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Configurazione del reato di rissa e limiti alla legittima difesa nei confronti di condotte attive

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Corte appello Taranto, 24/11/2021, n.1019

Il reato di rissa richiede il coinvolgimento attivo e reciproco di almeno tre persone, con volontà contrapposte di offendere; la legittima difesa è esclusa se i partecipanti reagiscono attivamente anziché limitarsi a proteggersi o fuggire.

Riduzione della pena per rissa aggravata: concessione delle attenuanti generiche ed esclusione della legittima difesa

Assoluzione per il reato di rissa: mancanza di prova della partecipazione attiva e configurabilità di condotte difensive (Giudice Luca Purcaro)

Assoluzione per insufficienza probatoria nel reato di rissa: mancanza di contrapposizione tra gruppi e motivazione sottesa alla condotta violenta (Giudice Serena Corleto)

Reato di rissa aggravata: esclusione della legittima difesa e responsabilità penale di tutti i partecipanti

Configurazione del reato di rissa e limiti alla legittima difesa nei confronti di condotte attive

Riforma della condanna per rissa aggravata: rideterminazione della pena e limiti alla particolare tenuità del fatto

Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate: conferma della condanna con concessione della non menzione della pena

Rissa sul luogo di lavoro: legittimità del licenziamento disciplinare per condotta incompatibile con il vincolo fiduciario

Rissa: esclusione della responsabilità per chi agisce al solo fine di separare i litiganti.

Partecipazione attiva e reciproca come requisito per la configurabilità del reato di rissa.

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 9 dicembre 2020, il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, dichiarava Vi.Da., An.Al., An.Re., Sa.Al., Gi.Gr., Ar.Gi. e Po.Ca. colpevoli dei reati loro ascritti in rubrica e, in concorso per tutti di circostanze attenuanti generiche, equivalenti alla recidiva per il GI.GR., li condannava rispettivamente alla pena di mesi quattro di reclusione, il VI.DA., gli AL., la AN.RE., la AR.GI. e la PO.CA., e di mesi sei di reclusione, il GI.GR., oltre al pagamento - ciascuno per quanto di spettanza - delle spese processuali. Pena sospesa per tutti ad eccezione del GI.GR.

Il giudice di prime cure, all'esito dell'istruttoria - articolatosi nell'acquisizione, ai sensi degli artt. 493, comma 3, e 500, comma 7, c.p.p., dell'annotazione di servizio redatta dal personale dipendente dei Carabinieri di Massafra il 7 luglio 2017, e nell'escussione, a chiarimento, dell'App. Se. Gi.La., oltre che nell'esame, ai sensi dell'art. 210 c.p.p., di An.Al. (essendosi tutti gli altri imputati avvalsi della facoltà di non rispondere) - riteneva provato il fatto, adducendo che, nella data indicata nel capo di imputazione, vi fosse stata una rissa tra le contrapposte famiglie GI.GR., CA. e GI., da un lato, e AL., AN.RE., dall'altro, nel corso della quale ciascuno dei contendenti, ad eccezione di Gi.Gr., aveva riportato le lesioni personali a ognuno refertate presso il locale nosocomio.

Segnatamente, alla luce del contenuto dell'annotazione di servizio e delle dichiarazioni del verbalizzante, il giudicante appurava che:

- alle ore 12.00 circa, una pattuglia dei Carabinieri di Massafra era stata inviata alla Piazza (...) di quel paese, ove era stata segnalata una lite che coinvolgeva una donna incinta;

- i militari, giunti alla Via (...), constatavano - in corrispondenza del civico (...) - una gran confusione determinata dal fatto che tali An.Al. e Ar.Gi. stessero litigando scambiandosi calci e schiaffi;

- nella circostanza, gli operanti apprendevano dalla AR.GI. che costei, incinta, era stata picchiata dall'AL. e da Vi.Da., fidanzato di quest'ultima, presente in loco;

- in quel frangente, si avvicinavano Gi.Gr., fidanzato della AR.GI., che - sbraitando - cercava di raggiungere l'AL. e il VI.DA. per aggredirli, senza tuttavia riuscire nel proprio intento per il pronto agire dei verbalizzanti, prodigatisi per allontanare le parti, sì da evitare la degenerazione della situazione, nonché Po.Ca., madre del GI.GR., che iniziava a strattonare l'AL., venendo, anch'ella, allontanata al medesimo fine;

