Corte appello Napoli sez. VI, 28/06/2024, n.7517
In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 74/2000, è necessario considerare le regole fiscali per la quantificazione dell'imponibile come base di calcolo, tenendo conto dei costi non contabilizzati solo in presenza di allegazioni fattuali che ne provino l'esistenza. La responsabilità penale per i reati tributari è configurabile anche in capo a chi eserciti attività gestoria di fatto, richiedendosi il dolo specifico di evasione delle imposte.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
All'udienza del 17/1/2018, il Tribunale di Napoli, settima sezione penale, ha emesso la sentenza nr. 658/18, con la quale ha dichiarato Cr. Luisa responsabile dei reati a lei ascritti e, unificate, le condotte sotto il vincolo della continuazione, l'ha condannata alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese di giudizio.
Ai sensi dell'art. 12 del D.lgs. 10 marzo del 2002, nr. 74, ha dichiarato l'imputata interdetta dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapace di contrattare con la pubblica amministrazione, interdetta dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per la stessa durata della pena principale, nonché interdetta in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria. Ai sensi dell'art. 12 del D.Lvo 10/3/2000, nr. 74, 36 c.p., ha disposto la pubblicazione della sentenza per estratto sul sito internet del Ministero della Giustizia.
Ai sensi dell'art. 163 c.p. ha ordinato la confisca di beni immobili, mobili, danaro e titoli di credito nella diponibilità dell'imputata, fino alla concorrenza della somma di euro 5.076.551,00.
Contro tale sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputata Cr.Lu., Avv. Le., chiedendo: l'assoluzione dell'imputata dai reati ascrittigli, non avendo il giudice effettuato riscontri alle dichiarazioni dei testi dell'evasione ascrivibile alla Cr., relativamente alle evasioni contestate per gli anni 2007,2008;
l'assoluzione dal reato di cui al capo d) dell'imputazione, essendo l'imputata uscita dall'amministrazione della (…), alla data del 10/4/2011, ed avendo limitato la sua azione esclusivamente al negozietto artigianale della zona degli orefici;
la difesa contesta, altresì, la parte della sentenza in cui vengono effettuati i conteggi, fissando la differenza tra gli accrediti e la contabilità ufficiale, mancando, sul punto, ogni verifica effettivamente controllabile.
Il difensore dell'imputata, Avv. Vi., ha proposto appello, chiedendo:
l'assoluzione dell'imputata, avendo il giudice effettuato il calcolo della base imponibile fondato su un criterio errato, ritenendo ricavi, le somme d'impresa non dichiarate, senza, viceversa, considerare gli addebiti, come costì da scomputare;
l'assoluzione dell'imputata, avendo ella svolto, esclusivamente, il ruolo di amministratore di un piccolo negozio al (…), mentre il fratello Ga., gestiva la sede principale dell'attività, sita all'interno del Centro (…).
In relazione alle questioni di merito va rilevato che il giudice di primo grado motivava la responsabilità dell'imputata dalle deposizioni dei verbalizzanti, Mar. Pe.Gi. Mar. Ma.Bi., entrambi in forza alla Guardia di Finanza, Nucleo Polizia Tributaria di Napoli, dal processo verbale di costatazione, a firma degli operanti, redatto in data 25/1/2013.
Il procedimento in oggetto prendeva il suo incipit da un'articolata attività investigativa avente ad oggetto il crack della costituenda Banca Popolare (…), in cui risultava coinvolto tra gli altri, tale Ca.Ra.
Nell'ambito di tale indagine venivano individuate una serie di persone che avevano avuto rapporti economici con il Ca., tra cui i germani Cr.Lu. e Cr.Ga.
