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Estorsione e lesioni personali in ambito familiare: delimitazione del reato rispetto ai maltrattamenti (Giudice Napolitano Tafuri)

estorsione-lesioni-famiglia

Tribunale Napoli sez. IV, 09/03/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 09/03/2010), n.2901

Il reato di estorsione, anche in ambito familiare, si configura quando un soggetto eserciti violenza o minaccia per ottenere un ingiusto profitto, indipendentemente dal legame parentale. Le condotte reiterate e coartanti, se finalizzate alla richiesta di denaro, prevalgono rispetto alla configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia.

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La sentenza integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Per la data del 30.11.2009, perveniva da altra Sezione a questo Tribunale di Napoli IV sez. penale collegio C, il procedimento a carico di S.L. per i reati precisati in rubrica.

Presente l'imputato, in stato di custodia cautelare in carcere per questi fatti, all'udienza del 30.10.2009 venivano affrontate le numerose questioni preliminari sollevate dalla difesa - si rinvia integralmente al verbale di udienza per le

relative pronunce del Tribunale -. Respinta la conseguente dichiarazione di astensione, il 6.11.2009 si dava corso alle formalità di apertura del dibattimento e venivano ammesse tutte le prove richieste.

Durante l'istruttoria dibattimentale venivano esaminati i testi del PM Sa.G. (il 6.11.09), Do.M. , Bi.G. (l'11.12.2009), Br.G. (il 18.12.2009). Rese quindi spontanee dichiarazioni dall'imputato ed acquisitone ex art. 513 c.p.p. l'interrogatorio del 30.6.2009 - essendosi egli rifiutato di rendere l'esame -, sulle successive conclusioni delle parti in epigrafe, il Tribunale emetteva il dispositivo riservandosi i motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva il Tribunale che dall'istruttoria espletata è, stata raggiunta la prova piena della responsabilità dell'imputato esclusivamente in ordine ai reati a lui ascritti ai capi A) e C) e per gli stessi egli va pertanto condannato.

Ed invero gli elementi probatori raccolti nell'istruttoria, segnatamente le dichiarazioni rese dal teste dei CC. Do.M. e dai familiari di S.L. - S.G. (padre), B.C. (madre) e Bo.Gi. (moglie) -, integrate dalla certificazione medica relativa a ciascuna di dette pp.oo. e dal verbale di sequestro del coltello, hanno pienamente convinto il collegio della penale responsabilità per il reato di estorsione continuata sub A) e di quello delle lesioni sub C).

I fatti per cui è processo trovano collocazione, per quanto accertato nel corso dell'istruttoria, all'interno delle mura domestiche dell'abitazione di Casoria in via G. dove l'imputato, insieme alla moglie Bo.G. ed al figlioletto di due anni, convive con la propria famiglia di origine, composta dal padre G., dalla madre B.C. e dalla sorella.

Tale convivenza, a detta di tutti i testi esaminati, è resa oltremodo difficile dal comportamenti dell'imputato, da qualche tempo licenziatosi dalla Fiat di Pomigliano d'Arco, e continuamente bisognoso di danaro. Infatti continue e "martellanti" erano state le sue richieste di danaro nei confronti dei genitori: avanzate per i motivi più disparati, in modo del tutto pretestuoso, sempre "ossessivamente" ripetute e spesso condite anche da minacce verbali. Esse si collocavano in un clima di intollerabile violenza, anche psichica, che l'imputato aveva artatamente creato. Tali richieste erano infatti tutte comunque riconducibili alla sua tossicodipendenza ed all'acquisto delle sostanze stupefacenti al cui consumo egli era dedito.

Pertanto l'esame delle diverse pp.oo. è stato reso difficoltoso, per usare un eufemismo, dall'evidente strazio di ciascun teste nel ripercorre i fatti denunciati, essendo i familiari alquanto preoccupati delle condizioni dell'imputato. In particolare il padre G., nel corso del proprio tormentatissimo esame, ha ripercorso l'aggravamento della situazione del figlio dopo le sue dimissioni dalla Fiat, di circa un anno prima. Quando nel marzo 2009 erano finiti i soldi della liquidazione, le violenze in casa da parte del figlio, "sia verbali che in termini di persona", con la "rottura in casa di porte, sedie e tavoli ed a volte anche in termini personali", le minacce di morte avanzate nei loro confronti, erano diventate continue. Culminando nell'ultimo episodio del 28.6.2009 in cui, allarmati da quanto udito, erano stati i vicini di casa a sollecitare l'intervento dei CC: in famiglia infatti erano diventati completamente succubi del ragazzo e delle sue angherie. In particolare anche quella mattina il figlio aveva richiesto del danaro. Anche la sera prima vi era stato un analogo episodio ma, a fronte della richiesta di E. 50, ne aveva ottenuto solo la metà: così egli era riuscito a dimezzarla. Quando poi la mattina dopo era ripartita l'ennesima richiesta da parte di L. era scattato il litigio, la cui violenza aveva indotto i vicini alla denuncia. All'arrivo dei CC. poi si erano determinati a denunciare il tutto per cui, dopo essersi recati al PS per i referti e la denuncia in caserma, era scattato il fermo del figlio. Solo così, dopo la denuncia, aveva realizzato come la situazione fosse precipitata innanzi ai comportamenti del figlio il quale, per le conseguenze della tossicodipendenza, "non era più lui".

