Tribunale Nola, 25/05/2023, n.995
L’omessa dichiarazione della titolarità di partita IVA non costituisce di per sé reato ai sensi dell’art. 7 co. 1 del DL 4/2019, salvo che tale omissione abbia concretamente inciso sull’indicatore ISEE o sul reddito familiare, essendo necessario verificare in sede penale l’effettiva rilevanza della dichiarazione omessa o mendace ai fini della percezione indebita del reddito di cittadinanza.
Svolgimento del processo
Con decreto del 13/7/2022 il GUP in sede disponeva il giudizio per l'udienza del 1/12/2022, da celebrarsi dinanzi a questo Tribunale, l'imputato Ri.An., chiamato a rispondere del reato in rubrica contestato. All'udienza del 1/12/2022 poiché la notificazione della citazione risultava regolarmente eseguita nei termini e con l'osservanza delle modalità fissate dalla legge, e poiché non risultava l'impossibilità a comparire per un legittimo impedimento - che il difensore dell'imputato rinunciava ad eccepire - veniva dichiarata l'assenza dell'imputato, ricorrendone i presupposti di legge in quanto elettivamente domiciliato.
Il processo veniva rinviato in via preliminare all'udienza del 23/3/2023 nella quale, non essendovi questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. In quella sede si procedeva all'esame del teste Mo.Ma. e le parti concordavano l'acquisizione al fascicolo del dibattimento dell'informativa di reato. Il processo veniva rinviato all'udienza del 25/5/2023 per l'esame dell'imputato e la discussione. Alla presente udienza, non residuando ulteriori adempimenti istruttori, il Giudice invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe e, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza ed allegato al verbale, con contestuale redazione dei motivi.
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che l'istruttoria dibattimentale non ha pienamente dimostrato la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie, di talché Ri.An. deve essere assolto dal reato di cui all'art. 7 co. 1 DL 4/2019 perché il fatto non sussiste.
Giova sul punto evidenziare che la piattaforma probatoria è costituita dalle dichiarazioni rese dal teste Mo.Ma., nonché dalle prove documentali in atti, ovvero la visura camerale della Camera di commercio nei confronti dell'imputato, la copia della domanda di reddito di cittadinanza presentata dall'imputato, le risultanze relative ai pagamenti effettuati da parte dell'ente nei confronti dell'imputato, l'attestazione ISEE.
Completa il compendio probatorio l'informativa di reato del 22/2/2020 redatta dalla Guardia di Finanza - Compagnia di Casalnuovo di Napoli, acquisita con il consenso delle parti.
Sulla base di tali fonti di prova, il fatto può essere così ricostruito.
Come emerge dalle dichiarazioni del maresciallo Mo.Ma. - sulla cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, stante il narrato chiaro e preciso, confortato dal contenuto dell'informativa, acquisita con il consenso delle parti Ri.An., odierno imputato, risultava percettore del reddito di cittadinanza.
Le indagini curate dalla p.g. erano consistite in un "incrocio" dei dati desunti dalla dichiarazione con quelli estratti dalle banche-dati in uso al corpo. Da tale disamina emergeva che il Ri. non aveva dichiarato, in sede di presentazione della DSU allegata alla domanda, di essere titolare di una partita IVA, difformemente da quanto poteva desumersi dagli atti. A domanda del PM, il teste precisava che il Ri. aveva percepito un importo mensile di 328,00 Euro dall'INPS, a partire dal maggio 2019 al dicembre 2019 per un totale di Euro 2.500 circa, fino alla sospensione cautelare disposta dall'INPS.
A domanda del difensore dell'imputato, il teste di polizia giudiziaria precisava nettamente che il Ri., al netto dell'omissione, risultava regolarmente in possesso dei requisiti sostanziali per l'accesso al beneficio, in quanto titolare di una pensione di 6.000 Euro annui. Nessun accertamento era stato effettuato in ordine all'effettiva produzione di reddito da impresa da parte del Ri., che non aveva presentato dichiarazioni dei redditi.
Ciò premesso, ritiene questo Giudice che non sussistano tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato contestato all'odierno imputato.
