Tribunale Nola, 21/01/2022, n.105
La condotta di omessa denuncia di dati obbligatori a fini previdenziali da parte del datore di lavoro integra il reato previsto dall’art. 37 della legge 689/1981 se l’omissione supera le soglie di rilevanza penale previste dalla norma. La configurabilità dell’elemento soggettivo richiede il dolo specifico di elusione degli obblighi contributivi, che può essere escluso solo attraverso la prova di una crisi economica non fronteggiabile con misure alternative. La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’integrale adempimento degli obblighi contributivi, anche in assenza di costituzione di parte civile dell’ente creditore.
Svolgimento del processo
Il PM in sede citava a giudizio Pi.Al., con decreto emesso il 10/6/2020, affinché lo stesso rispondesse all'udienza del 12/11/2020 del reato in rubrica contestato.
In quell'udienza il Giudice, rilevato che l'imputato aveva ricevuto a mani proprie l'avviso ex art, 415 bis c.p., contenente l'invito ad eleggere domicilio in mancanza del quale questo si sarebbe radicato nel luogo in cui riceveva l'atto, ordinava la rinnovazione della notifica del decreto di citazione per l'udienza del 6/5/2021 e, successivamente, per l'udienza del 21/10/2021 nella quale, accertata la regolarità della notifica e sussistendone i presupposti di legge, il Giudice dichiarava procedersi in assenza dell'imputato.
Nella medesima udienza, in assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammettendo le prove così come richieste dalle parti in quanto legittime, non manifestamente superflue o irrilevanti. Si procedeva all'esame del teste Ri.Ma., funzionario dell'INPS. Con il consenso delle parti si acquisiva il verbale di accertamento e notificazione redatto dalla teste con i documenti ivi allegati. Il PM rinunciava all'esame dei testi residui e, nulla opponendo la difesa, il Giudice ne revocava l'ordinanza ammissiva. Il processo veniva rinviato alla presente udienza per l'esame dell'imputato e la discussione del procedimento.
In questa sede, non residuando ulteriori attività istruttorie da compiere, questo Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe.
Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza con riserva di un termine di legge per la redazione dei motivi.
Diritto
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che, alla luce dell'istruttoria dibattimentale, sia emersa la piena prova della penale responsabilità dell'imputato Pi.Al., che deve pertanto essere condannato in ordine al reato ascritto.
Giova sul punto evidenziare che gli elementi posti a fondamento del giudizio sono costituiti dalle dichiarazioni rese dal teste escusso Ri.Ma., ispettore di vigilanza dell'INPS, nonché dalle prove documentali versate nei fascicolo del dibattimento e, segnatamente, il verbale unico di accertamento e notificazione n. 2016024300 del 12/6/2017, con i documenti allegati, tra cui il Libro Unico del Lavoro della ditta dell'imputato "Ag.", le copie delle raccomandate attestanti la notifica del verbale e la diffida di pagamento nei confronti della ditta. Sulla base di tali fonti di prova la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.
Dall'escussione della teste Ri.Ma., ispettore di vigilanza in servizio presso l'INPS - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, sia per il carattere preciso e chiaro del narrato, confortato dai dati documentali, che per la veste di pubblico ufficiale del dichiarante, che lascia indurre disinteresse alla vicenda per cui vi è processo - nonché dalla restante istruttoria documentale è emerso che nel settembre del 2016, in occasione di un accesso ispettivo effettuato congiuntamente con l'Ispettorato del Lavoro di Napoli presso un supermercato a Casalnuovo, via (…), personale dell'I.N.P.S. appurava la presenza di una guardia giurata, munita di una divisa con la scritta "Ag.", Dopo aver identificato la donna - sprovvista di regolare assunzione di lavoro - gli ispettori ottenevano tramite il consulente del lavoro della ditta, intestata a Pi.Al., odierno imputato, la documentazione inerente, ovvero il Libro Unico del Lavoro, indicante il numero dei lavoratori della ditta con le relative paghe. Tramite controlli in ufficio, inoltre, gli ispettori appuravano che vi erano delle scoperture contributive a carico della "Ag.", ovvero, più nello specifico, che non erano state inviate le denunce individuali mensili dei lavoratori per alcuni mesi, tra i quali agosto 2015, dicembre 2015 e poi dal luglio 2016 fino al febbraio 2017. A domanda del difensore dell'imputato, la teste precisava che per quei periodi erano scoperte le posizioni contributive di tutti i lavoratori.
Più nello specifico, l'ispettore riferiva che per la mensilità di agosto 2015 era dovuta una somma contributiva pari a 7.854,57 Euro, da versare entro il mese successivo. Per la mensilità di dicembre 2015 erano dovuti contributi per una somma pari a 6.645,35, da versare entro il 16 gennaio 2016.
Per la mensilità del luglio 2016 la somma dovuta ammontava a 3045,18 Euro, da versare entro il 16 agosto 2016.