- contemporaneamente, sopraggiungeva anche An.Re., madre di An.Al., la quale, lamentando un forte dolore e annunciando di aver intenzione di ricorrere alle cure mediche, riferiva di essere stata anch'ella poco prima aggredita e malmenata dalla AR.GI.;

- a quel punto, l'AL. e la PO.CA. venivano colte da malore, sicché veniva chiesto l'intervento del personale del 118 e sulle due ambulanze intervenute ricevevano le cure (e venivano trasportate al pronto soccorso) An.Al. e Ar.Gi., mentre la PO.CA., intanto ripresasi, si allontanava spontaneamente;

- all'esito dello scontro:

• Ar.Gi. riportava "lesioni emivolto ed emicollo dx e contusione addominale in gravida alla 8W di gestazione", con prognosi di giorni 10;

• An.Al. riportava "trauma cranico non commotivo regione parieto occipitale dx", con prognosi di giorni 10;

• Po.Ca. riportava "frattura chiusa di costola e infrazione 9 e 10ma costa dx", con prescrizione di riposo assoluto per giorni 30 e sottoposizione a nuovo controllo;

• An.Re. riportava "contusioni ecchimotiche ed escoriazioni sede occipitale ed emitorace, spalla", con prognosi di giorni 15;

• Sa.Al. riportava "contusione escoriata braccio e spalla dx e contusioni emicostato dx e cervicale", con prognosi di giorni 15.

Il primo giudice evidenziava anche come An.Al., esaminata con le garanzie di cui all'art. 210 c.p.p., avesse riferito che, nel giorno in questione, mentre stava ritornano a casa unitamente al proprio fratello, Sa.Al., aveva incontrato la AR.GI. e il GI.GR. e che, nella circostanza, era stata aggredita dalla AR.GI. con la quale aveva intrapreso una colluttazione con spinte e colpi reciproci, tanto da attirare l'attenzione di An.Re. (residente nelle immediate vicinanze) intervenuta a dividerle, ma caduta in terra così come anche Sa.Al., dapprima rimasto a margine della lite, ma poi intervenuto anch'egli. Il giudice di prima istanza, pertanto, ritenuta assai generica e inverosimile la ricostruzione dell'AL., sulla scorta degli atti, condividendo la qualificazione giuridica attribuita al fatto dal p.m., anche in considerazione del contegno assunto dagli imputati pure al cospetto dei Carabinieri, innanzi ai quali avevano continuato a litigare e ad aggredirsi verbalmente e fisicamente, perveniva alla conclusione sanzionatoria innanzi indicata, applicando nei confronti di tutti l'art. 62 bis c.p. (per lo stato di incensuratezza di ciascun imputato ad eccezione del GI.GR. e, con riferimento a quest'ultimo, per la posizione marginale da costui assunta nell'alterco).

Avverso la predetta sentenza sono stati proposti separati atti di appello da GI.GR.

Giuseppe e Po.Ca., da un lato, e da VI.DA.,

An.Al., Sa.Al., An.Re., dall'altro.

Il difensore del GI.GR. e della PO.CA. ha richiesto:

- l'assoluzione dei propri assistiti con formula di giustizia, quanto meno ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., per l'erroneità del presupposto da cui si era mosso il giudice di primo grado che aveva ritenuto esistere due gruppi contrapposti di persone che si erano offesi e difesi reciprocamente mentre invece l'istruttoria aveva dimostrato che si era trattato di una lite intercorsa tra Ar.Gi., da un lato, e An.Al., dall'altro, come riscontrato dai Carabinieri intervenuti che avevano effettivamente trovato solo le due indicate contendenti a picchiarsi ed erano riusciti ad allontanare, prima che potessero partecipare alla colluttazione in corso, Gi.Gr., Po.Ca. e An.Re., sopraggiunti solo per dividere le due donne in lite e, quanto alla AN.RE., per addurre di avere dolori a una spalla per la pregressa aggressione patita, sicché era mancato lo scontro tra più parti visto il ruolo di pacieri assunto da coloro che erano sopraggiunti, il cui intervento, a tutto voler concedere, dovrebbe comunque essere scriminato ai sensi dell'art. 52 c.p., vista l'intenzione di intervenire in difesa della loro congiunta incinta;

- l'assoluzione dei propri assistiti ai sensi dell'art. 131 bis c.p., vista l'esigua offensività delle condotte oggetto di addebito comprovate dalla scelta delle contrapposte parti di non costituirsi parti civili nel presente procedimento;

- la rideterminazione della pena mediante il bilanciamento - in termini di prevalenza e non già di equivalenza - delle circostanze attenuanti generiche riconosciute anche in favore del GI.GR. sulla recidiva a costui contestata, nonché il contenimento della pena base presa in considerazione per la quantificazione della sanzione anche con riferimento alla PO.CA.

