di dubbio.
Sentito nel corso del dibattimento, il D'Av. ammetteva di aver causato il sinistro e di essere l'unico presente nel furgone al momento dell'incidente. Aggiungeva, inoltre che la moglie non aveva la patente di guida né tantomeno aveva mai guidato un mezzo e, pertanto, era l'unico ad utilizzare il veicolo in quanto necessario per portare avanti la sua professione di idraulico. Proprio per tale motivo sottoponeva il mezzo a revisione periodica costante. Ed invero, non avendo la moglie mai avuto conoscenza del sinistro da lui causato, in riferimento alla denuncia oggetto del presente procedimento, l'uomo riferiva di averla accompagnata in caserma per farle sporgere querela di truffa nei confronti delle persone offese, in quanto, ritenendo egli di aver già riparato il danno a queste ultime, aveva temuto che gli stessi, presentatisi in più di una circostanza presso la sua abitazione, volessero truffarlo.
Infine, la Di Ca., sottopostasi ad esame, dichiarava di essere l'intestataria del (omissis) e che, per tali motivi, il marito, temendo che i Pe. fossero intenzionati a truffarli, l'aveva obbligata a recarsi dai Carabinieri per sporgere una denuncia in via preventiva. Tuttavia, la donna aggiungeva che essendo il furgone già malridotto ed essendo inoltre fermo alle spalle della sua abitazione, non avrebbe mai potuto intuire che il marito fosse stato rimasto coinvolto in un incidente. Inoltre, diversamente da quanto dichiarato in denuncia - secondo cui, l'autocarro era fermo da dieci anni nei pressi della sua abitazione - la donna, nel corso del suo esame dibattimentale, riferiva, invece, non solo che, essendo il marito un idraulico, tale veicolo veniva utilizzato saltuariamente dallo stesso per motivi di lavoro, ma anche che, essendoci due cancelli con due ingressi e uno di questi utilizzato solo dal marito per carico e scarico merci, non aveva contezza delle volte in cui l'autocarro era stato da lui utilizzato.
Ebbene, alla luce delle circostanze di fatto sopra esposte deve ritenersi che la Di Ca. abbia falsamente denunciato i Pe., colpevoli di volerla truffare, ottenendo fraudolentemente il risarcimento legato a un sinistro che sarebbe stato causato dal furgone di sua proprietà, ma che secondo la donna non si era mai verificato.
Ed invero, le dichiarazioni rese dalle persone offese hanno positivamente superato il vaglio di attendibilità intrinseca ed estrinseca cui questo giudice le ha sottoposte, essendo risultate assolutamente genuine, credibili e coerenti, oltre ad essere riscontrate dalla documentazione prodotta agli atti e dalle testimonianze rese dall'altro teste escusso, il quale, presenti ai fatti, ha confermato la versione fornita dai Pe..
Al riguardo, va, infatti, evidenziato come le ricostruzioni fornite da Pe. To., dal padre, Pe. Vi., e da Or. Lo. siano perfettamente sovrapponibili, rafforzando ancor più, a parere di questo giudicante, il giudizio di attendibilità delle loro dichiarazioni.
È emerso, quindi, pacificamente che Pe. To., la sera del 17 marzo 2017, è rimasto coinvolto in un incidente causato dall'autocarro in uso al D'Av.. Tuttavia, questi, in un primo momento, non essendosi accorto di aver cagionato il danno, aveva continuato il suo percorso in direzione (omissis). Soltanto in un secondo momento, rendendosi conto del danno provocato, aveva riferito alla persona offesa di essere intenzionato a riparargli l'autovettura da un suo carrozziere in quanto, il veicolo su cui viaggiava era sprovvisto di polizza assicurativa. Successivamente, non avendo il D'Av. rispettato gli accordi e temendo il peggio, dal
momento che il Pe. si era rivolto alla propria compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento del danno, aveva indotto la moglie, in qualità di proprietaria del veicolo, a denunciare di truffa le persone offese presso la locale Stazione dei Carabinieri. La Di Ca., dal canto suo, pur sapendo che il sinistro si fosse verificato, avendo più volte dialogato con i Pe. ed essendo presente agli svariati incontri tenutisi presso la sua abitazione, si decideva ugualmente a portarsi presso gli uffici di p.g. e a denunciare i Pe., dichiarando falsamente che l'incidente non poteva essere avvenuto atteso che il furgone era fermo da circa dieci anni. Appaiono sussistere, pertanto, gli estremi della calunnia cosiddetta formale, atteso che attraverso la denuncia/querela sporta in data 10 giugno 2017 presso la Stazione dei Carabinieri di (omissis), l'odierna imputata accusava falsamente i Pe. di volerla truffare, avendo provveduto a denunciare alla propria compagnia assicurativa un falso sinistro coinvolgente l'autocarro a lei intestato.
La denuncia/querela sporta dalla Di Ca. conteneva, infatti, la prospettazione di circostanze di fatto che hanno dato impulso ad investigazioni da parte dell'autorità giudiziaria, facendo scaturire nei confronti delle persone offese l'apertura di un procedimento penale. La condotta ascritta all'imputata appare, pertanto, concretamente lesiva del bene tutelato in via primaria dalla norma incriminatrice di cui all'art. 368 c.p., che va individuato nel corretto funzionamento della giustizia e, d'altro canto, ha determinato un'esposizione a pericolo dei beni, pure presidiati dalla indicata disposizione, dell'onore e della libertà dei soggetti falsamente incolpati (sulla natura plurioffensiva della fattispecie e sulla intensità del pericolo, che può essere anche solo lieve e remota, necessaria ai fini della integrazione della calunnia, si vedano, rispettivamente Cass., Sez. I, 2 agosto 1998, n. 1880 e Cass., Sez. VI, 26 marzo 1993, n. 3040).
