Corte appello Napoli sez. III, 15/04/2024, n.3884
In tema di reati tributari, l'amministratore di diritto di una società risponde dei reati di dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000) e di omessa dichiarazione (art. 5 D.lgs. 74/2000) anche in assenza di una gestione diretta degli affari societari, salvo prova contraria di essere mero prestanome. Il dolo specifico può essere desunto dalla macroscopica illegalità della condotta, dalla mancata giustificazione di omissioni contabili e dal mancato rispetto degli obblighi dichiarativi. Le soglie di punibilità costituiscono elementi costitutivi del reato e richiedono una verifica rigorosa.
Svolgimento del processo
Il processo era trattato in forma camerale, in presenza, in data 8/4/2024; rituali le notifiche alle parti si procedeva in assenza dell'imputata; dopo la relazione, le parti concludevano come sopra indicato; all'esito della camera di consiglio, la Corte decideva come da dispositivo pubblicato come per legge.
Motivi della decisione
La sentenza di primo grado.
Il Giudice fonda la prova della responsabilità dell'imputata in ordine ai reati ascritti sulle dichiarazioni rese dal teste Ca.Al. e sugli atti confluiti nel fascicolo del dibattimento (dichiarazione Modello Unico dell'anno 2014 relativa al periodo di imposta 2013 e processo verbale di constatazione redatto nei confronti della (…) s.r.l. in data 24.9.2018) dai quali emerge che a seguito di verifiche dell'Agenzia delle Entrate attraverso le banche dati in dotazione, i funzionari del predetto Ufficio si recavano presso la sede della (…) s.r.l. - società che gestiva il commercio all'ingrosso di apparecchi e materiali telefonici - sita in Napoli alla via (…), ove l'imputata, ivi presente, asseriva che la documentazione contabile richiesta dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate era depositata presso lo studio del commercialista.
Dai successivi accertamenti risultava che le fatture, sia attive che passive, relative al 2014 non erano state registrate in quanto erano state consegnate al commercialista soltanto dopo l'accesso eseguito dall'Agenzia delle Entrate in data 6.5.2014.
La documentazione contabile acquisita nel corso dei vari accessi appariva lacunosa ed inattendibile in quanto i registri consegnati apparivano incompleti e presentavano diverse irregolarità.
Per l'anno 2013, nel Registro IVA 2013 erano stati registrati acquisti intracomunitari per euro 3.961.675,65 importo corrispondente a quanto esposto nella dichiarazione dei redditi modello Unico 2013. Secondo i dati VIES nel 2013 la società aveva invece acquistato beni e servizi per importo maggiore pari ad euro 15.873.142,00 da fornitori comunitari.
Inoltre, nel registro IVA vendite 2013 era stata effettuata la doppia registrazione degli acquisti intracomunitari per euro 3.961.675,65.
Non erano invece registrati acquisti da fornitori italiani, mentre risultava dall'applicativo "Spesometro integrato" acquisti comunicati da fornitori italiani per un imponibile di euro 242.143,00.
Con riferimento all'anno 2014, il riscontro dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate aveva evidenziato l'inattendibilità delle scritture contabili in quanto i registri non erano stati consegnati e quelli depositati erano privi di registrazione. Peraltro, lo stesso commercialista della (…) s.r.l. spiegava agli operanti che non avrebbe utilizzato la documentazione contabile consegnata in quanto lacunosa ed inattendibile ed inoltre mancavano diverse fatture, vi erano diversi foglietti con appunti e riferimenti generici a probabili clienti.
Di conseguenza la (…) s.r.l. aveva fatturato ad operatori nazionali la cessione di beni, prevalentemente cellulari, di provenienza comunitaria senza registrare né dichiarare, in tutto o in parte, i ricavi derivanti dalle transazioni effettuate nell'anno di imposta 2013, mentre per l'anno di imposta 2014 aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali, evadendo pertanto le imposte dovute.
Inoltre, le indagini condotte dall'Agenzia delle Entrate evidenziavano transazioni finanziarie in contanti nonché volumi di acquisti talmente elevati da far ipotizzare che la (…) s.r.l. avesse operato quale collettore di ordini per conto terzi, interessati alla fornitura di merce "a nero". Invero, la sede amministrativa in Poggiomarino era inesistente e vi era assenza di magazzino a fronte di valori elevati di rimanenze dichiarati nel bilancio 2013 (pari ad euro 3.954.352). Tale circostanza, tenuto contro dell'ingente volume di acquisti intracomunitari effettuati, aveva indotto i funzionari dell'Agenzia delle Entrate a ritenere che la (…) s.r.l. avesse effettuato acquisti anche per conto di altri operatori del settore, interponendosi nei rapporti con i fornitori intracomunitari. A conforto di quanto già constatato, gli operanti avevano accertato altre situazioni sospette quali la mancanza di consistenza patrimoniale della società e la presenza di rilevanti movimentazioni bancarie di versamento e prelevamento in contanti.
