Corte appello Bari sez. II, 15/02/2024, n.402
In tema di reati tributari, l’amministratore di diritto risponde del reato di omessa dichiarazione ex art. 5 D.lgs. 74/2000, anche se agisce come mero prestanome, salvo prova contraria idonea a dimostrare l’assenza di consapevolezza e controllo. Il dolo specifico è desunto dalla titolarità formale dell’attività e dalla mancata adozione di misure volte a impedire l’illecito. La responsabilità si estende a chi facilita l’evasione tramite condotte omissive o occultamento di documentazione contabile.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con la sentenza emessa in data 17.10.2020 dal GIP del Tribunale di Bari, l'imputato Vi.Ma. è stato dichiarato colpevole dei reati ascrittigli, unificati dal vincolo della continuazione, e, applicata la diminuente per il rito, è stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale ha applicato le seguenti pene accessorie di cui agli artt. 12 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e 36 c.p.: l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per un periodo di anni uno; l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo di anni uno; l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria; la pubblicazione della sentenza mediante affissione nei Comuni di Bari e Gravina in Puglia, nonché sul sito online del Ministero della Giustizia per la durata di giorni quindici.
Avverso la detta decisione ha proposto appello l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, chiedendo l'assoluzione dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p.; in subordine, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l'applicazione del minimo della pena; la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
A parere della difesa mancherebbero, nella specie, elementi fattuali atti a dimostrare che il Vi.Ma. fosse effettivamente a conoscenza dell'attività gestoria posta in essere nell'ambito dell'omonima ditta.
Infatti, la gestione della ditta e le condotte delittuose poste in essere in sede di svolgimento della predetta attività sarebbero ascrivibili in capo ad un altro soggetto, identificato in Pa.Gi.. Quest'ultimo, nella sua qualità di amministratore di fatto, avrebbe concretamente posto in essere gli atti di conduzione dell'attività e le azioni delittuose specificate nel capo di imputazione in una condizione di totale autonomia rispetto al Vi.Ma. il quale, pur se identificato quale amministratore di diritto della società, era totalmente estraneo ed ignaro di tutto, risultando a suo dire un mero prestanome.
Sempre in considerazione della figura dominante del Pa.Gi. (additato quale amministratore di fatto), difetterebbe la consapevolezza del Vi.Ma. in ordine alla condotta omissiva consistita nella mancata presentazione della dichiarazione di imposta.
L'appello è infondato e la sentenza gravata va pienamente confermata.
Dall'istruttoria di primo grado è emerso che, a seguito di un interrogazione effettuata sui sistemi informatici a disposizione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la ditta individuale "Vi.Ma." (P.IVA: 077228530721), intestata all'odierno imputato, aveva ricevuto nell'anno 2016 autovetture da numerosi fornitori comunitari senza adempiere correttamente alle prescrizioni fiscali previsti dalla normativa in materia di IVA.
Stante l'assenza dei succitati versamenti IVA, il Direttore dell'Ufficio delle Dogane di Bari aveva predisposto un controllo atto a verificare la regolare applicazione della disciplina IVA intracomunitaria per l'anno 2016, nonché ad acquisire informazioni, richieste dalla Direzione Centrale Antifrode e Controlli, afferenti ai rapporti intrattenuti nel medesimo anno con operatori tedeschi recanti specifici codici IVA (precisamente indicati nel verbale di constatazione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del 28.5.2018).
In data 31.1.2017, i funzionari incaricati tentavano un primo accesso presso la sede della ditta in Gravina in Puglia alla via (…), come risultante dall'anagrafe tributaria. Riscontravano che in quel luogo c'era solo la privata dimora dell'imputato.
Ivi giunti, apprendevano dalla moglie che il prevenuto non era in casa e provvedevano, dunque, a contattarlo telefonicamente.
Costui segnalava che l'attività d'impresa era cessata ed invitava a rivolgersi a Pa.Gi. al fine di poter reperire ulteriori informazioni.
Contattato dai funzionari dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, il Pa.Gi. riferiva che la contabilità aziendale era tenuta dal dott. Gi.Vi., commercialista con studio in Gravina di Puglia alla via (…).
Il dott. Vi. comunicava che la ditta individuale "Vi.Ma." non era sua cliente nella tenuta della contabilità, avendo rivestito sino al 28.12.2016 il solo ruolo di consulente del lavoro. Soggiungeva che nella medesima data (28.12.2016) aveva restituito al titolare Vi.Ma. tutti i documenti in suo possesso, rescindendo, così, il rapporto professionale.
L'attività di verifica riprendeva presso la menzionata sede dell'impresa in data 15.2.2017 ed in tale occasione il Vi.Ma. non esibiva la documentazione richiesta dagli operanti, nuovamente limitandosi a comunicare che l'impresa era di fatto gestita dal Pa.Gi..
