top of page

Invasione di terreni e permanenza del reato: profili urbanistici e penalistici (Corte appello Napoli - Sesta sezione)

invasione-terreni-permanenza-reato-condotta-sine-titulo

Corte appello Napoli sez. VI, 15/04/2024, (ud. 10/04/2024, dep. 15/04/2024), n.4121

Il delitto di invasione di terreni o edifici di cui agli artt. 633 e 639-bis c.p. ha natura permanente, poiché l'offesa al patrimonio demaniale o condominiale perdura fino alla cessazione dell'invasione arbitraria. La permanenza della condotta preclude l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., in ragione della costante compromissione del bene giuridico tutelato. La prosecuzione dell’occupazione, anche in assenza di una prova diretta sull’autore della realizzazione, è sufficiente a configurare il reato, essendo rilevante l’uso esclusivo sine titulo dello spazio occupato.

Occupazione abusiva di alloggio pubblico: configurazione del reato e attenuanti (Giudice Cristiana Sirabella)

Occupazione abusiva e opere edilizie senza permesso: profili penali e continuazione (Giudice Cristiana Sirabella)

Occupazione abusiva di alloggi pubblici: i limiti dello stato di necessità (Giudice Federico Somma)

Invasione di edifici: configurazione del reato, natura permanente e subordinazione della sospensione condizionale al rilascio (Giudice Raffaele Muzzica)

Invasione di terreni: il consenso del locatario esclude la responsabilità penale (Giudice Cristiana Sirabella)

Occupazione arbitraria di immobile pubblico: reato e attenuanti generiche in contesti di disagio sociale (Giudice Cristiana Sirabella)

Invasione di terreni e permanenza del reato: profili urbanistici e penalistici (Corte appello Napoli - Sesta sezione)

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
L'imputata, condannato in primo grado con la sentenza innanzi indicata, ha proposto appello per il tramite del difensore.

All'udienza odierna le parti hanno illustrato le proprie conclusioni ed il collegio, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, ha pronunciato la presente sentenza, mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.

Motivi della decisione
Alla condanna dell'imputata il giudice di primo grado è giunto sulla base delle prove raccolte nel corso dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, del teste Gi.Cr.

Emergeva che lo Gi., in servizio presso la Polizia Locale di Pozzuoli, in data 4.1.2019, si portava in un complesso di palazzine di edilizia popolare, alla Via (…) e constatava che l'area condominiale prospiciente l'appartamento di Lu.Lo., di circa sei metri quadrati, di proprietà dell'A.C.E.R., ex IACP era stata chiusa da un cancello in ferro.

La Lu. apriva il cancello con le chiavi in suo possesso.

Lo spazio delimitato dal cancello era corrispondente al ballatoio dell'abitazione dell'imputata.

Si trattava di un'opera non amovibile, cementata sui due lati dell'ingresso dell'appartamento.

La Lu. aveva poi ricevuto un'intimazione a ripristinare lo stato dei luoghi, ma in sede di ulteriore accesso si era constatata la sua inottemperanza. Sulla scorta di tali emergenze il giudice di primo grado riteneva sussistente a carico dell'imputata il reato contestato.

L'imputato ha proposto appello per il tramite del suo difensore.

Con il primo motivo di appello il difensore chiede l'assoluzione dell'imputata. Osserva, in particolare, che il cancello realizzato è un'opera amovibile e di irrilevante impatto urbanistico e che la sua apposizione risponde a esigenze di sicurezza e a bisogni primari del nucleo familiare della Lu.

Con il secondo motivo chiede la riduzione della pena inflitta dal primo giudice e la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il difensore ha depositato motivi nuovi.

Con l'unico motivo chiede l'assoluzione dell'imputata per non aver commesso il fatto sulla scorta dei seguenti argomenti:

- Manca la prova che sia stata la Lu. a far apporre il cancello, così occupando l'area condominiale.

- L'immobile di Via (…) è stato abitato nel tempo da diversi soggetti, il che impedisce di ritenere l'imputata responsabile dell'occupazione abusiva, anche perché non sono stati effettuati accertamenti sull'epoca di realizzazione del cancello.

- Lu.Lo. non ha neppure occupato l'appartamento dove abita, avendo abitato e continuato ad abitare con il marito nell'alloggio di cui era originariamente assegnataria la suocera.

Chiede la rinnovazione istruttoria consistente nell'acquisizione del certificato integrale dello stato di famiglia di coloro che abitano e hanno abitato nell'immobile de quo.

L'appello è infondato.

- L'occupazione dell'appartamento non forma oggetto di contestazione.