Quindi il Tribunale, in conformità con quanto acclarato soprattutto attraverso le banche dati dall'Agenzia delle Entrate, ha ritenuto pienamente provato che la Fe. avesse presentato in maniera infedele il Modello Unico 2013, e omessa la presentazione della dichiarazione IVA per l'anno di imposta 2013 (pur in presenza di ingenti acquisti intracomunitari di beni e servizi per gli anni 2013 e 2014), nonché totalmente omessa la dichiarazione fiscale per l'anno 2014, condotte integranti gli estremi dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000. Relativamente all'anno di imposta 2013, gli acquisti intracomunitari ammontavano ad euro 3.961.675,65 mentre in base alla ricostruzione effettuata con la banca dati VIES, il volume degli acquisti era pari ad euro 15.873.142. Da ciò seguiva per l'anno 2013 il calcolo di una maggiore imposta pari ad euro 3.239.240,00 nonché un reddito imponibile di euro 1.260.997,00. Ugualmente, dai registri IVA emergevano acquisti anche nazionali per un ammontare di euro 242.143,00. Il registro IVA vendite non era stato rinvenuto ma erano stati trovati due files che ricostruivano il volume di affari della (…) s.r.l. pari ad euro 6.745.928. Pertanto, la contabilità appariva chiaramente inattendibile.
Per l'armo 2014, in assenza di presentazione di dichiarazioni fiscali, era stata contestata una omessa fatturazione e omessa presentazione dichiarazioni fiscali per un volume di affari di euro 11.943.161,00 e un'imposta di euro 2.627.495,00 nonché un reddito imponibile di euro 454.484,00.
I motivi di appello
1) Assoluzione per non aver commesso il fatto nonché, per vizio di motivazione o per insussistenza dell'elemento soggettivo.
Il quadro probatorio sarebbe deficitario e di conseguenza "incompleta e palesemente erronea ed illogica, esprimendo sul punto una motivazione carente, incongrua, perplessa e contraddittoria". Le ragioni di tale tesi risiederebbero nel fatto che pur essendo incontestato che la Fe.An. aveva rivestito la qualifica di amministratrice della (…) s.r.l. dal 19.10.2012, non era stato provato che la stessa avesse anche di fatto gestito la società. Sostiene pertanto che costei non si era mai occupata della gestione della contabilità e della gestione del conto corrente, perché di tali operazioni era incaricato il commercialista della società. Reputa la difesa che si sarebbe dovuta acquisire la prova di un'effettiva attività gestoria della stessa negli affari della società, "attraverso un potere di firma presso lo studio del commercialista, un potere di disposizione di bonifici". Nel caso di specie l'affermazione di responsabilità si sarebbe basata su mere deduzioni e non su elementi di fatto.
Si valorizza l'aspetto soggettivo del reato, ovvero il dolo specifico, consistente nella volontà di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, per sostenere che "non può peraltro essere indifferente la circostanza che il comportamento tenuto dal contribuente sia trasparente e riconoscibile dall'Amministrazione finanziaria" e per desumerne che l'affermazione di responsabilità in capo all'imputata sarebbe fondata sul mero dovere di vigilanza e controllo che avrebbe dovuto svolgere, addebitabile solo a titolo di colpa, e non di dolo.
Inoltre si evidenzia che la valutazione del giudice è fondata solo sulla ricostruzione del volume d'affari effettuata dall'Agenzia delle Entrate e sugli accertamenti espletati dai funzionari tramite l'accesso alle banche dati messe a disposizione della Agenzia delle Entrate per la ricostruzione della posizione fiscale della società per gli anni 2013 e 2014, che dovrebbero essere considerati criteri presuntivi ed indiziari, lontani dalla realtà e non indicativi della reale fatturazione della società e dei costi sostenuti dalla "(…) srl".
2) Mancata concessione della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
In subordine si chiede di riconoscere il suddetto beneficio limitandosi ad evidenziare che il Tribunale aveva omesso di motivare circa la mancata concessione dello stesso.