Nell'occasione egli dichiarava quanto segue: "Io non so nulla dell'acquisito di queste autovetture. Chi si occupava dell'acquisto e della successiva vendita delle auto era il sig. Pa.Gi. Per quanto riguarda la mia firma sui documenti e dovuta al fatto che il sig. Pa.Gi. mi diceva di firmare ma onestamente non sapevo dì cosa si trattasse. Per quanto riguarda i pagamenti si utilizzava il mio conto ma non credevo si trattasse di auto e soprattutto non credevo che il lutto non venisse dichiarato".
Nel verbale di constatazione, redatto in data 28.5.2018 mediante il reperimento dei dati presenti negli archivi informatici, i funzionari davano atto che la ditta "Vi.Ma." aveva effettuato acquisti intracomunitari di automobili per un totale di Euro 159.031,00 nel corso dell'anno 2016.
Inoltre, essi evidenziavano che la documentazione contabile e commerciale pervenuta dagli Stati Membri in attuazione del Reg. UE n. 904/2010 in materia di assistenza amministrativa permetteva di riscontrare che "le transazioni comunitarie sono state realizzate senza che il sig. Vi.Ma. abbia correttamente osservato gli obblighi fiscali e tributari (Presentazione Dichiarazione Iva -Presentazione modelli Intrastat - versamenti Iva) riportavano altresì la "sostanziale rispondenza tra gli importi riportati nel VIES (Val International Exchange System) dell'anagrafe tributaria e gli stessi risultanti dalle fatture di vendita emesse dai vari fornitori comunitari nei confronti della Ditta Vi.Ma." (v. pag. 5 del verbale di constatazione del 28.5.2018). L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dava corso, quindi, ai seguenti rilievi: -violazione dell'obbligo di tenuta e conservazione delle scritture contabili, documenti e registri e dell'obbligo di esibizione degli stessi (art. 39 e 52 del DPR 633/72), poiché non erano state rinvenute le scritture contabili, i documenti e i registri contabili obbligatori nel luogo ove la società aveva dichiarato di avere il domicilio fiscale;
-violazione dell'obbligo di registrazione di operazioni imponibili (artt. 21 e 23 del DPR 633/72 e artt. 46 e 47 L 427/93) - acquisti intracomunitari, poiché non erano stati rinvenuti i registri Iva nel luogo ove la ditta aveva dichiarato di avere la sede legale, presumendosi, così, che le fatture di acquisto emesse dai fornitori comunitari nei confronti dell'odierno imputato non fossero state annotate nel registro Iva vendite e acquisti;
-violazione dell'obbligo di documentazione di operazioni imponibili (artt. 21 c 23 del D.P.R. 633/72), poiché non era stato possibile rinvenire la merce acquistata nei luoghi in cui l'impresa aveva dichiarato di avere il domicilio fiscale, presumendosi, così, che la stessa fosse stata successivamente venduta sul territorio nazionale;
-violazione dell'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale materia di imposta sul valore aggiunto con dati relativi all'imposta dovuta corrispondenti al vero (art. 8 DPR 322/98. come modificato dall'art. 8 del DPR 435/2001 per l'anno di imposta 2016:
-violazione dell'obbligo di eseguire i versamenti periodici Iva entro i termini previsti (art. 1 D.P.R. 100/98), poiché il Vi.Ma., in qualità di titolare dell'omonima ditta, aveva omesso di effettuare versamenti Iva per un ammontare totale di Euro 69.974,00: - violazione dell'obbligo di presentare gli elenchi degli acquisti intracomunitari. In punto di diritto, la Suprema Corte, con specifico riferimento alla categoria dei reati tributari, ha osservato che. ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, fini de]l'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati (Cass. Pen. Sez. II, 27.9.2022, n. 36556).
L'amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette o dell'Iva, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di potere compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (ex multis,Cass. Pen., Sez. III, 16.3.2022, n. 20050; Cass. Pen., Sez. II, 22.12.2020, n. 8632; Cass. Pen.. Sez. III, 14.5.2015, n. 38780).
Tanto premesso, è evidentemente destituita di fondamento la deduzione difensiva volta a prospettare che il Vi.Ma. fosse un mero prestanome e che l'attività gestoria fosse in concreto esercitata da un altro soggetto, Pa.Gi., in qualità di amministratore di fatto.
Infatti, non vi è alcuna prova certa che la gestione societaria fosse rimessa interamente al controllo di un altro soggetto.
Tale tesi è stata offerta dall'imputato, ma non trova riscontro ed anzi è in stridente contrasto con alcune evidenze.
La documentazione in atti evidenzia in maniera determinante che gli atti di gestione fossero interamente riconducibili al Vi.Ma..
Significativa, sul punto, è la circostanza che la documentazione societaria fosse stata riconsegnata dal dott. Vi., all'epoca dei fatti consulente del lavoro, proprio nelle mani dell'odierno imputato, a confutazione della tesi che tutta la gestione sarebbe stata appannaggio di un altro soggetto nella qualità di amministratore di fatto della società.
Il denaro transitava solo sul conto corrente dell'imputato.
Presso la sua abitazione era fissata la sede dell'impresa.
Non affiorano atti di concreta gestione del Pa.Gi.
