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Falso ideologico e reato impossibile: criteri di rilevabilità e proporzione della pena (Corte appello Napoli - Terza sezione)

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Corte appello Napoli sez. III, 03/09/2024, (ud. 07/06/2024, dep. 03/09/2024), n.7063

In tema di falso ideologico, non ricorre l'ipotesi del reato impossibile per inidoneità dell'azione quando la falsità della dichiarazione non sia macroscopicamente rilevabile dal documento stesso ("ictu oculi"), ma emerga solo a seguito di verifiche esterne. La determinazione della pena, anche in presenza di attenuanti generiche, deve essere proporzionata alla gravità oggettiva del reato e all'intensità del dolo, con una riduzione calibrata sui parametri dell’art. 133 c.p.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza emessa in data 28/06/23 il GM del Tribunale di Napoli ha dichiarato Mo.Vi. responsabile dei reati a lui ascritti ai capi a) e b) della rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, unificate le condotte sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il secondo reato, lo ha condannato alla pena di mesi sei dì reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa; confisca di quanto in sequestro.

Ha assolto l'imputato dai reati di cui ai capi c) e d) perché il fatto non sussiste.

2. Avverso detta sentenza ha proposto appello il difensore ed ha chiesto:

la correzione della data di consumazione dei reati in ordine ai quali è intervenuta condanna, con modifica del capo di imputazione;

l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 483 c.p., rideterminazione del trattamento sanzionatorio, nuovo giudizio di bilanciamento e riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.

3. All'odierna udienza, dopo la relazione del consigliere delegato, il Procuratore Generale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata mentre il difensore dell'imputato si è riportato ai motivi di gravame e ne ha chiesto l'accoglimento.

4. All'esito della Camera di Consiglio, la Corte ritiene che l'appello non sia fondato e che la sentenza impugnata debba quindi essere confermata.

5. Con il primo motivo il difensore lamenta l'errata indicazione della data di commissione dei due reati per i quali è intervenuta condanna e sollecita la modifica dei relativi capi di imputazione.

Evidenzia che, in entrambi i casi, si fa riferimento alla data del sequestro, eseguito il 15/01/20, a fronte di condotte consumate, in realtà, in epoca antecedente. Con riferimento al reato sub capo a), rappresenta che dalla lettura della comunicazione di notizia di reato redatta dall'Agenzia delle Dogane di Napoli, confluita nel fascicolo del dibattimento, si evince che l'omesso versamento dell'IVA dovuta, in realtà, era già stato accertato il 03/12/19, data di ricezione delle risultanze dell'accesso ispettivo.

Quanto al secondo reato, il difensore rileva che esso si consumò in epoca antecedente all'08/02/18 o, comunque, prima della data di emissione del protocollo della dichiarazione di intento trasmessa all'Agenzia delle Entrate. Il motivo, così articolato, è inammissibile per difetto di interesse. L'editto accusatorio definisce il tempus commissi delieti con riferimento alla data del sequestro, individuato come momento di accertamento dei due reati per i quali è intervenuta condanna.

La consumazione di entrambi è anteriore al 15/01/20 e deve collocarsi all'8/02/18, data della dichiarazione doganale, ma l'invocata modificazione non presenta profili di interesse concreto per l'appellante in quanto, pur retrodatando la stessa, i reati non risulterebbero estinti per decorso del tempo.

6. Con il secondo motivo di gravame il difensore si duole che il primo giudice, pur avendo riconosciuto all'imputato le attenuanti generiche, abbia poi ridotto la pena base (mesi sei di reclusione) di appena un mese.

Assume che la condotta illecita contestata al Mo.Vi. sarebbe del tutto rudimentale ed improvvisata.

La condotta di falso "per quanto censurabile e punibile" sarebbe "davvero grossolana, quasi assimilabile a quella di un falso inutile, atteso che la mera autocertificazione esplicitata a mezzo della cosiddetta lettera d'intenti, per sua natura è inidonea o comunque insufficiente ad ottenere l'esenzione del pagamento dell'IVA", anche perché i funzionari doganali hanno l'obbligo di accertare la veridicità della dichiarazione resa dall'importatore/esportatore, controlli che, nel caso di specie, sarebbero stati svolti consentendo di verificare che l'imputato non era in regola con le dichiarazioni fiscali degli anni precedenti.

In definitiva, la condotta dell'imputato sarebbe inidonea a produrre il vantaggio economico sperato, rappresentato dal mancato pagamento dell'IVA. Aggiunge l'appellante che i beni oggetto dell'importazione e l'IVA "potenzialmente evasa sono di valore economico contenuto".

Rappresenta, infine, che l'imputato è gravato da vecchi precedenti ed attualmente è un onesto lavoratore. Il motivo è infondato.

In merito alla ricostruzione dei fatti la Corte ritiene in tutto condivisibile il percorso motivazionale della sentenza impugnata cui può quindi farsi correttamente rinvio. Il presente procedimento penale scaturisce da un controllo eseguito dal funzionario doganale De Robertis Vittorio avente ad oggetto la dichiarazione doganale presentata i'08/02/18 nell'interesse di Mo.Vi., legale rappresentante della società Gi. srl, relativa ad un set di valigie (250 colli, 750 pezzi). Alla dichiarazione doganale era stata allegata una dichiarazione di intento del Mo. di acquistare/importare beni per euro 9.541.000 senza applicazione dell'IVA, trasmessa telematicamente all'Agenzia delle Entrate in data 06/02/18, con la quale l'importatore dichiarava, a mezzo del doganalista in rappresentanza diretta, di non pagare l'IVA in dogana in quanto "esportatore abituale", avendo costruito un plafond negli anni precedenti che gli consentiva l'assunzione di tale qualifica ed il conseguente esonero dal pagamento dell'imposta.