Il difensore del VI.DA., degli AL. e della AN.RE. ha richiesto:

- l'assoluzione dei propri assistiti dal delitto di rissa con formula di giustizia, quanto meno ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., per difetto degli elementi - oggettivo e soggettivo - costitutivi dello stesso, visto che, ferma la piena attendibilità di An.Al. (la cui deposizione era stata connotata dalla forte emotività che la affligge, sì da determinarne la lacunosità, ma non certo la non credibilità), a fronte della pretesa creditoria vantata da Gi.Gr. nei confronti dell'amico Sa.Al., vi era stato uno scontro tra An.Al., sorella di quest'ultimo, e Ar.Gi., compagna del primo, al quale, come comprovato dalle attestazioni dei militari intervenuti, non avevano preso parte gli altri soggetti (all'uopo allontanati proprio dai verbalizzanti), i quali, pertanto, non avevano partecipato contestualmente all'aggressione, avendo la stessa AN.RE. riferito ai Carabinieri di essere stata in precedenza attinta dai colpi della AR.GI., sicché non esiste la contrapposizione tra due gruppi di persone che si erano offesi e difesi reciprocamente;

- l'assoluzione dei propri assistiti dal delitto di lesioni personali (e anche da quello di rissa) per la ricorrenza nella specie dell'ipotesi di cui all'art. 52 c.p. (per le ragioni sottese alla lite), astrattamente compatibile anche con il delitto di cui all'art. 588 c.p., allorché, come nel caso in esame, l'aggressione, dalla quale il contrapposto gruppo si era solo difeso, sia stata del tutto imprevedibile e sproporzionata rispetto al rischio accettato intraprendendo lo scontro;

- la rideterminazione della pena mediante: 1) il riconoscimento della circostanza di cui all'art. 62, n. 2, c.p., stante la tracotanza della pretesa che aveva preceduto lo scontro; 2) il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; 3) la quantificazione della pena in maniera tale da assestarla sul minimo edittalmente previsto;

- il riconoscimento della sospensione condizionale della pena.

In data odierna, si è celebrato il giudizio di secondo grado.

Le parti hanno rassegnato le loro conclusioni e la Corte ha definito il processo come da dispositivo in calce alla presente sentenza.

La Corte ritiene di dover preliminarmente puntualizzare i rapporti esistenti tra le parti:

- An.Al. è sorella di Sa.Al. ed entrambi sono figli di An.Re.;

- An.Al. e VI.DA. sono fidanzati;

- Gi.Gr. è il compagno di Ar.Gi. ed è figlio di Po.Ca.;

- Gi.Gr. e Sa.Al. sono amici di lunga data.

La Corte, sempre in via preliminare, ritiene di condividere il giudizio di assoluta inattendibilità delle dichiarazioni rese a dibattimento da An.Al. In merito basti sottolineare che costei aveva riferito di trovarsi in terra in preda ad un malore al momento dell'intervento dei Carabinieri che, invece, nell'atto fidefaciente acquisito con valenza probatoria ai fini della decisione (come vieppiù precisato dal verbalizzante escusso a chiarimenti), avevano precisato che, al loro arrivo, la AL. e la AR.GI. erano ancora impegnate nella colluttazione, tanto da essere intervenuti a dividerle.

A ciò si aggiunga che l'AL., pur essendosi profusa a sostenere che il GI.GR., il proprio fratello e la propria madre fossero intervenuti esclusivamente a dividere esse litiganti nella prima fase dello scontro, allorché era stata chiamata a esprimersi sulla presenza delle lesioni riportate dalla AN.RE. (asseritamente rimasta ferita per essere caduta di sedere in terra, pur a fronte di una certificazione attestante lesioni affatto diverse) e da Sa.Al., aveva ammesso di non sapere (per non averlo visto) come essi fossero rimasti feriti e di aver appreso solo in seguito da costoro che erano - entrambi - caduti in terra durante lo scontro.

A lume di tanto, è evidente che le dichiarazioni rese dall'AL. - tenuto conto della sua posizione processuale di interesse, oltre che dei limiti di valutazione imposti dagli artt. 210 e 192, commi 3 e 4, c.p.p. - non possono essere validamente prese in considerazione ai fini delle determinazioni da assumere per l'inverosimiglianza e la contrapposizione agli altri esiti dibattimentali certi.