In particolare la mattina dell'arresto l'aveva anche aggredito, prendendolo alla gola. Così come aveva usato violenza contro la madre - colpita a sua volta con pugni e schiaffi - e, subito dopo, alla moglie, nella loro camera da letto trascinata per terra. Il teste ha precisato che quella mattina, così come altre volte, queste violenze, anche solo indirettamente, erano sempre riconducibili alle richieste di danaro che il figlio continuamente avanzava. Dopo l'intervento dei CC. si era recato, insieme alla moglie ed alla nuora c/o il PS dell'Osp. S. Giovanni Bosco dove, per le ferite da ciascuno riportate, erano state refertate lesioni varie. E subito dopo, sempre nella stessa giornata, erano stati tutti e tre in Caserma a denunciare l'accaduto.

Analogamente la madre dell'imputato B.C. ha riferito della violenze verbali e fisiche esercitate dal figlio su di loro, suoi familiari. Violenze nascenti dalle sue richieste di danaro avanzate con i pretesti più vari: l'acquisto di vestiario, il rifornimento di carburante all'auto etc. In realtà però esse erano tutte riconducibili alla droga, della quale il figlio era assuntore, ed al danaro necessario per procurarsela. La mattina del suo arresto, il 28 giugno, l'aveva sentito rientrare di primo mattino a casa ed avevano litigato: dopo l'ennesima richiesta di danaro, innanzi al rinvio ricevuto, aveva iniziato il suo "martellamento continuo, che poi bastava una sciocchezza che alzava le mani, gridava urlava, ma il fine era sempre quello (il danaro n.d.r.)" (vedi verbale 18.12.09 pag. 11). La donna ha sinteticamente ed efficacemente affermato che, consegnando al figlio il danaro richiesto da lui ossessivamente, "si comprava un'ora di quiete". Infatti era una sorta di copione che si ripeteva sempre con le stesse modalità, anche perché i soldi non gli bastavano mai. Tanto che quella mattina era stata strattonata ed aggredita dal figlio con calci e schiaffi, così come il marito era stato afferrato alla gola e la nuora trascinata dal letto per terra. Durante tale litigio, quasi sfociato in rissa, le urla avevano indotto qualche vicino a chiamare i CC. che erano quindi intervenuti.

La giovane moglie dell'imputato, Bo.Gi. ha riferito di essere stata quella mattina aggredita dal marito, così come anche altre volte in passato. Sempre però con riferimento a fatti di "coppia" e mai per richieste di danaro: essendo lei disoccupata, denaro proprio non ne aveva mai avuto. Innnanzi ai litigi del marito con i suoi familiari invece, anche per sottrarvi il figlioletto, si riparava nella propria camera. Dove appunto era stata aggredita la mattina del 28.6.09 dopo la caduta accidentale a terra del bambino e l'intervento violento del marito, che l'aveva trascinata a terra tirandola per i piedi dal letto. Ha precisato poi che in camera vi era la finestra del balcone aperta ma il marito non l'aveva trascinata su tale balcone. E la stessa minaccia di "buttarla di sotto" dallo stesso proferita nei suoi riguardi non l'aveva impensierita non avendola considerata seria.

Il teste Do. FM., dei CC, ha ricordato l'intervento c/o l'abitazione dell'imputato dove dei vicini avevano segnalato una violenta lite. Infatti lì giunti avevano trovato i genitori "impauriti", la moglie, chiusa in bagno in lacrime, mentre l'imputato, da solo, nella sua camera. Dopo essersi recati in Ospedale, i familiari si erano presentati in Caserma per la denuncia.

Le prove a carico sono integrate dalla documentazione medica relative alle ferite riportate dalle tre persone offese nell'aggressione subita, ferite dalle quali il padre è stato giudicato guaribile in giorni 6, la madre in giorni 6 e la moglie in giorni 8 (cfr. doc. in atti).

Dal proprio canto l'imputato, nell'interrogatorio di convalida reso dopo l'arresto, ha recisamente smentito i fatti addebitatigli, cercando di "ridimensionare" l'accaduto quale semplice lite con la moglie per motivi coniugali. Ha sì ammesso di essere stato tossicodipendente, ma solo fino a sei mesi prima, e di non aver mai minacciato o usato violenza ad alcuno per motivi economici.