In realtà, successive verifiche dell'Agenzia delle Dogane consentirono di accertare la falsità di tale dichiarazione in quanto la sede della società risultò inesistente e l'utenza telefonica indicata corrispondeva, in realtà, ad un'utenza privata. Mo.Vi., sebbene formalmente convocato, non si presentò presso l'Agenzia delle Dogane di Napoli 2 ed anche il doganalista in rappresentanza diretta As.Al., che aveva materialmente presentato la dichiarazione doganale, rappresentò di non essere riuscito a contattare l'imputato.

Dalla consultazione delle banche dati in uso all'Agenzia delle Dogane non emerse alcun rapporto commerciale della società con l'estero nell'anno precedente donde la falsità ideologica della dichiarazione di intento del prevenuto nella parte in cui costui si qualificava quale esportatore abituale.

Peraltro, il 19/01/18 la Gi. srl aveva comunicato all'Agenzia delle Entrate la cessazione dell'attività mentre l'importazione era stata effettuata dopo tale data. Fu eseguita, quindi, una verifica induttiva e si accertò che l'IVA dovuta e non versata corrispondeva ad euro 2.079,02.

Sulla base di queste evidenze probatorie il primo giudice, con motivazione ad esse aderente e logicamente coerente, ha ritenuto provata la responsabilità di Mo.Vi. per i reati a lui ascritti ai capi a) e b) della rubrica avendo l'imputato, nella qualità di rappresentante legale della Gi. srl, omesso il versamento dell'IVA dovuta per l'importazione di merci extracomunitarie utilizzando fraudolentemente lo status di importatore abituale, presentando una dichiarazione di intento ideologicamente falsa.

Gli operatori economici che effettuano operazioni con l'estero possono acquistare beni e servizi senza dover corrispondere l'IVA ai propri fornitori nell'ambito di un plafond che si sono costituiti.

Gli esportatori abituali che intendono acquistare o importare senza applicazione dell'IVA devono rendere una dichiarazione d'intento.

Si acquisisce lo status di esportatore abituale quando la percentuale derivante dal rapporto tra l'ammontare dei corrispettivi delle cessioni all'esportazione, delle operazioni assimilate, dei servizi internazionali e delle operazioni intra-comunitarie, registrate nell'anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti e il relativo volume d'affari, determinato a norma dell'art. 20 del D.P.R. n. 633/1972, sia superiore al 10 per cento.

Conseguentemente, tali operatori possono acquistare od importare, nell'anno o nei dodici mesi successivi, beni e servizi senza pagamento dell'IVA nei limiti delle operazioni attive registrate nel periodo di riferimento, così alleggerendo la loro posizione di strutturale credito d'imposta.

Ciò posto, è accertato che Mo.Vi. rese una dichiarazione ideologicamente falsa qualificandosi quale esportatore abituale ed è evidente che il falso non possa qualificarsi né grossolano, né inutile.

Giova premettere che la giurisprudenza di legittimità, facendo applicazione dell'articolo 49 c.p., distingue, in tema di falso, l'inidoneità della azione, che ricorre nel cosiddetto falso "grossolano", nel falso, cioè, che per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno, dall'inesistenza dell'oggetto, che ricorre nel cosiddetto falso "inutile", nel falso, cioè, che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Rv. 185132).

Ebbene, nel caso concreto in verifica, la falsità della dichiarazione di intenti resa dall'imputato, nella parte in cui costui si qualificava come esportatore abituale, non era rilevabile ictu oculi laddove in tema di falso ideologico, non ricorre l'ipotesi del reato impossibile per inidoneità dell'azione ove la contestata falsità non emerga dal documento stesso, ma "ab extra", per effetto di attività di accertamento o di verifica, in quanto il reato impossibile presuppone l'originaria, assoluta inefficienza causale dell'azione, da valutare oggettivamente tn concreto e con giudizio "ex ante", in relazione alle intrinseche caratteristiche dell'azione.

La falsa dichiarazione aveva poi significativa valenza probatoria in quanto sulla base di essa lo spedizioniere avrebbe dovuto provvedere alla redazione della dichiarazione doganale.

Tanto chiarito e passando al profilo di doglianza relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ritiene la Corte che la pena base per il reato sub capo a) sia congrua ed adeguata, nel rispetto dei parametri definiti dall'art. 133 c.p., apprezzata la gravità oggettiva de! reato, desunta dalle modalità di consumazione, l'intensità del dolo ed i precedenti del prevenuto.

La riduzione applicata dal primo giudice per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche, nella misura di 1/6 rispetto alla pena base, dunque inferiore alla misura massima consentita, è corretta e ben calibrata.

Il primo giudice ha riconosciuto le attenuanti atipiche in considerazione del "ridimensionamento della sua posizione", ma non emergono dalla lettura degli atti contenuti nel fascicolo dibattimentale, né sono stati rappresentati dal difensore, elementi concreti favorevoli all'imputato, meritevoli di un positivo appezzamento, tali da giustificare una più incisiva diminuzione della pena irrogata. Contenuto e proporzionato è anche l'aumento per la continuazione, considerata la gravità del reato satellite.

7. Sulla base di queste considerazioni la sentenza impugnata deve essere confermata e l'imputato deve essere condannato al pagamento delle spese processuali relative al secondo grado di giudizio.

8, Il gravoso carico del ruolo giustifica la fissazione di un termine di giorni 90 per la redazione della motivazione della presente sentenza.

P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa il 28/06/23 dal GM dei Tribunale dì Napoli appellata da MO.VI. che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Letto l'art. 544, comma 3, c.p.p., fissa in giorni 90 ii termine per il deposito delia

motivazione.

Così deciso in Napoli il 7 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2024.

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