A domanda del PM, l'ispettore precisava che dopo la notifica della lettera di messa in mora e della diffida di pagamento inoltrata dall'ente creditore al Pi.Al., non risultava alcun pagamento da parte sua né eventuali rateizzi. Il teste precisava, a domanda del difensore, di non poter appurare se fosse stata fatta una richiesta di dilazione o di rateizzazione o se fosse stato presentato ricorso avverso l'accertamento. In ogni caso, la teste riferiva che non erano state riscontrate altre irregolarità nel corso dell'accertamento.
A fronte di tale ricostruzione accusatoria, l'imputato non ha reso dichiarazioni utilizzabili in questa sede né dagli atti emerge una diversa ricostruzione degli eventi.
Così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, sussistono gli elementi oggettivi della fattispecie in contestazione.
Il chiaro disposto di cui all'art. 37, primo comma, della legge 689 del 1981, come modificato dall'art. 116 della legge n. 388 del 2000 conferisce rilevanza penale alle condotte omissive e commissive considerate "quando dal fatto deriva l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra Euro 2.582,28 mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti". In primo luogo, l'istruttoria documentale - ed in primis l'acquisito Libro Unico del Lavoro - ha dimostrato il presupposto della condotta omissiva del Pi.Al., ovvero la costituzione di rapporti di lavoro in capo alla ditta a lui intestata. "Il presupposto del reato di omessa denuncia di dati obbligatori a fini previdenziali da parte del datore di lavoro, previsto dall'art. 37 della legge n. 689 del 1981, è rappresentato dalla costituzione del rapporto di lavoro da cui deriva l'obbligo contributivo e non dall'effettiva corresponsione della retribuzione" (Sez. 3, Sentenza n. 43609 del 15/09/2015 Ud. (dep. 29/10/2015) Rv. 265289-01).
Parimenti provata è la condotta omissiva dell'imputato che, in qualità di legale rappresentante della ditta "Ag.", ometteva di inviare le denunce individuali Un. relative ai suoi lavoratori.
Con riferimento alle soglie di rilevanza penale previste dalla norma in contestazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità i parametri previsti dal legislatore devono essere letti in un'ottica integrata e coordinata (Cass. Sez. 3, Sentenza del 2/7/2019 n. 44508).
Se i contributi mensilmente dovuti dall'azienda non superano l'importo di Euro 5.164,56 (il doppio della somma indicata dalla norma) - vale a dire nel caso di imprese con pochi dipendenti - l'omissione contributiva sarà penalmente rilevante solo se l'importo superi la soglia ritenuta minima pari ad Euro 2.582,28, quand'anche - come nel caso di specie, in cui risultano omesse le dichiarazioni ed evasi i corrispondenti contributi di tutti i lavoratori - la condotta riguardi una significativa percentuale del dovuto e sia superiore al cinquanta per cento di questo. Ciò risponde all'evidente intento di non considerare penalmente rilevanti le situazioni di irregolarità (o falsità) concernenti uno o pochissimi dipendenti nell'ambito di imprese che occupino un esiguo numero di lavoratori. Se così non fosse, in tali ridotte realtà d'impresa, il superamento della soglia del cinquanta per cento rispetto ai contributi dovuti potrebbe essere raggiunto anche nel caso di omissioni di modestissimo importo.
Nel caso in cui, invece, l'impresa raggiunga un minimo di consistenza di personale, di tal che l'importo mensile dei contributi dovuti sia superiore al doppio dell'indicata soglia minima, le omissioni sono penalmente rilevanti soltanto se superano almeno della metà i contributi mensilmente dovuti: più quest'ultimo importo è elevato e maggiore dev'essere il quantum dell'omissione per integrare gli estremi di reato.
Nel caso di specie, i contributi a carico del Pi.Al. relativi alla mensilità del luglio 2016, pur essendo inferiori a 5.164,56 Euro, erano comunque superiori alla soglia minima prevista dalla legge.
Per quanto concerne, invece, le mensilità di agosto e dicembre 2015, le relative omissioni attengono a contributi inevasi che, oltre a superare la soglia prevista dalla legge, equivalevano alla totalità di quelli dovuti (in ciò integrandosi, dunque, il secondo parametro di rilevanza penale della condotta, ovvero quello del superamento del cinquanta per cento dei contributi dovuti). Con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che "Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che punisce il datore di lavoro che omette registrazioni o denunce obbligatorie o esegue denunzie false in tema di contribuzioni previdenziali, è necessario che tali condotte siano poste in essere con il dolo specifico di non versare in tutto o in parte i contributi previdenziali o assistenziali" (Sez. 3, Sentenza n. 48526 del 18/11/2004 Ud. (dep. 17/12/2004) Rv. 230487-01).
Né rileva, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore, l'assenza di prova circa l'avvenuta presentazione del ricorso o di rateizzazioni da parte dell'imputato. In primo luogo, la teste escludeva di poter effettuare tale accertamento e, in ogni caso, trattandosi di elementi favorevoli all'imputato non attinenti alla struttura della fattispecie, ben avrebbe potuto e dovuto la difesa onerarsi quanto meno di allegarli, se non addirittura di provarli in giudizio.