Con riferimento alla condotta di cui all'art. 7 co. 1 del decreto legge n. 4 del 2019, come è noto la norma prevede che "1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni ". Si tratta di un reato di condotta e di pericolo, a dolo specifico, diretto a tutelare l'amministrazione contro false dichiarazioni e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale, reddituale e familiare da parte dei soggetti che non beneficiano ancora al reddito di cittadinanza; è una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale "principio antielusivo" che s'incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali si appresta a ricevere un beneficio economico (così in motivazione, Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573).
Ciò premesso - come peraltro apertamente dichiarato altresì dal teste di polizia giudiziaria - la titolarità di una partita IVA non è per sé ostativa ai fini del riconoscimento del reddito di cittadinanza: il beneficio, infatti, non è incompatibile con la natura di lavoro autonomo della fonte del reddito le cui caratteristiche, quali condizioni di ammissibilità, sono disciplinate dall'art. 2 co. 1 lett. b) ("il nucleo familiare deve possedere: 1) un valore dell'Indicatore della situazione economica equivalente (1SEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, inferiore a 9.360 euro; nel caso di nuclei familiari con minorenni, l'ISEE è calcolato ai sensi dell'articolo 7 del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013; 2) un valore del patrimonio immobiliare, in Italia e all'estero, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di Euro 30.000; 3) un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di Euro 6.000, accresciuta di Euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di Euro 10.000, incrementato di ulteriori Euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo".
Nel caso di specie non può trovare applicazione nel caso di specie alcun automatismo, non previsto dalla normativa di settore (a differenza, ad esempio, della omessa comunicazione del sopraggiunto stato detentivo di uno dei membri del nucleo familiare, evenienza, questa, che comporta sic et simpliciter la decurtazione del beneficio economico ai sensi dell'art. 3 comma 13 del decreto citato, su cui cfr. "Integra il reato di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, l'omessa comunicazione del sopravvenuto stato di detenzione di un familiare quale causa di riduzione del beneficio del c.d. reddito di cittadinanza, in quanto incidente sulla composizione del nucleo familiare, e quale parametro della scala di equivalenza per il calcolo della prestazione economica. "(Sez. 3, Sentenza n. 1351 del 25/11/2021 Ce. (dep. 14/01/2022) Rv. 282637-01). L'omessa dichiarazione di essere titolare di partita IVA di per sé non costituisce motivo ostativo al riconoscimento del beneficio, allorquando tale dato non abbia inciso sul calcolo dell'indicatore ISEE ovvero sul valore del reddito familiare come stabilito dall'art. 2 citato.
Tale eventualità è rimasta del tutto inesplorata nel presente procedimento (avendo il Ri., alla luce di quanto emergente dagli accertamenti svolti, diritto alla percezione del beneficio, come riferito dal teste di polizia giudiziaria). Il dato non può neppure desumersi dall'istruttoria documentale, dalla quale è emerso che il Ri. era destinatario di un provvedimento di sospensione del beneficio nel febbraio 2020.
La procedura amministrativa, infatti, prevede ipso iure le sanzioni amministrative della decadenza (per l'inadempimento degli obblighi di cui all'art. 3 co. 8 della L. 26 del 2019) e della revoca (per l'inadempimento degli obblighi di comunicazione di cui all'art. 3 co. 10 della legge citata) del beneficio, che non contemplano, come è d'uopo trattandosi di provvedimenti amministrativi cautelari e sanzionatori, alcuna verifica sostanziale in ordine all'incidenza degli elementi oggetto dell'omessa comunicazione. Verifica, invero, imprescindibile in sede penale al fine di verificare l'integrarsi della fattispecie in contestazione. Né tale lacuna può essere colmata attraverso l'attivazione del potere istruttorio ufficioso appannaggio di questo Giudice, atteso che tale potere non costituirebbe volano per l'espletamento di un atto istruttorio assolutamente necessario ai fini della decisione ma, al più, sarebbe connotato da una finalità investigativa ed esplorativa, esulando dai poteri di questo Giudice la possibilità di "delegare" un accertamento mai effettuato nel corso del procedimento.
Per i motivi anzidetti, Ri.An. deve dunque essere assolto, sebbene con formula dubitativa, dal reato di cui all'art. 7 co. 1 DL 4/2019 perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve Ri.An. dal reato di cui all'imputazione perché il fatto non sussiste.
Motivi contestuali.
Così deciso in Nola il 25 maggio 2023.
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2023.