Tribunale Napoli sez. VI, 02/02/2023, (ud. 23/01/2023, dep. 02/02/2023), n.806
Il reato di calunnia (art. 369 c.p.) richiede la consapevolezza e volontà dell’agente di accusare falsamente una persona di un reato che sa non commesso, configurandosi con dolo generico. Non rilevano le motivazioni o finalità sottese alla condotta, purché l’accusa falsa sia consapevolmente e volontariamente formulata.
Svolgimento del processo
Con decreto in data 16.3.2021 il G.I.P. in sede disponeva il giudizio, dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, di Sp.Mi. affinché lo stesso rispondesse dei reati in rubrica ascrittigli.
Pertanto, all'udienza del 21.11.22, a seguito del precedente rinvio disposto in data 21.3.22, ritualmente costituite le parti, dichiarata l'apertura del dibattimento con contestuale lettura del capo d'imputazione, esse articolavano le rispettive richieste probatorie, in ordine alle quali questo Giudice, ai sensi dell'art. 495 C.P.P., disponeva come da verbale.
Quindi, veniva esaminato il teste Po.Sa., mentre venivano acquisite le dichiarazioni dei testi Be.Sa. e Ca.Re.
Alla successiva udienza del 23.1.2023, l'imputato si avvaleva della facoltà di non rispondere e rendeva spontanee dichiarazioni. A questo punto il PM produceva talune sentenze relative alla credibilità dei collaboratori di giustizia.
All'esito, dichiarata la chiusura dell'istruttoria
dibattimentale nonché l'utilizzabilità degli atti ex art. 511
C.P.P., le parti rispettivamente concludevano come da verbale di causa.
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che le emergenze processuali convergano inequivocabilmente verso la dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui al capo B), mentre il delitto previsto dal capo A) risulta estinto per intervenuta prescrizione.
Quanto a quest'ultimo, preliminarmente va evidenziato che, in presenza di una causa estintiva del reato, l'assoluzione nel merito prevale sulla conseguente declaratoria solo se dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato.
E' perciò necessaria l'evidenza della prova di circostanze escludenti la colpevolezza, le quali devono emergere dagli atti in modo tale che l'attività del Giudice si risolva in una mera constatazione di una situazione processuale, avendo il Giudice stesso viceversa l'obbligo, in mancanza di tale prova, della immediata presa d'atto della causa estintiva.
Nel caso in esame, viceversa, le risultanze processuali acquisite non consentono di pervenire a soluzione liberatoria nei confronti dello Sp., emergendo allo stato come costui abbia realizzato la condotta a lui ascritta, da cui la sussistenza dell'illecito in parola.
In particolare, l'imputato accusava dell'omicidio di Vu.Al., Be.Nu., che sapeva innocente, dichiarando che lo stesso avesse avuto un ruolo in ordine all'evento delittuoso in parola. Circostanza, invero, smentita anche dalle pronunce della Corte d'Assise di Napoli, Corte d'Assise di Appello di Napoli e Corte di Cassazione.
Non può ritenersi, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, l'assenza dell'elemento psicologico da parte del prevenuto. Difatti, secondo la giurisprudenza di legittimità "la consapevolezza
del denunciante in merito all'innocenza dell'accusato è esclusa qualora la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza" (Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 12209 del 18/02/2020). In tale specifica ipotesi, tuttavia, non sussistono, ictu oculi, elementi in grado di far dubitare dell'innocenza del soggetto accusato.
Tanto premesso, ricorre di converso, come detto, la causa estintiva della prescrizione di esso.
Difatti, tenuto conto del dies a quo per la decorrenza del termine (14.1.2015) del tempo necessario per maturare la prescrizione (anni sette e mesi sei) e non ricorrendo periodi di sospensione, il delitto risulta prescritto il 13.7.2022.
Quanto alla condotta di autocalunnia, dal materiale probatorio presente agli atti si evince che il prevenuto prima mediante dichiarazioni rese al Pubblico Ministero durante la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, poi esaminato in qualità di testimone nel procedimento avente R.G. DIB. n. 3/2014 dinanzi alla V Sezione della Corte d'Assise di Napoli, nei confronti di Be.Sa. ed altri (...), imputati dell'omicidio di Vu.Al., si attribuiva la funzione di istigatore del predetto delitto.
Segnatamente, dai verbali di interrogatorio di persona indagata e contestuale verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, lo Sp. dichiarava di aver avuto un ruolo nell'evento omicidiario suindicato, al fine di ottenere vantaggi legati al traffico di droga del clan: "Io ho detto a Be. che Al.Vu. poteva metterci le guardie addosso.
Così anche Sa.Be. ha cominciato ad avere sospetti nei confronti di
Vu.