Nel caso di specie la qualità di titolare della ditta da parte del Pi.Al., in uno con le modalità della condotta - erano integralmente omesse tutte le denunce relative a tutti lavoratori nei periodi in contestazione - e con il comportamento successivo al fatto tenuto dall'imputato, che non ha posto in essere alcuna proposta di dilazione, rateizzazione o adempimento parziale in favore dell'ente creditore, rendono palese ed evidente non solo la consapevolezza dell'inadempimento ma altresì la finalità evasiva.
Né l'istruttoria dibattimentale ha fornito elementi sufficienti per ritenere inesigibile il comportamento doveroso dell'imputato.
Per quanto questo Giudice non ignori l'orientamento, rigoroso, della Suprema Corte secondo cui "La carenza di mezzi finanziari, da cui sarebbe derivata l'impossibilità materiale di versare i contributi assistenziali e previdenziali effettivamente dovuti, non influisce in alcun modo sulla struttura oggettiva del reato di cui all'art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che punisce il datore di lavoro che ometta registrazioni o denunzie obbligatorie. Ciò in quanto il lavoratore subordinato ha un diritto alla posizione previdenziale che è sostanzialmente collegato alla durata del proprio rapporto di lavoro e che non è derogabile per ragioni contingenti" (Sez. 3, Sentenza n. 4012 del 19/02/1999 Ud. (dep. 26/03/1999) Rv. 213273 - 01), lo scrivente concorda convintamente con l'orientamento esposto dalle Sezioni unite Cass. pen., sez. I, 6 aprile 2011, n. 16513, che, seppur in relazione a diversa fattispecie di reato, hanno affermato che "l'inesigibilità è categoria generale del diritto penale, che direttamente discende dai precetti dell'art. 27 Cost., Non può difatti predicarsi colpevolezza senza rimproverabilità, e la impossibilità ad adempiere al precetto, che dipenda da errore incolpevole o da fatto impeditivo o da assenza di mezzi, renderebbe la punizione dell'inosservanza in concreto non compatibile con il principio di personalità della responsabilità penale e con la funzione rieducativa della pena. L'impossibilità va quindi parametrata all'obbligo imposto e alla situazione concreta rispetto alla quale occorre valutare la rimproverabilità dell'omissione…". Tuttavia nel caso di specie l'istruttoria dibattimentale non ha fornito prova della assoluta impossibilità del Pi.Al. di adempiere, non essendo stato addotto o provato alcunché sul punto.
Pur non essendo, dunque, escluso che, in astratto, siano possibili casi nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria (così Cass. sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Me.), è tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi e mutuando le acquisizioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in ordine a fattispecie affini, che siano assolti gli oneri di allegazione che dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggi abile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario). In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
Nel caso di specie nessuna allegazione, prova o principio di prova sono stati forniti sul punto.
Così accertata la responsabilità penale dell'imputato, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'art. 131 bis c.p. in suo favore, in ragione del quantitativo non esiguo dei contributi evasi, che impedisce di considerare l'offesa al bene giuridico di particolare tenuità. Inoltre la ricorrenza di tre condotte della medesima indole rende impossibile una valutazione in termini di occasionalità del suo comportamento.
Non vi sono elementi di particolare meritevolezza in favore dell'imputato, al di là del mero stato di incensuratezza, non avendo il PI. partecipato attivamente al processo, né avendo mostrato alcuna resipiscenza o parziale adempimento. Non vi sono dunque elementi per riconoscere in suo favore le circostanze attenuanti generiche.
Considerati tutti i criteri indicati dall'art. 133 c.p., in particolar modo le modalità della condotta, la gravità del danno maturato dall'ente creditore, l'entità dei contributi evasi, la reiterazione della condotta, e tenuto conto della capacità criminale del Pi.Al., incensurato ma per nulla resipiscente, stimasi pena congrua quella di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Trattandosi di condanna a pena detentiva che, cumulata alla precedente sospesa, non supera i limiti della biennalità, sussistono i requisiti per il riconoscimento della seconda sospensione condizionale, da subordinarsi, ai sensi dell'art. 165 c.p., all'integrale eliminazione delle conseguenze dannose della condotta da parte del Pi.Al., mediante l'integrale restituzione dei contributi evasi, pari all'ammontare di Euro 17.548, da effettuarsi nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza ("La concessione della sospensione condizionale della pena può legittimamente essere subordinata alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante l'adempimento dell'obbligo di restituzione, anche qualora manchi una richiesta in tal senso per la mancata costituzione di parte civile della persona offesa. (Fattispecie di omesso versamento di contributi previdenziali, nella quale la Corte ha ritenuto legittima la subordinazione del beneficio al pagamento in favore dell'I.N.P.S. delle quote non versate, pur in assenza di costituzione come parte civile dell'ente previdenziale)" (Sez. 3, Sentenza n. 1324 del 24/06/2014 Ud. (dep. 14/01/2015) Rv. 261778 - 01)
P.Q.M.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara Pi.Al. colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 163 ss. c.p., concede la sospensione condizionale della pena in favore dell'imputato, subordinata all'integrale restituzione in favore dell'I.N.P.S. dei contributi evasi, pari a Euro 17.548, da effettuarsi entro tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Così deciso in Nola il 20 gennaio 2022.
Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2022.