Cr.Ga., sentito dal P.M., dichiarava che il Ca. fosse diventato uno dei clienti più importanti della (…), che acquistava dalla società dei preziosi, dapprima per sé, e, poi per farne omaggio ai più importanti sottoscrittori delle azioni della costituenda banca. Egli precisava che il Ca. avesse acquistato preziosi, nell'arco di tre anni, per un valore di circa euro 500.000,00, aggiungendo che, solo il 50 per cento della merce della società, veniva fatturata. Da tale spunto investigativo gli operanti del Nucleo di Polizia Tributaria avviavano indagini mirate, nei confronti della (…), accertando che l'odierna imputata fosse stata amministratrice della società, dal 25/9/2006 al 10/4/2011, allorquando le era subentrato il fratello, Cr.Ga.
Gli operanti procedevano ad un esame delle movimentazioni dei rapporti bancari intestati direttamente alla società, (…) srl, negli anni 2007-2010, e ciò al fine di verificare l'eventuale transito su tali conti dei proventi dell'attività commerciale, che erano stati sottratti al Fisco.
Ebbene effettuando tali verifiche sui conti della società si aveva modo di verificare che negli anni 2008,2009 e 2010, erano stati eseguiti versamenti superiore a quelli risultanti dalla contabilità ufficiale della società ed oggetto, poi, di dichiarazione fiscale per i medesimi anni di imposta. Sulla scorta dell'analisi indicata il giudice riteneva provata la responsabilità dell'imputata, per i reati ad ella contestati, partendo da una base imponibile accertata facendo riferimento ai versamenti sui conti correnti bancari intestati direttamente alla (…), non riscontrati nella contabilità ufficiale della società e nelle conseguenti dichiarazioni fiscali, in assenza di ogni diversa allegazione o spiegazione, da parte dell'imputata.
Le circostanze indicate dalla difesa appaiono prive di pregio, per le ragioni che, di seguito, verranno illustrate.
In punto di diritto giova considerare che le regole stabilite dalla legislazione fiscale per la quantificazione dell'imponibile, costituiscono il parametro base al quale quantificare l'ammontare dell'imposta evasa, fermo restando che l'accertamento soggiace alle regole del processo penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quantomeno, di allegazioni fattuali, da cui desumere con certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza, non assumendo rilievo, nella valutazione sulla divergenza dei valori indicati in contabilità, la mera violazione dei criteri di competenza e di inerenza di ricavi e costi oggettivamente esistenti (Sez. 3, 18/1/2021, nr. 24142).
Pertanto, in assenza di ulteriori allegazioni tali da poter desumere, con certezza, l'esistenza di costi certi sostenuti dall'azienda, tali da modificare la determinazione dell'imponibile su cui calcolare l'imposta evasa, per gli anni in contestazione e dell'assenza di qualsivoglia documentazione idonea a sconfessare l'accertamento presuntivo effettuato dall'Amministrazione finanziaria, risulta, senz'altro integrata la violazione dell'art. 4 D.lgs. 74 del 2000.
In particolare i verificatori effettuavano il computo delle imposte evase confrontando i versamenti bancari, con i mastrini di sottoconto della società, ed estrapolando, dunque, gli importi non contabilizzati e non dichiarati al Fisco; correttamente gli addebiti su detti conti non sono stati valutati come costi, in assenza di ogni allegazione da parte dell'imputata, quanto alla loro esistenza, inerenza ed incidenza.
Il dato indicato risultava confermato, altresì, dalle dichiarazioni rese da alcuni soggetti che emettevano assegni bancari, oggetto, di versamento su detti conti, che riconducevano la negoziazione di detti titoli, proprio, all'acquisto dei preziosi, gestito dai fratelli Cr.; ciò conferma l'assunto che l'imputata, unitamente al fratello, faceva transitare, parte dei proventi, in nero, legati all'attività commerciale (…) srl.
Per quanto concerne, invece, il profilo relativo alla responsabilità personale dell'imputata risulta adeguatamente affrontato in sentenza; la Cr., invero, rivestiva la carica di amministratrice della (…) dal 25/9/2006 al 10/4/2011, quando le subentrava il fratello, sicché il delitto di dichiarazione infedele continuato è contestato all'imputata, in concorso con il fratello con Cr.Ga., nella qualità di amministratrice di diritto per le dichiarazioni presentate negli anni 2008, 2009, e 2010 e quale amministratrice di fatto per la dichiarazione fiscale presentata nel 2011. Orbene, per il delitto di dichiarazione infedele è richiesto il dolo specifico, ovvero il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto e che la responsabilità penale per i reati tributari è, senz'altro, configurarle anche in capo a chi eserciti attività gestorie, in via di fatto.