Io ho riferito a Be.Sa. anche cose non vere. In particolare, gli ho detto che Al.Vu. mandava i saluti ad Om.Mi. tramite la sua padrona di casa. Io infatti avevo visto che sulla Ca. si guadagnava molto e volevo eliminare Vu. per mettermi a vendere la droga da solo. Così ho messo Al.Vu. in cattiva luce con Be.Sa." (pag. 4 del verbale del 17.5.2010).
Lo stesso aggiungeva poi: "Io gli ho ripetuto che Al.Vu. era un confidente delle guardie e che i miei sospetti nei suoi confronti erano fondati. Be.Sa. allora ha detto che, se era vero, si doveva tirare solo la cartella e che se l'era voluta lo stesso Al.
Io ho capito che Al.Vu. doveva essere ucciso" (pag. 5 del verbale cit.).
Dalle affermazioni dell'imputato emerge una vera e propria condotta agevolativa dell'omicidio del Vu.: "Be.Sa. mi ha domandato se la serata era tranquilla per fare quel servizio. Io ho subito capito che intendeva riferirsi all'omicidio di Al.Vu. e gli ho risposto di sì aggiungendo che quel giorno non era passata nemmeno una macchina delle guardie.
Be. mi ha detto che io dovevo soltanto prendere la (...) di Al.Vu. e andarmene. Io ho anche assicurato a Be.Sa. che gli avrei fatto trovare là dentro la frutteria Be. se ne è andato e io sono rimasto ad aspettare Al.Vu. fino alle ore 18-18:30. Ho raccomandato a Vu. di non muoversi di lì perché doveva scendere Be. a fargli una imbasciata importante.
Al. mi ha chiesto di che cosa si trattava e io gli ho risposto che non lo sapevo, ma che si trattava di cose buone. Ciò ho detto ad Al.Vu. per farlo restare nella frutteria" (pag. 6-7).
Apporto confermato anche in successive dichiarazioni: "Mi rendo conto di aver dato avvio, riferendo al Be. dei rapporti intrattenuti da Vu.Al. con le guardie, alla dinamica che alla fine ha portato all'omicidio del Vu." (pag. 9 del verbale del 2.2.2010). Sottolineando altresì come causa dell'omicidio era rappresentata dal fatto che la vittima "era un confidente delle Guardie e poteva mettere le Guardie addosso al clan" (pag. 145 del verbale di udienza del 23.12.2014, proc. R.G. DIB. 3/2014).
Tuttavia tali risultanze venivano smentite da Sa.Be., uno dei compartecipi della vicenda omicidiaria, il quale confessava come "Vu.Al. era già inserito nella lista delle persone che dovevano essere uccise" e che "Vu.Al. si era messo con coloro che erano in contrasto con il clan (...) e in particolare mi riferisco al clan (...) facendo prendere loro la droga e comunque favorendoli nei traffici di sostanze stupefacenti" (pag. 2-3 del verbale di interrogatorio di persona indagata e contestuale verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione del 28.11.2011).
Orbene, dalle evidenze probatorie emerge come l'imputato non abbia svolto alcuna funzione nell'evento delittuoso de quo, risultando le sue dichiarazioni tese ad ottenere, con tutta probabilità, maggiore credibilità nel programma di collaborazione iniziato nel 2009 ed i conseguenti benefici penitenziari previsti per i collaboratori di giustizia.
Non spiega alcun effetto, nel caso in esame, il richiamato difetto dell'elemento soggettivo in capo allo Sp., posto che la fattispecie di cui all'art. 369 c.p. consta della necessità del mero dolo generico per la sua configurabilità, id est la coscienza e volontà che con la sua condotta l'imputato abbia incolpato sé stesso di un reato "che egli sa non avvenuto o di un reato commesso da altri", non rilevando le motivazioni né le finalità sottese al comportamento del reo.
Per quel che attiene al trattamento sanzionatorio, considerati anche i parametri tutti di cui all'art. 133 C.P., stimasi equo irrogarsi la pena indicata nella parte dispositiva, così calcolata: pena base per il reato di cui all'art. 369 c.p. anni uno di reclusione, aumentata di mesi otto per la recidiva qualificata.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533-535 C.P.P., dichiara Sp.Mi. colpevole del reato ascrittogli al capo B) e, applicato l'aumento per la contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto altresì l'art. 531 c.p.p., dichiara (...) nei confronti del medesimo imputato, in ordine al reato ascrittogli al capo A), essendosi il reato stesso estinto per sopravvenuta prescrizione.
Determina in gg. 90 il termine per il deposito delle motivazioni.
Così deciso in Napoli il 23 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.