Le valutazioni della Corte.
Si fa integrale rinvio a quanto esposto nell' impugnata sentenza e sopra riportato estesamente circa le condotte accertate e le modalità di accertamento, dalla quali risulta dimostrato che Fe.An., amministratrice della (…) s.r.l. dal 19.10.2012, unico soggetto legalmente tenuto alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi previste ai fini delle imposte, aveva presentato il Modello Unico 2014 relativo all'anno di imposta 2013 in modo infedele ed incompleto e non aveva presentato il Modello Unico 2015 per l'anno di imposta 2014, pur essendovi obbligato in quanto l'ammontare IVA dovuta era pari ad euro 2.627.495,00 e di tali omissioni è certamente responsabile la prevenuta, legale rappresentante della società.
Appare evidente che, in assenza di ogni allegazione da parte dell'imputata, sia nel corso dell'attività di accertamento degli agenti operanti, sia nel corso del processo penale, debba ritenersi che la (…) s.r.l. abbia prodotto il reddito accertato in sede di verifica fiscale, e del resto nell'appello non risulta espressa alcuna censura specifica alle modalità del suo accertamento, quelle consuete nei casi di specie; alle verifiche attraverso la documentazione fiscale rinvenuta ed attraverso le banche dati, si aggiungono le dichiarazioni dello stesso commercialista circa l'inaffidabilità della documentazione ricevuta dall'imputata, che, a sua volta, non ha allegato alcun elemento atto a dubitare delle condotte omissive ed evasive poste in essere o del loro ammontare.
Quanto al valore probatorio dei dati estratti dalla banca dati VIES, si osserva che secondo la sentenza n. 39960/2019 della Suprema Corte, nell'ambito del giudizio penale possono essere utilizzati i parametri forniti dall'Amministrazione finanziaria, dal momento che "l'imputato non allega alcuna ragione, diversa dall'intento di evadere le imposte, circa la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l'imposta evasa era decisamente superiore a quella che integra la soglia di rilevanza penale della condotta e che nella specie era ictu oculi determinabile, trattandosi dell'Iva dovuta sulle fatture di vendita".
Le obiezioni circa il mancato approfondimento del ruolo gestorio effettivo svolto sono infondate, sia perché non risulta che la Fe. abbia dichiarato di essere solo una testa di legno di altro soggetto, limitandosi a tentare di scaricare la sua responsabilità sul commercialista, sia perché l'amministratore di una società è formalmente responsabile delle evasioni fiscali poste in essere laddove comunque abbia operato in concorso con l'amministratore di fatto, ed al fine specifico di consentirgli l'evasione fiscale.
Ritiene infatti la giurisprudenza della Suprema Corte:
La prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5,8 e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 in capo all'amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l'amministratore di fatto, nell'ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell'attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto indici del dolo specifico dell'amministratore di diritto la consapevolezza che l'amministratore di fatto fosse indagato e imputato per reati fiscali e la circostanza di aver rilasciato deleghe allo stesso per la movimentazione di conti la cui illiceità era evidente, ricevendone una retribuzione aggiuntiva in ragione dei rischi assunti). Sez. 3, Sentenza n. 2570 del 28/09/2018 Ud. (dep. 21/01/2019) Rv. 275830 - 01.
In tema di reati tributari, del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, risponde anche il mero amministratore di diritto, a titolo di concorso con l'amministratore di fatto per omesso impedimento dell'evento ex art. 40, cpv., cod. pen., e art. 2932 cod. civ., a condizione, tuttavia, che il prestanome abbia agito col fine specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione fiscale di terzi. Sez. F, Sentenza n. 42897 del 09/08/2018 Ud. (dep. 28/09/2018) Rv. 273939 - 01 Come già detto nel caso di specie non è stato neppure allegato dall'imputata l'essere una mera prestanome di terzi, inconsapevole delle conseguenze del suo operato, per cui l'obiezione difensiva è meramente suppositiva e dunque infondata. Inoltre l'imputata risulta già condannata per reato tributario, con sentenza irrevocabile il 30/5/2020, elemento questo anch'esso sintomatico dell'intensità del dolo specifico.