Ciò posto, la Corte ritiene di trattare in maniera congiunta il motivo di appello - contenuto in ciascun atto di gravame - volto a escludere la configurabilità del delitto di rissa per la mancanza dei due contrapposti gruppi di persone sul presupposto che la lite, come constatato dai Carabinieri, aveva riguardato esclusivamente An.Al. e Ar.Gi. Orbene, la doglianza in parola non coglie nel segno.

E', infatti, certo che, alla presenza dei Carabinieri e nonostante gli sforzi da costoro profusi per evitare la degenenerazione della situazione (evidentemente costituente un seguito di uno scontro già avvenuto tra le parti), vi fossero stati, non solo lo scambio di colpi reciproci tra l'AL. e la AR.GI., ma anche:

- gli spintonamenti della PO.CA. all'AL., comprovanti come la prima non fosse affatto intervenuta per dividere le due contendenti ma per recare offesa a una delle due parti in lizza, contro la quale si era posta a sostegno dell'altra;

- le invettive verbali e i tentativi (elisi dall'intervento dei militari) di aggressione di Gi.Gr. ai danni dell'AL. e del VI.DA., comprovanti - anch'essi - come il primo avesse posto in essere atti tutt'altro che concilianti e funzionali a porre fine allo scontro tra le due donne, al quale aveva dunque preso parte quanto meno a parole per sostenere le ragioni della sua compagna contro la di lei contendente e il suo fidanzato.

A tanto si aggiunga:

- l'annotazione di servizio acquisita con il consenso delle parti e, dunque, utilizzabile ai fini della decisione in ogni sua parte, che dà conto del fatto che An.Re. aveva riferito ai Carabinieri di essere stata a sua volta picchiata da AR.GI.

Arianna e che quest'ultima aveva addotto di aver patito anche l'aggressione di VI.DA., in quel momento con l'AL.;

- la dichiarazione resa dall'App. Se. Gi.La. che aveva precisato di essere intervenuto a seguito della segnalazione della C.O. allorché la contesa esistente era pressoché cessata anche se "le due signore ancora mi sa che erano..." (cfr. verb. ud. 29 maggio 2019, p. 5), così, pur non avendovi assistito, testimoniando che lo scontro aveva avuto ben altre proporzioni;

- la presenza dei certificati medici relativi a tutti i corrissanti ad eccezione di Gi.Gr., dimostrativa del fatto che ognuno avesse preso parte allo scontro.

La lettura d'insieme degli esiti dell'istruttoria consente, quindi, di condividere la conclusione del primo giudice.

Dal punto di vista logico, infatti, deve ritenersi che i Carabinieri, seppur intervenuti prontamente rispetto alla segnalazione, non potevano essere sopraggiunti immediatamente, sicché è ragionevole pensare che costoro, come riferito dal militare escusso, fossero arrivati nel momento terminale dello scontro, allorché questo stava proseguendo solo con i colpi tra le due protagoniste principali.

Tale considerazione, unitamente alla presenza delle certificazioni mediche relative alle lesioni patite dai soggetti diversi da quelli che i militari avevano visto direttamente scontrarsi, stanti la presenza tra gli astanti anche di quei feriti e l'atteggiamento assunto anche al cospetto dei Carabinieri da alcuni di costoro (visto che, come detto, il GI.GR. aveva cercato di colpire l'AL. e il VI.DA. ed aveva comunque verbalmente inveito al loro indirizzo e la PO.CA. aveva spintonato l'AL.), tutti appartenenti ai due nuclei familiari in contrapposizione, giustifica l'assunto del loro coinvolgimento nella lite evidentemente trasmodata nel ricorso alle vie di fatto.

La tipologia e l'entità delle lesioni da ciascuno patite - tutte con prognosi pari ad almeno giorni 10 e relative a contusioni in più parti del corpo e, addirittura, nel caso della PO.CA., a una frattura alle costole - comprovano che l'intervento dei soggetti diversi dalla AR.GI. e dalla AL. non fosse stato determinato dalla sola intenzione di dividere le due contendenti.

Risulta, infatti, quantomai singolare ritenere che le due donne (una delle quali peraltro anche incinta), oltre a continuare a contendere reciprocamente tra loro (come avevano fatto anche al cospetto dei verbalizzanti), avessero potuto procurare, visto il numero dei coinvolti, ognuna a tutte le altre parti a ciascuna contrapposte, le lesioni riscontrate.