Non sorgono dubbi, dunque, sulla responsabilità dell'odierno imputato in ordine al reato dì cui all'art. 5 d.lgs. n. 74/2000, come corroborato dalle risultanze processuali acquisite nel giudizio dì primo grado, tanto in ragione dell'assenza di qualsivoglia elemento atto a provare che la condotta ascritta al Vi.Ma. fosse in realtà associabile alla sola figura del Pa.Gi. nella sua qualità di amministratore di fatto.
L'unico destinatario dei benefici dell'azione illecita era proprio l'imputato.
Al più vi sarebbe una concorrente responsabilità del Pa.Gi., se implicato anche lui nei traffici illeciti in discussione.
In ordine al reato di cui al capo 2) dell'imputazione, il difensore ha rilevato come non sia stata raggiunta la prova dell'occultamento o della distruzione delle scritture contabili obbligatorie come previsto dalla legge.
Ebbene, in tema di reati tributari, l'accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74/2000 presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l'agente è titolare di un'attività commerciale (Cass. Pen., Sez. III, 03.10.2018, n. 51836). La riconsegna della documentazione da parte del dott. Vinci all'imputato segna la prova dell'esistenza della contabilità e la mancata messa a disposizione degli atti e dei documenti al momento del controllo dell'Agenzia attesta la sottrazione o l'occultamento, evidentemente per cercare di impedire la ricostruzione degli affari e dei movimenti, come comprovato dall'acclarata evasione fiscale. Il reato risulta integrato in tutti i suoi elementi anche nella ipotesi in cui sia stato possibile egualmente ricostruire le operazioni compiute dal contribuente, posto che il legislatore ha inteso sanzionare anche il solo comportamento che abbia reso, sebbene non impossibile, anche soltanto più difficoltosa l'attività di verifica fiscale a causa dell'avvenuta distruzione ovvero occultamento delle scritture contabili obbligatorie (Cass. Pen., Sez. III, 12.3.2019, n. 37348).
Nel caso di specie, la prova della penale responsabilità dell'imputato è desunta dal rinvenimento, presso la banca dati in uso agli agenti intervenuti, dei dati afferenti ai rapporti di carattere finanziario intrattenuti da Vi.Ma. con operatori tedeschi, nonostante la mancata collaborazione da parte del prevenuto a fronte di una univoca richiesta dei funzionari.
Vanno respinte, dunque, le doglianze difensive in ordine alla richiesta di assoluzione.
Il difensore ha invocato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonché del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Per le attenuanti generiche non vi sono affatto elementi positivi.
La Suprema Corte, anche nella sentenza n. 44071/14 della terza sezione penale, ha ripetutamente evidenziato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008. n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato.
Come costantemente sottolineato dalla Suprema Corte (v. da ultimo Cass. pen. sez. II n. 9299/19), le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo. Le stesse, quindi, presuppongono l'esistenza di elementi positivi, intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall'applicazione dell'art. 133 cod. pen. Come è stato precisato, la ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62 - bis cod. pen. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile.
Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, si da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza (cfr. Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017 e SS.UU. n. 20808/19); al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Nel caso in esame, è di meridiana evidenza che il disvalore non fosse modesto, trattandosi di un'imposta evasa pari a Euro 69.974,00 e dovendosi considerare che la sparizione dei documenti ha riguardato tutta la contabilità.
L'imputato ha anche un precedente penale per la violazione dell'art. 642 con pena, non sospesa ma espiata, di nove mesi di reclusione.
Tali dati rendono evidente l'impossibilità di addivenire ad un trattamento sanzionatorio diverso da quello prescelto dal primo giudicante, visto che è stata applicata una pena del tutto adeguata al fatto ed alla personalità ex art. 133 c.p..
La scelta del rito ha già prodotto l'effetto premiale di cui all'art. 442 c.p.p. e non può comportare duplicazioni non consentite.
Non si ravvisa alcuna condotta collaborativa dell'imputato, non rilevando in alcun modo l'aspetto della mancata contestazione degli addebiti "da parte del patrocinatore" in primo grado (non valendo nel giudizio penale i principi di non contestazione del processo civile), per quanto riportato nella motivazione del giudice di prime cure a pag. 4.
Non vi sono segni di resipiscenza, non constando l'assolvimento degli obblighi tributari con l'estinzione del debito.
Il prevenuto non merita affatto il beneficio della sospensione condizionale, sia per le risultanze del casellario, sia, e soprattutto, per la gravità delle condotte accertate nel presente giudizio e l'assenza di segni tangibili di revisione critica delle proprie condotte.
L'impugnata sentenza va. dunque, pienamente confermata, essendo la sanzione congrua ed adeguata ex art. 133 c.p. rispetto alla portata illecita delle azioni e al consistente valore dell'evasione contestata.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p. conferma la sentenza emessa in data 17.10.2020 dal GIP del Tribunale di Bari ed appellata dall'imputato Vi.Ma., che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Motivazione in gg. 90.
Così deciso in Bari il 25 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2024.