Dalle anzidette emergenze istruttorie appare certa la sussistenza delle due fattispecie in contestazione sub A) e C): la più grave estorsione consumata dall'imputato, mediante violenze e minacce usate nei confronti dei suoi familiari, per costringere i genitori a consegnargli il danaro, a partire dal marzo 2009; le lesioni procurate ai suoi familiari il 28.6.2008 come da certificazione medica in atti.

Quanto al reato sub A) va infatti ricordato che secondo la S.C. "La minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modo e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui questa opera" (Cass. pen. Sez. II, 23.9.2004 n. 37526 e precedenti conformi).

Una siffatta indiretta forma di coartazione della volontà dei genitori, soggetti passivi, va riconosciuta nel caso di specie anche innanzi alle violenze e minacce adoperate dall'imputato nei confronti della moglie: certamente incapace di fare fronte alle sue richieste economiche,ma vittima, insieme agli altri componenti il nucleo familiare, delle sue violenze e minacce.

Del resto, là dove come nel caso di specie la condotta dell'agente appare indubbiamente protesa al fine di procurarsi, a danno dei suoi genitori, il danaro costituente l'ingiusto profitto richiesto dall'art.629 c.p. deve ravvisarsi certamente questo reato e non altri. In particolare, ad avviso del Tribunale, non vi è spazio per il reato di cui all'art. 572 c.p., posto a tutela del bene "famiglia" da salvaguardare in senso fisico e morale (vedi Cass pen. sez. I 24.9.96 n.8618). Nel caso di specie, pure innanzi all'accertata "abitualità" della condotta dell'imputato, esso non appare configurabile: oggetto materiale e dolo dell'agente coincidono nel danaro dei genitori. Tale danaro impone pertanto il riconoscimento del delitto di cui all'art. 629 c.p..

Infatti va ancora osservato che "sussistono gli estremi dell'idoneità della minaccia tutte le volte che, nell'apprezzamento dell'intera fattispecie e con riguardo alla volontà sopraffattrice dell'agente ed alle particolari condizioni della vittima (carattere non coraggioso e già intimidito da recenti fatti di violenza), quest'ultima, di fronte alle ingiuste richieste del primo, venga a trovarsi nella condizione di doverne subire la volontà per evitare il paventato verificarsi di un più grave pregiudizio" (Cass. pen. Sez. II 11.4.1984 n. 3232).

Per altro verso, a proposito del rapporto familiare intercorrente tra imputato e pp.oo., non può trovare applicazione l'ipotesi di non punibilità della condotta ai sensi dell'art. 649 co.1 c.p. essendo essa esclusa dal co. 3 dello stesso art.649 c.p. per i "delitti preveduti dagli artt. 628, 629 e 630".

Per il reato sub C) va esclusa la contestata aggravante teleologica, non. avendo trovato riconoscimento la contestazione dei fatti sub B) . Infatti non può ritenersi provato in modo certo che, la mattina del 28.6.2009, vi sia stata la consegna della somma di Euro 25,00 da parte di S.G. in favore dell'imputato.

Allo stesso modo di come non può ritenersi finalizzata in modo certo a cagionare la morte della moglie Bo.Gi. la condotta dell'imputato nel trascinarla dal letto verso il balcone della loro camera da letto.

Tanto premesso va pronunciata nei confronti di S.L. sentenza di condanna in relazione ad entrambi i reati ascrittigli, accomunati dal medesimo disegno criminoso sotto la più grave ipotesi sub A).

La negativa personalità dell' imputato, la cattiva condotta processuale tenuta e la stessa gravità delle condotte sub A) per la loro reiterazione nel tempo, ostano al riconoscimento delle attenuanti generiche.

Per altro verso non ricorrono i presupposti per il riconoscimento della contestata recidiva sulla base del certificato penale in atti.

Quanto alla determinazione della pena, valutati i criteri di riferimento di cui all'art. 133 c.p. fanno ritenere equa quella di anni 5 mesi 4 di reclusione ed E. 900, così determinata: p.b. per la più grave ipotesi sub A), anni 5 ed E. 800, aumentata per la continuazione con il capo B} alla pena finale. Va disposta la confisca e distruzione di quanto in sequestro.

Segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di quelle della custodia cautelare, nonché le pene accessorie come da dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI
letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara S.L. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A) e C) ed, esclusa quanto al capo C) l'aggravante di cui all'art. 61 n.2 c.p., esclusa la contestata recidiva, unificati i reati per la continuazione, lo condanna alla pena di anni cinque mesi quattro di reclusione ed E. novecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle della custodia cautelare.

Dichiara S.L. interdetto dai PP.UU. in perpetuo ed in stato di interdizione legale e di sospensione dalla potestà genitoriale per la durata della pena principale.

Letto l'art. 530 co. 2 c.p.p. assolve S.L. dai reati ascrittigli ai capi B) e D), perché il fatto non sussiste.

Confisca e distruzione di quanto in sequestro.

Provvede de libertate separato.

Motivi in sessanta giorni.

Napoli, 22.1.2010

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