- E' pacifica l'occupazione dell'area mediante l'apposizione del cancello che ne preclude il libero accesso.

- Il cancello, diversamente da quanto dedotto nei motivi d'appello, è stabilmente infisso nel muro.

- Non vengono allegati elementi che possano far ritenere ineludibile e necessitata la condotta illecita. Le ragioni di sicurezza e tutela del nucleo familiare sono solo genericamente enunciate.

- La condotta, per come accertata, è certamente riferibile all'imputata, che del cancello possedeva le chiavi e, dunque, era nelle condizioni di interdire l'ingresso a persone non gradite, utilizzando lo spazio come cosa propria.

- Non è necessaria la prova della circostanza - peraltro ammessa in sede di sopralluogo, ma con dichiarazioni non utilizzabili perché non sottoscritte -che fosse stata proprio lei a far apporre il cancello, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del delitto contestato, la prosecuzione, sine titulo, dell'occupazione illecita, giacché l'invasione punita dalla norma "va intesa nel senso di introduzione arbitraria non momentanea nell'edificio altrui allo scopo di occuparlo o, comunque, di trarne profitto, restando indifferenti i mezzi ed i modi con i quali essa avviene, non essendo necessaria la ricorrenza del requisito della clandestinità a integrare il reato di cui all'art. 633 c.p." (Così Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n. 27041 del 24.3.2023).

Va rilevato che le circostanze attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati e non preventivabili, che appaiono però in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena. La ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62 bis c.p. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, al fine di assicurare il rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e di finalità rieducativa della pena. Dette attenuanti, quindi, presuppongono l'esistenza di elementi "positivi", intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall'applicazione dell'art. 133 c.p.

In concreto, questa valutazione può essere fatta tenendo conto sia degli elementi indicati nell'art. 133 c.p. che di altri parametri di giudizio (Cass. pen., Sez. I, 1/10/1986-Esposito; Cass. pen. 4 marzo 2019, n. 9299, rv. 275640), ma non è comunque necessaria nemmeno una valutazione di tutti i possibili elementi, purché vengano individuati con ragionevolezza i parametri che si ritengono più rilevanti (Sez. I ó/10/1995-Biondo). E' comunque da escludere che l'applicazione delle

circostanze attenuanti generiche costituisca un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto (v. assenza di precedenti penali); essa richiede sempre elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parole (Sez. I C.c. 22/9/1993-Stelitano, ma cfr. anche sez. I 19/10/1992 Ge. che ha riaffermato l'insussistenza nel nostro ordinamento di una presunzione di meritevolezza delle attenuanti generiche; v. anche Cass. pen. 30 agosto 2017, n. 39566, rv. 270986; 21 giugno 2021, n. 24128, rv. 281590).

Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza (cfr. Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini già Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Ge., Rv. 192381; Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace, Rv. 245241 e più di recente Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). L'elaborazione giurisprudenziale è del resto normativamente codificata dall'art. 62 bis u.c. c.p. che esclude la possibilità di porre a fondamento della concessione delle attenuanti generiche la sola incensuratezza dell'imputato.

Nel caso in esame non emergono elementi positivi da valorizzare per mitigare il trattamento sanzionatorio, anzi, risulta dalle dichiarazioni del verbalizzante e dalla documentazione in atti che l'imputata, nonostante fosse stata destinataria dell'intimazione a ripristinare lo stato dei luoghi, regolarmente notificatole, non ha ottemperato, così mostrando totale indifferenza alle regole e proterva volontà di proseguire nella condotta illecita.

La pena inflitta dal giudice di primo grado appare più che congrua all'entità del fatto, essendosi il giudice attestato su una pena prossima al minimo edittale. Non ricorrono le condizioni per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, a fronte di un immanente comportamento antigiuridico, cui la Lu. non ha inteso porre rimedio, facendolo cessare, così impedendo la formulazione di un giudizio prognostico favorevole.

Sulla natura permanente del delitto de quo e sulle ricadute negative in termini di valutazione della personalità del suo autore, si vedano Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n. 29657 del 27.3.2019 e Sentenza n. 16363 del 13.2.2019: "Il delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli artt. 633 e 639-bis cod. pen. ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne profitto, sicché è preclusa, sino a quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa". La sentenza impugnata va pertanto integralmente confermata, con condanna dell'appellante alle spese.

P.Q.M.
letto l'art. 605 c.p.p., conferma la sentenza n. 9764/22 emessa dal Tribunale di Napoli in composizione monocratica in data 20.10.2022, nei confronti di Lu.Lo., appellata dall'imputata, che condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.

Indica in giorni trenta il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Napoli il 10 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.

bottom of page