A fronte di tale argomento logico, stante l'assoluta inverosimiglianza di quanto addotto da An.Al. e - senza pertanto voler invocare un'inammissibile inversione dell'onere della prova, stante la chiarezza della piattaforma istruttoria - nel silenzio degli altri imputati, deve pacificamente concludersi che tra An.Al., Sa.Al., An.Re. e Vi.Da., da un lato, e Ar.Gi. (peraltro, non appellante), Gi.Gr. e Po.Ca., dall'altro, nella giornata indicata, vi fosse stata una rissa, verosimilmente determinata (ma tanto è poco rilevante) dalla pregressa degenerazione del rapporto amicale esistente tra il GI.GR. e Sa.Al., a cagione di un debito non saldato da quest'ultimo al primo e dell'intervento nella vicenda di An.Al. e della AR.GI.

Né la sussistenza della rissa in parola può essere esclusa in base all'argomento secondo cui ci sarebbe stata una cesura temporale tra i vari momenti in cui si erano verificate le varie condotte aggressive.

Invero, ferma l'assertività di una tale evenienza, la ricostruzione della sequenza temporale operata sulla scorta delle parole del Carabiniere escusso evidenzia l'assenza di una soluzione di continuità tra i frangenti in cui le due contrapposte parti si erano fronteggiate con il solo frapporsi di fisiologici momenti di stasi subito seguiti dalla ripresa delle ostilità.

La suddetta considerazione sulla vicinanza temporale tra i vari momenti della rissa - evidentemente traibile dalla tempistica dell'intervento dei Carabinieri - conduce a ritenere certa, anche in presenza di alcuni frangenti di stasi, la sussistenza del reato, visto che pacificamente "Il reato di rissa (art. 588 cod. peri.) è configuratile anche nel caso in cui i partecipanti non siano stati coinvolti tutti contemporaneamente nella colluttazione e l'azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in distinti episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un'unica sequenza di eventi' (Cass., Sez. V, 23 febbraio 2011, n. 7013).

Rispetto a tale fatto, deve essere esclusa la ricorrenza dell'ipotesi di cui all'art. 52 c.p., invocata da tutti gli appellanti.

Invero, a fronte dell'accertata sussistenza di uno scontro attivamente posto in essere da ciascuna delle parti in contesa ai danni dell'altra, non ricorrendo, nella specie, neanche l'esorbitanza di un'azione rispetto a quella contrapposta dell'altro gruppo (prospettata dalla difesa degli AL., del VI.DA. e della AN.RE., senza tuttavia spiegare per quale ragione dovrebbe ritenersi sussistente una tale ipotesi, essendosi le due parti fronteggiatesi in numero pressoché coincidente, con il ricorso all'uso delle sole mani e in gruppi, entrambi, vieppiù misti), non ricorrono le condizioni perché in favore degli appartenenti all'una o all'altra parte possa essere applicato l'art. 52 c.p.

La fondatezza della conclusione in parola riposa sui pacifici principi di diritto secondo cui:

- "In tema di rissa, è configurabile la legittima difesa in uno scontro tra gruppi contrapposti solo quando coloro che si difendono si pongono in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o dandosi alla fuga, così da far venir meno l'intento aggressivo, e non quando la difesa si esplica attivamente (nella specie, tentando di sferrare calci e pugni agli oppositori). (Conf. Sez. 5, n. 10080/1980, Rv. 146127-Olf (Cass., Sez. V, 25 novembre 2020, n. 33112).

- "È inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i corrissanti sono ordinariamente animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata; essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta" (Cass. Sez. V, 14 maggio 2020, n. 15090);

- "In tema di cause di giustificazione, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non accompagnata dall'allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l'accertamento del giudice, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo. (Fattispecie in tema di rissa in cui la Corte ha ritenuto inidonea a giustificare l'applicazione della esimente della legittima difesa la mera indicazione della natura difensiva della condotta violenta, senza specifiche allegazioni circa la sussistenza di un pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la prospettata reazione all'offesa altrui/' (Cass., Sez. V, 23 luglio 2020, n. 22040).