Essendosi poi registrato un recente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte secondo cui il Giudice d'appello dovrebbe spiegare la ragione per la quale non ritiene essersi in presenza di una causa evidente di assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art 131 bis c.p., parrebbe anche quando non ve ne sia richiesta delle parti neppure in fase di discussione ("In tema di ricorso per cassazione, è deducibile il difetto di motivazione della sentenza d'appello che non abbia rilevato "ex officio ", alla stregua di quanto previsto dall'art. 129 cod. proc. pen., la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, a condizione che siano indicati i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa proscioglitiva, da cui possa evincersi la decisiva rilevanza della dedotta lacuna motivazionale" {Sez. 6, Sentenza n. 5922 del 19/01/2023), in linea, con S.U. Sentenza n. 13681 del 25/02/2016 (in realtà esaminante la situazione dell'istituto sopravvenuto al fatto-reato ed all'atto di appello), posto che una valutazione comunque discrezionale quale quella sottesa al reputare di "particolare tenuità" un dato fatto-reato appare incompatibile con il concetto stesso di evidenza della sussistenza della causa assolutoria, si sottolinea ( sebbene non vi sia alcuna richiesta, né nei motivi d'appello, né in sede di conclusioni delle parti) che non sussistono i presupposti per un'assoluzione dell'imputato ex art 129 cpp, neppure per particolare tenuità del fatto ex art 131 bis c.p., e che, se, per quanto riguarda l'assoluzione per le ragioni "classiche" (fatto non sussiste, fatto non costituisce reato, non aver commesso il fatto, fatto non punibile") basta richiamare la motivazione della sentenza di primo grado, e la risposta alle doglianze di cui sopra (ciò che ben potrebbe ad avviso della Corte avvenire anche con riferimento a qualsiasi argomentazione non esplicitamente o implicitamente contestata nell'atto di appello), si ritiene opportuno evidenziare che il fatto ascritto all'imputata non appare sussumibile nell'egida della particolare tenuità ex art 131 bis c.p. in considerazione dell'entità del danno arrecato alla collettività vittima degli stessi, correlato all'elevatissima evasione fiscale consumata.
Infatti, ritiene sempre la Suprema Corte che: "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen.: a) delle modalità della condotta; b) del grado di colpevolezza da esse desumibile e (intensità del dolo o grado della colpa); c) dell'entità del danno o del pericolo", Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016. In motivazione si è precisato che con riferimento a ciascuna fattispecie concreta per la quale sia astrattamente applicabile la speciale causa di non punibilità, occorre principalmente avere riguardo al principio di offensività in concreto, giacche "non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica. E' la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore".
Inoltre pur non essendovi specifica preclusione di legge alla luce dei precedenti penali specifici, relativi ad almeno due reati della stessa indole, denotanti l'abitualità nel delinquo, secondo quanto anche precisato da SU 13681/2016, tuttavia l'imputata risulta già condannata per reato tributario, elemento questo anch'esso sintomatico dell'intensità del dolo.
Va infine respinta la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
Infatti la richiesta è inammissibile in quanto totalmente immotivata, mentre una motivazione è richiesta dal momento che il beneficio non è dovuto all'imputato incensurato e si basa su presupposti diversi rispetto a quelli della sospensione condizionale della pena. Vero è che il Tribunale non ne motiva il mancato riconoscimento ma lo stesso non era neppure stato sollecitato dalla difesa dall'imputata al momento delle sue conclusioni, per cui alcuna motivazione era richiesta. In ogni caso nel merito la richiesta è infondata.
Infatti l'evasione fiscale, per di più di così ingente ammontare e protratta per due diverse annualità, è un reato molto grave per le sue ricadute sull'intera collettività che a causa del mancato incasso delle imposte evase non può contare su un gettito fiscale idoneo a sostenere la spesa pubblica e a supportare i servizi pubblici; l'evasione fiscale è un reato contro lo Stato e quindi contro la collettività tutta, che è bene sappia di avere a che fare con chi lo ha commesso nel momento in cui intende offrire un impiego lavorativo. Del resto, come già sopra evidenziato ad altri fini, l'imputata risulta già condannata per reato tributario, per cui non appare meritevole del beneficio.
Infine appare infondata le richieste di dichiarare la prescrizione dei reati che, in quanto commessi dopo la novella del 2011 comportante l'aumento di un terzo del termine di prescrizione, si prescrivono in dieci anni dal fatto.
In conseguenza del rigetto dell'appello l'appellante va anche condannata al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Visti gli artt.599, 605 cpp conferma la sentenza del Tribunale di Napoli del 28.12.2022 e per l'effetto condanna l'appellante Fe.An. al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio.
Così deciso in Napoli l'8 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.