Dall'esame delle risultanze dibattimentali è emerso che la società veniva costituita il 30/4/2002, con amministratore unico Cr.Fr., cui subentrava nel 2006, la figlia, Cr.Lu. e, infine, nell'aprile del 2011, Cr.Ga.
Ella, pertanto, subentrava al padre, rivestendo per un considerevole lasso temporale, di cinque anni, la carica di amministratore, operando, concretamente ed assiduamente, nella società durante questo periodo, prestando la propria attività lavorativa, presso la sede operativa della (…), sita in Napoli in Via (…).
Ella curava le attività di vendita presso detta sede, incassando personalmente i pagamenti, ricevendo assegni bancari emessi dai clienti della medesima società ed alcuni di essi venivano versati sui conti personali dell'imputata.
Ella, dunque, risultava perfettamente inserita nelle dinamiche operative della società, facente capo ali; famiglia, condividendo, con il fratello, delle scelte, anche fiscali dell'impresa, essendo, evidentemente interessata, in prima persona, alla riscossione o ripartizione degli utili.
In definitiva l'imputata, ben consapevole delle infedeltà delle dichiarazioni fiscali incriminate dell'entità delle imposte evase, poneva, in essere, nella qualità soggettive, sopra indicate le condotte incriminate.
Tutto ciò premesso non si può non rilevare che i reati di cui ai capi a), b), c), si sono estinti, mentre i capo sub d) non può ritenersi prescritto per le sospensioni intervenute nel giudizio di primo grado, par gg. 1125 (vedi svolgimento del processo sentenza di primo grado, e pag. 6 sent. primo grado). Tenuto conto dell'intervenuta prescrizione del reato va valutata l'applicabilità della confisca, alla luce delle recenti pronunce della Corte di legittimità, secondo cui "la disposizione dell'art. 578-bis cod proc. pen., che prevede la possibilità di mantenere la confisca con la sentenza di proscioglimento pei intervenuta prescrizione del reato nel caso in cui sia accertata la responsabilità dell'imputato, t applicabile anche alla confisca tributaria ex art. 12 bis d.lvo 10 marzo 2000, nr. 74, che tuttavia, ove disposta per equivalente, non pud essere mantenuta in relazione a fatti anteriori all'entrata in vigori del cit. art. 578-bis cod. proc. pen., atteso il suo carattere afflittivo" (cfr. da ultimo Sez. 3, nr. 1565: del 2/2/2022 Ud (dep 22/4/2022) rv 283275-01; Sez. III, 26/9/2023, nr. 39115). Quanto detto determina che la confisca debba essere confermata nella misura delle due imposte evase per l'Iva, nella misura di euro 384.135,00 ed Ires, pari ad euro 528.186,00, somma relativa alla sottrazione all'imposizione fiscale, oggetto di cui al capo d) dell'imputazione.
P.Q.M.
Letti gli artt.605 e segg. c.p.p. e 23 D.L. 149/2020, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli settima sez. penale, del 17/1/2018 appellata da Cr.Lu., dichiara NDP in relazione ai reati alla stessa contestati, ai capi a), b), c) dell'imputazione e ridetermina la pena, per il solo capo d dell'imputazione in anni uno di reclusione.
Letto l'art. 12 bis D.lvo. 74/2000 ordina la confisca dei beni in sequestro, nei limiti dell'ammontare d complessivi euro 91.2321,00, disponendo la restituzione dell'ammontare eccedente l'indicata somma all'avente diritto.
Conferma, nel resto, l'impugnata sentenza.
Così deciso in Napoli il 19 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2024.