Infondato è poi il motivo di appello funzionale a ottenere l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. a vantaggio di Gi.Gr. e Po.Ca. Invero, il numero delle vittime, l'entità delle lesioni patite da ognuna, la duplicità di reati realizzati, in uno con la modalità complessiva di realizzazione del fatto, posto in essere in pieno giorno nel centro abitato in mezzo alla pubblica via, per motivi che si presumono essere di scarso rilievo, pur a fronte della decisione di non costituirsi reciprocamente parte civile, non idonea a dimostrare l'insussistenza dei danni causati, secondo la Corte, rappresentano circostanze tali da escludere che la condotta oggetto di accertamento possa essere considerata nel suo complesso così minimamente offensiva da giustificare l'applicazione dell'art. 131 bis c.p, vieppiù tenendo conto, con riferimento al GI.GR., anche della presenza di precedenti condanne per reati di certo allarme sociale.

Alla stessa maniera, deve essere rigettata la richiesta di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 2, c.p., invocata dalla difesa degli AL., del VI.DA. e della AN.RE.

Si ricordi che "L'attenuante della provocazione è normalmente incompatibile con il reato di rissa, a meno che non risulti che l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti sia stata preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall'altro gruppo" (Cass. Sez. V, 19 febbraio 2013, n. 8020).

Secondo la Corte, nel caso in esame, non ricorre in alcuna maniera una tale evenienza, non risultando agli atti - fermo quanto attestato nell'annotazione di servizio acquisita che la ragione sottesa allo scontro fosse una questione economica che vedeva il GI.GR. creditore di una non meglio specificata somma di denaro nei confronti dell'AL. - l'esistenza di una pretesa dai requisiti indicati ovvero la produzione di un'offesa dal connotato della gravità estrema.

Di contro, deve essere accolto - come di seguito specificato - il motivo afferente alla rideterminazione della pena avanzato nell'interesse di ciascun appellante. Invero, il primo giudice aveva riconosciuto in favore di tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche, omettendo - eccezion fatta per il GI.GR., nei confronti del quale tuttavia l'art. 69 c.p. era stato applicato solo con riferimento alla recidiva - di compiere il giudizio di bilanciamento di tali attenuanti con la previsione dell'art. 588, comma 2, c.p., che pacificamente integra una circostanza aggravante rispetto alla norma contenuta nel primo comma.

Basti a tal fine ricordare, con un principio valido anche al di fuori della scelta del rito speciale, che "In tema di patteggiamento, è illegale la pena applicata dal giudice che, operando il giudizio di bilanciamento tra le circostanze, compari le attenuanti ed una sola delle aggravanti, in quanto l'art. 69 cod. pen. impone di procedere alla simultanea comparizione di tutte le circostanze ritenute. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza in cui, in relazione al reato di rissa aggravata ai sensi dell'art. 588, comma secondo cod. pen., il giudice, dopo aver riconosciuto all'imputato le circostanze attenuanti generiche, aveva effettuato il giudizio di comparazione solo tra queste e la recidiva e non anche con la suddetta aggravante di cui al citato art. 588, comma secondo, cod. pen.)" (Cass, Sez. V, 9 giugno 2014, n. 24054).

Consegue a tale rilievo che - operato il bilanciamento in parola in termini di equivalenza, non potendosi per la gravità della condotta complessivamente considerata, per l'entità delle lesioni subite dalla maggior parte del corrissanti e per la perseveranza mostrata anche al cospetto dei Carabinieri dalla maggior parte di costoro, applicare l'art. 69, comma 2, c.p. - la pena inflitta deve essere rideterminata in complessivi euro 200 di multa ciascuno (per le ragioni testé indicate, essendo necessario adeguare la pena da comminare al disvalore del fatto, giustificandosi la commisurazione della stessa in maniera superiore al minimo edittalmente previsto). Per le ragioni addotte, ferma l'incoferenza del rilievo degli appellanti che, pur avendo beneficiato della sospensione condizionale della pena per decisione del primo giudice, hanno invocato in questa sede l'applicazione dell'art. 163 c.p., la sentenza impugnata deve essere riformata come da dispositivo in calce.

P.Q.M.
La Corte, letto l'art. 605 c.p.p.,

in riforma della sentenza del Tribunale di Taranto del 9 dicembre 2020, appellata da An.Al., Sa.Al., Po.Ca., VI.DA., Gi.Gr. e An.Re., ritenute le già riconosciute circostanze attenuanti generiche in favore di tutti gli appellanti equivalenti alle aggravanti contestate, ridetermina la pena loro inflitta in euro 200 di multa ciascuno, confermando nel resto la sentenza gravata.

Motivazione contestuale.

Così deciso in Taranto il 24 novembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2021.

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