Sotto altro profilo, sussiste, altresì, il dolo, atteso che l'imputata poneva in essere una condotta volontaria con la consapevolezza della innocenza di coloro che implicitamente incolpava. L'elemento soggettivo del reato di calunnia, infatti, è pacificamente rappresentato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di incolpare qualcuno con la consapevolezza della natura delittuosa del fatto addebitato e della circostanza che questi non l'ha commesso. Si prescinde dai motivi che hanno spinto il denunciante alla falsa incolpazione: non è necessario, quindi, che il calunniatore avesse come specifica finalità quella di recare danno all'incolpato, ben potendo configurarsi l'elemento soggettivo della calunnia quando la falsa incolpazione sia stata dettata, ad es., dalla finalità di sviare da sé o da altri i sospetti dell'autorità riguardo alla commissione di un determinato reato (ed. animus defendendi).
Nel caso in esame, come si è detto, deve ritenersi che la Di Ca. fosse perfettamente consapevole, al momento della denuncia, che i Pe. non avessero denunciato un sinistro mai accaduto e che, quindi, fossero intenzionati a perpetrare ai danni suoi e del marito una truffa. La versione dei fatti fornita dall'odierna imputata appare, infatti, a questo giudice assolutamente non credibile e a tratti inverosimile. Ed invero, in più di una occasione, quando le persone offese si erano recate presso la loro abitazione per discutere dei termini dell'accordo con il D'Av., la donna, pur non intervenendo in prima persona nel discorso, era comunque sempre presente e, quindi, aveva udito ciò che veniva detto. In secondo luogo, dall'istruttoria dibattimentale è emerso che ogniqualvolta Pe. To. interloquisse per telefono con l'odierna imputata si qualificava proprio il "ragazzo dell'incidente". Se a ciò si aggiungono le falsità pronunciate dalla Di Ca. in sede di denuncia (la stessa, infatti affermava che il furgone era inutilizzato da oltre dieci anni e che sullo stesso pendeva un fermo amministrativo da parte di Equitalia, per poi, invece, correggersi nel corso dell'esame dibattimentale, allorquando precisava che il mezzo in questione veniva utilizzato dal marito per lavoro e che quindi, era perfettamente in uso), appare del tutto inverosimile che questa non fosse a conoscenza del sinistro stradale.
Pertanto, a fronte delle suesposte risultanze istruttorie, le dichiarazioni rese dall'odierna imputata non sono idonee a confutare la portata accusatoria del compendio probatorio acquisito. Si tratta, invero, di dichiarazioni evidentemente strumentali alla sua difesa, inverosimili e non corroborate da alcun serio riscontro esterno, ma, al contrario, del tutto smentite dalle emergenze probatorie acquisite la cui valenza dimostrativa è indiscussa.
Sulla scorta delle considerazioni effettuate va, quindi, affermata la penale responsabilità della Di Ca. in ordine al reato ascrittole.
Quanto al trattamento sanzionatorio, appaiono sussistere nel caso di specie ragioni di meritevolezza tali da consentire il riconoscimento all'imputata delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi all'uopo valutare lo stato di incensuratezza e il corretto comportamento processuale della Di Ca., con conseguente evidente vantaggio in termini di economia processuale.
Tanto premesso, considerati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e avuto riguardo specialmente alle modalità dei fatti, si ritiene equo irrogare alla Di Ca. la pena finale di anni uno e mesi quattro di reclusione, così determinata: pena base anni due di reclusione, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena inflitta.
Alla condanna segue, inoltre, a norma dell'art. 535 c.p.p., in capo all'imputata l'obbligo di pagamento delle spese processuali.
Sussistono, alla luce delle risultanze del certificato del casellario giudiziale in atti, i presupposti formali e sostanziali per la concessione all'imputata dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, consentendolo l'entità della sanzione inflitta alla Di Ca. e lo stato di incensuratezza della stessa, che consente la formulazione di un positivo giudizio prognostico in ordine alla futura astensione dalla commissione di reati.
Riguardo alla domanda di natura civilistica formulata nel presente giudizio, va osservato che la realizzazione del contestato reato da parte dell'odierna imputata ha indubbiamente provocato un pregiudizio alle persone offese di carattere morale e patrimoniale.
Tuttavia, le prove acquisite non consentono di quantificare l'entità di tale danno e, pertanto, Di Ca. Ma. Ro. va condannata al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in un separato giudizio. Non potendo ritenersi raggiunta la prova neppure in ordine ad una misura parziale del danno, va rigettata la domanda di condanna al pagamento di una provvisionale formulata dalle parti civili costituite.
Infine, l'imputata, soccombente nel giudizio civile instaurato nell'ambito del processo penale, va condannata al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza affrontate dalle parti civili costituite, Pe. To. e Pe. Vi., che si liquidano per ciascuna in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA e rimborso spese generali nella misura del 15%, come per legge.
Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Di Ca. Ma. Ro. colpevole del reato a lei ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede all'imputata i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna Di Ca. Ma. Ro. al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Rigetta la richiesta di condanna ad una provvisionale immediatamente esecutiva.
Letto l'art. 541 c.p.p. condanna Di Ca. Ma. Ro. al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza sostenute dalle costituite parti civili, che si liquidano per ciascuna in Euro 1.500,00 oltre IVA e CPA e rimborso spese generali nella misura del 15%, come per legge.
Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola, il 19 novembre 2021
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2022